Ch'i'non veggio 'l bel viso, e non conosco Altro Sol,nè quest'occhi hann'altro obbietto. Lagrimar sempre è 'l mio sommo diletto; Il sonno è veramente, qual uom dice, Invidia la sorte dell' aura che spira, e del fiume che scorre intorno a lei. Aura che quelle chiome bionde e crespe Circondi e movi, e se' mossa da loro Soavemente, e spargi quel dolce oro, E poi 'l raccogli e 'n bei nodi 'l rincrespe; Tu stai negli occhi ond' amorose vespe Mi pungon sì, che infin qua il sento e ploro; E vacillando cerco il mio tesoro, Com'animal che spesso adombre e 'ncespe: Ch'or mel par ritrovar, ed or m'accorgo Ch'i'ne son lunge; or mi sollevo, or caggio: Ch'or quel ch'i' bramo, or quel ch'è vero, scorgo. Aer felice, col bel vivo raggio Rimanti. E tu, corrente e chiaro gorgo, Essa, qual lauro, pose nel di lui cuor le radici; vi cresce, e l'ha con sè da per tutto. Amor con la man destra il lato manco M'aperse, e piantovv' entro in mezzo 'l core Un lauro verde sì, che di colore Ogni smeraldo avria ben vinto e stanco. Son le radici della nobil pianta. Tal la mi trovo al petto ove ch' i' sia; Felice incarco; e con preghiere oneste L'adoro e 'nchino come cosa santa. Benchè in mezzo agli affanni, ei pensa d'essere il più felice di tutti. Cantai; or piango, e non men di dolcezza Del pianger prendo, che del canto presi; Ch'alla cagion, non all' effetto, intesi Son i miei sensi vaghi pur d' altezza. Indi e mansuetudine e durezza, Ed atti feri ed umili e cortesi Porto egualmente; nè mi gravan pesi; Nè l'arme mie punta di sdegni spezza. Tengan dunque vêr me l'usato stile Amor, Madonna, il mondo e mia fortuna; Ch' i' non penso esser mai se non felice. Arda o mora o languisca, un più gentile Stato del mio non è sotto la luna; Si dolce è del mio amaro la radice. Tristo, perchè lontano da lei, al rivederla si rasserena e ritorna in vita. I'piansi; or canto; chè 'l celeste lume Quel vivo Sole agli occhi miei non cela, Nel qual onesto Amor chiaro rivela Non lauro o palma, ma tranquilla oliva Trema che il male sopravvenuto a Laura negli occhi, lo privi della lor vista. I' mi vivea di mia sorte contento. Senza lagrime e senza invidia alcuna; Che s'altro amante ha più destra fortuna, Mille piacer non vaglion un tormento. Or que'begliocchi,ond'io mai non mi pento Delle mie pene, e men non ne voglio una, Tal nebbia copre, sì gravosa e bruna, Che 'l Sol della mia vita ha quasi spento. O natura, pietosa e fera madre, Onde tal possa e sì contrarie voglie Di far cose e disfar tanto leggiadre? D'un vivo fonte ogni poter s'accoglie. Ma tu come 'l consenti, o sommo Padre, Che del tuo caro dono altri ne spoglie? Gode 'di soffrire negli occhi suoi quel male medesimo da cui Laura guarì. Qual ventura mi fu quando dall'uno De' duo i più begli occhi che mai furo, Mirandol di dolor turbato e scuro, Mosse vertù che fe 'l mio infermo e bruno! Send'io tornato a solver il digiuno Di veder lei che sola al mondo curo, Fummi 'l Ciel ed Amor men che mai duro, Se tutte altre mie grazie insieme aduno. Chè dal destr'occhio, anzi dal destro sole Della mia donna, al mio destr'occhio venne Il mal, che mi diletta e non mi dole: E pur, come intelletto avesse e penne, Passò, quasi una stella che 'n ciel vóle; E Natura e pietade il corso tenne. |