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Non trovando conforto in sè stesso e nella solitudine, lo cerca tra gli uomini.

O cameretta, che già fosti un porto
Alle gravi tempeste mie diurne,
Fonte se' or di lagrime notturne,
Che 'l di celate per vergogna porto.

O letticciol, che requie eri e conforto
In tanti affanni, di che dogliose urne
Ti bagna Amor con quelle mani eburne
Solo vêr me crudeli a sì gran torto!

Nè pur il mio secreto e 'l mio riposo Fuggo, ma più me stesso e 'l mio pensero, Chè seguendol talor, levomi a volo.

Il vulgo, a me nemico ed odroso, . (Chi'l pensò mai?) per mio refugio chero, Tal paura ho di ritrovarmi solo.

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Rimirandola spesso, sa di annoiarla; però se ne scusa incolpandone Amore.

Lasso, Amor mi trasporta ov'io non voglio: E ben m'accorgo che 'l dever si varca,

Onde a chi nel mio cor siede monarca Son importuno assai più ch'i'non soglio.

Nè mai saggio nocchier guardò da scoglio Nave di merci prezïose carca, Quant' io sempre la debile mia barca Dalle percosse del suo duro orgoglio. Ma lagrimosa pioggia e fieri venti D'infiniti sospiri or l'hanno spinta (Ch'è nel mio mar orribil notte e verno) Ov'altrui noie, a sè doglie e tormenti Porta, e non altro, già dall' onde vinta, Disarmata di vele e di governo.

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Se Amore è cagione di sue colpe, lo prega a fare ch'ella 'l senta, e le perdoni a sè stessa.

Amor, io fallo, e veggio il mio fallire; Ma fo sì com'uom ch'arde e 'l foco ha 'n seno Che 'l duol pur cresce, e la ragion vien meno Ed è già quasi vinta dal martíre.

Solea frenare il mio caldo desire. Per non turbar il bel viso sereno: Non posso più; di man m' hai tolto il freno; E l'alma, disperando, ha preso ardire.

Però, s'oltra suo stile ella s'avventa, Tu 'l fai, che sì l'accendi e sì la sproni, Ch'ogni aspra via per sua salute tenta; E più 'l fanno i celesti e rari doni

C'ha in sè Madonna. Or fa' almen ch'ella il senta. E le mie colpe a sè stessa perdoni.

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Dispera di poter liberarsi da que' tanti affanni
in cui vedesi avvolto.

Non ha tanti animali il mar fra l'onde,
Nè lassù sopra 'l cerchio della luna
Vide mai tante stelle alcuna notte,
Nè tanti augelli albergan per li boschi,
Nè tant' erbe ebbe mai campo nè piaggia,
Quant'ha 'l mio cor pensier ciascuna sera.
Di dì in dì spero omai l'ultima sera,
Che scevri in me dal vivo terren l'onde,
E mi lasci dormir in qualche piaggia:
Chè tanti affanni uom mai sotto la luna
Non sofferse, quant'io: sannolsi i boschi,
Che sol vo ricercando giorno e notte.
I'non ebbi giammai tranquilla notte,
Ma sospirando andai mattino e sera,

PETRARCA.

15

Poi ch'Amor femmi un cittadin de' boschi.
Ben fia, prima ch'i' posi, il mar senz'onde,
E la sua luce avrà 'l Sol dalla luna,
Ei fior d'april morranno in ogni piaggia.
Consumando mi vo di piaggia in piaggia
Il di pensoso; poi piango la notte;
Nè stato ho mai se non quanto la luna.
Ratto come imbrunir veggio la sera,.
Sospir del petto, e degli occhi escon onde,
Da bagnar l'erba e da crollare i boschi.
Le città son nemiche, amici i boschi
A'miei pensier, che per quest'alta piaggia
Sfogando vo col mormorar dell' onde
Per lo dolce silenzio della notte:
Tal ch'io aspetto tutto 'l dì la sera,
Che 'l Sol si parta e dia luogo alla luna.
Deh or foss' io col vago della Luna
Addormentato in qualche verdi boschi;
E questa ch'anzi vespro a me fa sera,
Con essa e con Amor in quella piaggia
Sola venisse a stars' ivi una notte;
E 'l dì si stesse e 'l Sol sempre nell'onde.
Sovra dure onde al lume della luna
Canzon, nata di notte in mezzo i boschi,
Ricca piaggia vedrai diman da sera.

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E tocco d'invidia nel veder chi per farle onore baciolla in fronte e negli occhi.

Real natura, angelico intelletto,
Chiar' alma, pronta vista, occhio cervero,
Provvidenza veloce, alto pensero,

E veramente degno di quel petto:
Sendo di donne un bel numero eletto
Per adornar il dì festo ed altero;
Subito scôrse il buon giudicio intero
Fra tanti e sì bei volti il più perfetto.
L'altre maggior di tempo o di fortuna
Trarsi in disparte comandò con mano,
E caramente accolse a sè quell'una.

Gli occhi e la fronte con sembiante umano
Baciolle sì, che rallegrò ciascuna;
Me empiè d'invidia l'atto dolce e strano.

SESTINA VIII. CANZ. 38.

È si sorda e crudele, che non si commove alle lagrime, e non cura rime nè versi.

Là vêr l'aurora, che si dolce l'aura Al tempo novo suol mover i fiori

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