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E gli augelletti incominciar lor versi,
Sì dolcemente i pensier dentro all'alma
Mover mi sento a chi gli ha tutti in forza,
Che ritornar convienmi alle mie note.
Temprar potess'io in sì soavi note
I miei sospiri, ch'addolcissen Laura,
Facendo a lei ragion, ch'a me fa forza!
Ma pria fia 'l verno la stagion de'fiori,
Ch'amor fiorisca in quella nobil alma,
Che non curò giammai rime nè versi.

Quante lacrime, lasso, e quanti versi
Ho già sparti al mio tempo! e 'n quante note
Ho riprovato umiliar quell'alma!
Ella si sta pur com' aspr' alpe e l'aura
Dolce, la qual ben move fronde e fiori,
Ma nulla può se'n contro ha maggior forza.
Uomini e Dei solea vincer per forza
Amor, come si legge in prosa e 'n versi:
Ed io 'l provai 'n sul primo aprir de' fiori.
Ora nè 'l mio Signor, nè le sue note,
Nè 'l pianger mio, nè i preghi pôn far Laura
Trarre o di vita o di martír quest'alma.
All'ultimo bisogno, o miser' alma,
Accampa ogni tuo ingegno, ogni tua forza,

Mentre fra noi di vita alberga l'aura. Null' al mondo è che non possano i versi; E gli aspidi incantar sanno in lor note, Non che 'l gielo adornar di novi fiori:

Ridono or per le piagge erbette e fiori: Esser non può che quell'angelic' alma Non senta 'l suon dell'amorose note. Se nostra ria fortuna è di più forza, Lagrimando, e cantando i nostri versi, E col bue zoppo andrem cacciando l'aura. In rete accolgo l'aura e 'n ghiaccio i fiori, E 'n versi tento sorda e rigid' alma, Che nè forza d' Amor prezza nè note.

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L'invita a trovare in sè stessa il perchè egli non possa mai starsi senza di lei.

I'ho pregato Amor, e nel riprego,
Che mi scusi appo voi, dolce mia pena,
Amaro mio diletto, se con piena
Fede dal dritto mio sentier mi piego.

I' nol posso negar, Donna, e nol nego, Che la ragion, ch'ogni buon'alma affrena, Non sia dal voler vinta; ond' ei mi mena Taior in parte ov'io per forza il sego.

Voi, con quelcor che di sì chiaro ingegno, Di si alta virtute il cielo alluma, Quanto mai piovve da benigna stella; Devete dir pietosa e senza sdegno: Che può questi altro? il mio volto 'l consuma Ei perchè ingordo, ed io perchè sì bella.

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Il pianger ch'ei fa per Laura malata, non ammorza, ma cresce il suo incendio.

L'alto Signor dinanzi a cui non vale
Nasconder nè fuggir nè far difesa,
Di bel piacer m'avea la mente accesa
Con un ardente ed amoroso strale;

E benchè 'l primo colpo aspro e mortale
Fosse da sè; per avanzar sua impresa,
Una saetta di pietate ha presa;
E quinci e quindi 'l cor punge ed assale.
L'una piaga arde, e versa foco e fiamma ;
Lagrime l'altra, che 'l dolor distilla
Per gli occhi miei del vostro stato rio.
Nè per duo fonti sol una favilla
Rallenta dell'incendio che m'infiamma;
Anzi per la pietà cresce 'l desio.

SONETTO CLXXXIV. -204.

Dice al suo cuore di tornarsene a Laura, e non pensa ch'è già seco lei.

Mira quel colle, o stanco mio cor vago;
Ivi lasciammo ier lei ch'alcun tempo ebbe
Qualche cura di noi e le ne 'ncrebbe,
Or vorria trar degli occhi nostri un lago.
Torna tuin là, ch'io d'esser sol m'appago;
Tenta se forse ancor tempo sarebbe
Da scemar nostro duol, che 'n fin qui crebbe,
O del mio mal partecipe e presago.

Or tu c'hai posto te stesso in obblio,
E parli al cor pur com'e'fosse or teco,
Misero, e pien di pensier vani e sciocchi!
Ch' al dipartir del tuo sommo desio,
Tu te n'andasti, e' si rimase seco
E si nascose dentro a'suoi begli occhi.

SONETTO CLXXXV. - 205.

Misero! ch'essendo per lei senza cuoro,
ella si ride se questo parli in suo pro.

Fresco, ombroso, fiorito e verde colle
Ov' or pensando ed or cantando siede,

E fa qui de' celesti spirti fede
Quella ch'a tutto l mondo fama tolle;

Il mio cor, che per lei lasciar mi volle, E fe gran senno, e più se mai non riede, Va or cantando ove da quel bel piede Segnata è l'erba e da quest'occhi molle.

Seco si stringe, e dice a ciascun passo: Deh fosse or qui quel miser pur un poco, Ch'è già di pianger e di viver lasso.

Ella sel ride; e non è pari il giuoco:
Tu paradiso, i' senza core un sasso,
O sacro, avventuroso e dolce loco.

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Ad un amico innamorato suo pari, non sa dar consiglio, che di alzar l'anima a Dio.

Il mal mi preme e mi spaventa il peggio, Al qual veggio sì larga e piana via, Ch'i'son intrato in simil frenesia, E con duro pensier téco vaneggio.

Nè so se guerra o pace a Dio mi cheggio! Chè 'l danno è grave, e la vergogna è ria. Ma perchè più languir? di noi pur fia Quel ch'ordinato è già nel sommo seggio.

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