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Sia l'alma luce che suol far contenta
Mia vita in pene ed in speranze bone?

Ma com'è che sì gran romor non sone
Per altri messi, o per lei stessa il senta?
Or già Dio e Natura nol consenta,
E falsa sia mia trista opinione.

A me pur giova di sperare ancora La dolce vista del bel viso adorno, Che me mantene e 'l secol nostro onora. Se per salir all'eterno soggiorno Uscita è pur di bell'albergo fôra, Prego non tardi il mio ultimo giorno.

SONETTO CXCIV. - 214.

Il dubbio di non rivederla lo spaventa sì, che non riconosce più sè medesimo.

In dubbio di mio stato, or piango or canto: E temo e spero; ed in sospiri e 'n rime Sfogo 'l mio incarco: Amor, tutte sue lime Usa sopra 'l mio cor afflitto tanto.

Or fia giammai che quel bel viso santo Renda a quest' occhi le lor luci prime? (Lasso, non so che di me stesso estime) O li condanni a sempiterno pianto?

E

per prender il ciel debito a lui, Non curi che si sia di loro in terra, Di ch' egli è 'l sole, e non veggiono altrui? In tal paura e 'n sì perpetua guerra Vivo, ch'i'non son più quel che già fui; Qual chi per via dubbiosa teme ed erra.

SONETTO CXCV. 215.

Sospira quegli sguardi da cui, per suo gran danno, è costretto di allontanarsi.

O dolci sguardi, o parolette accorte, Or fia mai 'l dì ch'io vi riveggia ed oda? O chiome bionde, di che 'l cor m'annoda Amor, e così preso il mena a morte;

O bel viso, a me dato in dura sorte,
Di ch'io sempre pur pianga e mai non goda;
O dolce inganno ed amorosa froda,
Darmi un piacer che sol pena m'apporte:
E se talor da'begli occhi soavi,

Ove mia vita e 'l mio pensiero alberga,
Forse mi vien qualche dolcezza onesta;

Subito, acciò ch' ogni mio ben disperga E m'allontane, or fa cavalli or navi Fortuna, ch'al mio mal sempr'è sì presta.

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Non udendo più novella di lei, teme sia morta, e sente vicino il proprio fine.

I' pur ascolto, e non odo novella
Della dolce ed amata mia nemica,
Nè so che me ne pensi o che mi dica:
Sì 'l cor tema e speranza mi puntella.

Nocque ad alcuna già l'esser sì bella:
Questa più d'altra è bella e più pudica:
Forse vuol Dio tal di virtute amica
Tórre alla terra, e 'n ciel farne una stella;
Anzi un sole: e se questo è, la mia vita,
I miei corti riposi e i lunghi affanni
Son giunti al fine. O dura dipartita,
Perchè lontan m' hai fatto da' miei danni?
La mia favola breve è già compita,
E fornito il mio tempo a mezzo gli anni.

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Brama l'aurora, perchè lo acqueta e gli mitiga gli affanni della notte.

La sera desiar, odiar l' aurora Soglion questi tranquilli e lieti amanti:

A me doppia la sera e doglia e pianti;
La mattina è per me più felice ora:
Chè spesso in un momento apron allora
L'un sole e l'altro quasi duo levanti,
Di beltate e di lume sì sembianti,
Ch'anco 'l ciel della terra s'innamora ;
Come già fece allor ch'e primi rami
Verdeggiâr, che nel cor radice m'hanno;
Per cui sempre altrui più che me stess'ami.
Così di me due contrarie ore fanno:
E chi m'acqueta è ben ragion ch'i' brami,
E tema ed odii chi m'adduce affanno.

SONETTO CXCVIII. -- 218.

Struggesi per lei; e sdegnato si maraviglia ch'ella ciò non vegga anche dormendo.

Far potess' io vendetta di colei
Che guardando e parlando mi distrugge,
E per più doglia poi s'asconde e fugge,
Celando gli occhi a me sì dolci e rei.
Così gli afflitti e stanchi spirti miei
A poco a poco consumando sugge;
E 'n sul cor, quasi fero leon, rugge
La notte, allor quand' io posar devrei.

PETRARCA.

16

L'alma, cui Morte del suo albergo caccia, Da me si parte; e di tal modo sciolta, Vassene pur a lei che la minaccia. Maravigliomi ben s'alcuna volta, Mentre le parla, e piange, e poi l' abbraccia, Non rompe 'l sonno suo, s'ella l'ascolta,

SONETTO CXCIX. - - 219.

La guarda fiso; ed ella copresi il volto. Qual nuovo diletto nel voler rivederlo!

In quel bel viso ch'i' sospiro e bramo, Fermi eran gli occhi desïosi e 'ntensi, Quand'Amor pôrse (quasi a dir: che pensi?) Quell'onorata man che secondo amo.

Il cor preso ivi, come pesce all'amo, Onde a ben far per vivo esempio viensi, Al ver non volse gli occupati sensi, O come novo augello al visco in ramo; Ma la vista privata del suo obbietto, Quasi sognando, si facea far via Senza la qual il suo ben è imperfetto: L'alma, tra l'una e l'altra gloria mia, Qual celeste non so novo diletto E qual strania dolcezza si sentia.

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