SONETTO CC. 220. Le liete accoglienzo di Laura, oltre 'l costume, lo fecero quasi morir di piacere. Vive faville uscian de' duo bei lumi Che pur il rimembrar par mi consumi L'alma nudrita sempre in doglie e 'n pene (Quant'è'l poter d'una prescritta usanza!) Contra 'l doppio piacer sì inferma fue, Ch'al gusto sol del disusato bene, Tremando or di paura or di speranza, D'abbandonarmi fu spesso intra due. Nel penser sempre a lei, gli dà pena di sovvenirsi anche del laogo dov'ella sta. Cercato ho sempre solitaria vita (Le rive il sanno e le campagne e i boschi) Per fuggir quest' ingegni sordi e loschi, E se mia voglia in ciò fosse compita, Ma mia fortuna, a me sempre nemica, Mi risospinge al loco ov'io mi sdegno Veder nel fango il bel tesoro mio. Alla man ond'io scrivo, è fatta amica A questa volta; e non è forse indegno: Amor sel vide, e sal Madonna ed io. SONETTO CCII. -- 222. La bellezza di Laura è gloria di Natura: e però non v'ha donna a cui si pareggi. In tale stella duo begli occhi vidi, Tutti pien d'onestate e di dolcezza, Che presso a quei d'Amor leggiadri nidi Il mio cor lasso ogni altra vita sprezza. Non si pareggi a lei qual più s'apprezza In qualch' etade, in qualche strani lidi; Non chi recò con sua vaga bellezza In Grecia affanni, in Troia ultimi stridi: Non la bella Romana che col ferro Aprì il suo casto e disdegnoso petto; Non Polissena, Issifile ed Argia. Questa eccellenzia è gloria (s'io non erro) Grande a Natura, a me sommo diletto; Ma che? vien tardo e subito va via. SONETTO CCIII. 223. Le donne che vogliono imparar la virtù, mirino fise negli occhi di Laura. Qual donna attende a gloriosa fama Miri fiso negli occhi a quella mia Di gir al Ciel, che lei aspetta e brama. SONETTO CCIV. 224. Provando che l'onestà dee proferirsi alla vita, fa il boll'elogio di Laura. Cara la vita, e dopo lei mi pare Vera onestà che 'n bella donna sia. L'ordine volgi: e'non fur, madre mia, Senz'onestà mai cose belle o care. E qual si lascia di suo onor privare, Se non come a morir le bisognasse A dir di ciò: tutte lor vie fien basse; Laura spregia sì le vanità, che le 'ncrescerebbe esser bella, se non fosse casta. Arbor vittoriosa trionfale, Onor d'imperadori e di poeti, Quanti m' hai fatto di dogliosi e lieti Vera donna, ed a cui di nulla cale Se non d' onor, che sovr' ogni altra mieti: Nè d'Amor visco temi o lacci o reti; Nè inganno altrui contra 'l tuo senno vale. Gentilezza di sangue, e l'altre care Cose tra noi, perle, rubini ed oro, Quasi vil soma, egualmente dispregi. L'alta beltà, ch'al mondo non ha pare, Noia t'è, se non quanto il bel tesoro Di castità par ch'ella adorni e fregi. Confessa le sue miserie, e vorrebbe liberarsene; ma, perchè nol vuole, nol può. I'vo pensando, e nel pensier m'assale Una pietà si forte di me stesso, Che mi conduce spesso Ad altro lagrimar ch'i' non soleva: Carcer nostr'intelletto al ciel si leva; |