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Diè con tanti sospir, con tal sospetto
In dubbio stato sì fedel consiglio;

Come a me quella che 'l mio grave esiglio
Mirando dal suo eterno alto ricetto,
Spesso a me torna con l'usato affetto;
E di doppia pietate ornata il ciglio,

Or di madre or d'amante: or teme or arde D'onesto foco; e nel parlar mi mostra Quel che 'n questo viaggio fugga o segua, Contando i casi della vita nostra, Pregando ch'a levar l'alma non tarde: E sol quant'ella parla ho pace o tregua.

SONETTO XVIII. - 245.

Torna pietosa a riconfortarlo co'suoi consigli: ed ei non può non piegarvisi.

Se quell'aura soave de' sospiri Ch'i'odo di colei che qui fu mia Donna, or è in cielo, ed ancor par qui sia, E viva e senta e vada ed ami e spiri, Ritrar potessi: o che caldi desiri Movrei parlando! sì gelosa e pia Torna ov'io son, temendo non fra via Mi stanchi, o 'ndietro o da man manca giri.

Ir dritto alto m'insegna: ed io che 'ntendo Le sue caste lusinghe e i giusti preghi Col dolce mormorar pietoso e basso,

Secondo lei conven mi regga e pieghi, Per la dolcezza che del suo dir prendo, Ch'avria vertù di far piangere un sasso.

SONETTO XIX. - 246.

Morto Sennuccio, lo prega di far sapere a Laura l'infelicità del suo stato.

Sennuccio mio, benchè doglioso e solo
M'abbi lasciato, i'pur mi riconforto,
Perchè del corpo, ov' eri preso e morto,
Alteramente se' levato a volo.

Or vedi insieme l'uno e l'altro polo,
Le stelle vaghe e lor viaggio torto;
E vedi 'l veder nostro quanto è corto:
Onde col tuo gioir tempro 'l mio duolo.

Ma ben ti prego che 'n la terza spera Guitton saluti e messer Cino e Dante, Franceschin nostro e tutta quella schiera.

Alla mia donna puoi ben dire in quante Lacrime i' vivo; e son fatto una fera, Membrando 'l suo bel viso e l'opre sante.

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Mirando là dov'ella nacque e morì, va sfogando co' sospiri l'acerba sua pena.

'ho pien di sospir quest'aer tutto, D'aspri colli mirando il dolce piano Ove nacque colei ch'avendo in mano Mio cor in sul fiorire e 'n sul far frutto, E gita al cielo, ed hammi a tal condutto Col subito partir, che di lontano Gli occhi miei stanchi, lei cercando in vano, Presso di sè non lassan loco asciutto.

Non è sterpo nè sasso in questi monti, Non ramo o fronda verde in queste piagge, Non fior in queste valli o foglia d'erba; Stilla d'acqua non vien di queste fonti, Nè fiere han questi boschi sì selvagge, Che non sappian quant'è mia pena acerba.

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Adesso e conosce quant'ella era saggia
nel dimostrarsi severa verso di lui.

L'alma mia fiamma oltra le belle bella
Ch' ebbe qui 'l ciel sì amico e sì cortese,

Anzi tempo per me nel suo paese
E ritornata ed alla par sua stella.

Or comincio a svegliarmi e veggio ch'ella
Per lo migliore al mio desir contese,
E quelle voglie giovenili accese
Temprò con una vista dolce e fella.

Lei ne ringrazio e 'l suo alto consiglio, Che col bel viso e co' soavi sdegni Fecemi, ardendo, pensar mia salute.

O leggiadre arti e lor effetti degni! L'un con la lingua oprar, l'altra col ciglio; Io gloria in lei, ed ella in me virtute!

SONETTO XXII. 249.

Chiamava crudele quella che guidavalo
alla virtù. Si pente e la ringrazia.

Come va 'l mondo! or mi diletta e piace Quel che più mi dispiacque; or veggio e sento Che per aver salute ebbi tormento,

E breve guerra per eterna pace.

O speranza, o desir sempre fallace, E degli amanti più ben per un cento! O quant' era 'l peggior farmi contento Quella ch'or siede in cielo e 'n terra giace!

Ma 'l cieco Amor e la mia sorda mente Mi traviavan sì, ch'andar per viva Forza mi convenia dove morte era. Benedetta colei ch'a miglior riva Volse'l mio corso, e l'empia voglia ardente Lusingando, affrenò, perch' io non pêra.

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Tristo 'l dì e la notte, in sull'aurora gli pare di vederla, e gli si doppia la pena.

Quand'io veggio dal ciel scender l'Aurora Con la fronte di rose e co' crin d'oro, Amor m'assale; ond' io mi discoloro, E dico sospirando: Ivi è Laura ora. O felice Titon! tu sai ben l'ora Da ricovrare il tuo caro tesoro; Ma io che debbo far del dolce alloro? Che se 'l vo'riveder conven ch'io mora. I vostri dipartir non son sì duri; Ch'almen di notte suol tornar colei Che non ha a schifo le tue bianche chiome; Le mie notti fa triste e i giorni oscuri Quella che n'ha portato i penser miei, Nè di sè m'ha lasciato altro che 'l nome.

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