SONETTO XLIV. - 271. Nulla v' ha più, che lo riconforti, Nè per sereno ciel ir vaghe stelle, Nè d'aspettato ben fresche novelle, Nè altro sarà mai ch' al cor m'aggiunga; Si seco il seppe quella seppellire Che sola agli occhi miei fu lume e speglio. Noia m'è il viver sì gravosa e lunga, Ch'i' chiamo 'l fine per lo gran desire Di riveder cui non veder fu meglio. Brama unirsi a colei che, privandolo d'ogni bene, gli tolse anche il cuore. Passato è 'l tempo omai, lasso, che tanto Con refrigerio in mezzo 'l foco vissi : Passato è quella di ch'io piansi e scrissi; SONETTO XLVI. - 273. Duolsi di non aver presagiti i suoi danni nell'ultimo dì in ch'ei la vide. Mente mia, che presaga de' tuoi danni, Agli atti, alle parole, al viso, ai panni, Qual dolcezza fu quella, o miser alma! Come ardevamo in quel punto ch'i' vidi Gli occhi i quai non devea riveder mai! Quando a lor, come a duo amici più fidi, Partendo, in guardia la più nobil salma, I miei cari pensieri e 'l cor lasciai. SONETTO XLVII. - 274. Morte gliela rapì, quando senza sospetti poteva intertenersi con esso lei. Tutta la mia fiorita e verde etade Passava; e 'ntepidir sentia già 'l foco Ch'arse 'l mio cor; ed era giunto al loco Ove scende la vita, ch'alfin cade. Già incominciava a prender securtade La mia cara nemica a poco a poco De' suoi sospetti; e rivolgeva in gioco Mie pene acerbe sua dolce onestade. Presso era 'l tempo dov' Amor si scontra Con Castitate, ed agli amanti è dato Sedersi insieme e dir che lor incontra. Morte ebbe invidia al mio felice stato, Anzi alla speme; e feglisi all'incontra A mezza via, come nemico armato. SONETTO XLVIII.-275. S'ella or vivesse, e' potrebbe liberamente sospirare, e ragionar seco lei. Tempo era omai da trovar pace o tregua Di tanta guerra; ed erane in via forse; Se non ch'e lieti passi indietro torse Chi le disuguaglianze nostre adegua. Chè come nebbia al vento si dilegua, Così sua vita subito trascorse Quella che già co'begli occhi mi scôrse, Ed or conven che col penser la segua. Poco aveva a'ndugiar; chè gli anni e 'l pelo Cangiavano i costumi; onde sospetto Non fôra il ragionar del mio mal seco. Con che onesti sospiri l'avrei detto Le mie lunghe fatiche, ch'or dal cielo Vede, son certo, e duolsene ancor meco! Perdette in un punto quella cara pace che dovea esser frutto de' suoi amori. Tranquillo porto avea mostrato Amore Alla mia lunga e torbida tempesta Fra gli anni dell'età matura onesta, Pur vivendo veniasi ove deposto Ed ella avrebbe a me forse risposto SONETTO L. 277. Ha nel cuore sì viva l'immagine di Laura, che infino ei la chiama quasi gli fosse presente. Al cader d'una pianta, che si svelse |