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E spesso tremo e spesso impallidisco,
Pensando alla sua piaga aspra e profonda.
Ma chi nè prima, simil, nè seconda
Ebbe al suo tempo, al letto in ch'io languisco
Vien tal ch'appena a rimirar l'ardisco,
E pietosa s'asside in su la sponda.
Con quella man che tanto desiai,
M'asciuga gli occhi, e col suo dir m'apporte
Dolcezza ch'uom mortal non sentì mai.

Che val, dice, a saver chi si sconforta? Non pianger più; non m' hai tu pianto assai? Ch'or fostu vivo com'io non son morta.

SONETTO LXXI. 299.

E' morrebbe di dolore, s' ella talvolta
nol consolasse co' suoi apparimenti.

Ripensando a quel ch'oggi il cielo onora,
Soave sguardo, al chinar l'aurea testa,
Al volto, a quella angelica modesta
Voce, che m'addolciva ed or m'accora:
Gran maraviglia ho com' io viva ancora:
Nè vivrei già, se chi tra bella e onesta,
Qual fu più, lasciò in dubbio, non sì presta
Fosse al mio scampo là verso l'aurora.

O che dolci accoglienze e caste e pie!
E come intentamente ascolta e nota
La lunga istoria delle pene mie!

Poi che 'l dì chiaro par che la percota,
Tornasi al ciel, che sa tutte le vie,
Umida gli occhi e l'una e l'altra gota.

SONETTO LXXII. - 300.

Il dolore di averla perduta è sì forte, che niente più varrà a mitigarglielo.

Fu forse un tempo dolce cosa amore (Non perch'io sappia il quando); or è sìamara Che nulla più. Ben sa 'l ver chi l'impara, Com'ho fatt' io con mio grave dolore.

Quella che fu del secol nostro onore, Or è del ciel che tutto orna e rischiara; Fe mia requie a' suoi giorni e breve e rara, Or m'ha d'ogni riposo tratto fore.

Ogni mio ben crudel Mortè m'ha tolto; Nè gran prosperità il mio stato avverso Può consolar di quel bel spirto sciolto.

Piansi e cantai; non so più mutar verso, Ma dì e notte il duol nell'alma accolto Per la lingua e per gli occhi sfogo e verso.

SONETTO LXXIII. -301.

Pensando che Laura è in cielo, si pente del suo dolor eccessivo e si acqueta.

Spinse Amor e dolor ov'ir non debbe, La mia lingua avviata a lamentarsi, A dir di lei perch'io cantai ed arsi, Quel che, se fosse ver, torto sarebbe; Ch'assai il mio stato rio quetar devrebbe Quella beata, e 'l cor racconsolarsi Vedendo tanto lei domesticarsi

Con colui che, vivendo, in cor sempr' ebbe. E ben m'acqueto e me stesso consolo: Nè vorrei rivederla in questo inferno; Anzi voglio morire e viver solo:

Chè più bella che mai, con l'occhio interno Con gli angeli la veggio alzata a volo A' piè del suo e mio Signore eterno.

SONETTO LXXIV. -302.

Erge tutti i suoi pensieri al cielo, dove Laura lo cerca, lo aspetta e lo invita.

Gli angeli eletti e l'anime beate Cittadine del cielo, il primo giorno

Che Madonna passò, le fur intorno
Piene di maraviglia e di pietate.

Che luce è questa, qual nuova beltate?
Dicean tra lor; perch'abito sì adorno
Dal mondo errante a quest'alto soggiorno
Non salì mai in tutta questa etate.
Ella contenta aver cangiato albergo,
Si paragona pur coi più perfetti;
E parte ad or ad or si volge a tergo
Mirando s'io la seguo, e par ch'aspetti:
Ond'io voglie e pensier tutti al ciel ergo;
Perch'io l'odo pregar pur ch'i'm'affretti.

SONETTO LXXV. — 303.

Chiede in premio dell'amor suo, ch' ella gli ottenga di vederla ben presto.

Donna, che lieta col principio nostro Ti stai, come tua vita alma richiede, Assisa in alta e gloriosa sede, E d'altro ornata che di perle o d'ostro; O delle donne altero e raro mostro, Or nel volto di lui, che tutto vede, Vedi 'l mio amore e quella pura fede, Per ch'io tante versai lagrime e 'nchiostro

E senti che vêr te il mio core in terra Tal fu qual ora è in cielo, e mai non volsi Altro da te che 'l Sol degli occhi tuoi. Dunque per ammendar la lunga guerra, Per cui dal mondo a te sola mi volsi, Prega ch'i' venga tosto a star con voi.

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Privo d'ogni conforto, spera ch'ella gl'impetri di rivederla nel cielo.

Da' più begli occhi e dal più chiaro viso Che mai splendesse, e da' più bei capelli, Che facean l'oro e 'l Sol parer men belli; Dal più dolce parlar e dolce riso;

Dalle man, dalle braccia che conquiso, Senza moversi, avrian quai più rebelli Fur d'Amor mai; da'più bei piedi snelli; Dalla persona fatta in paradiso,

Prendean vita i miei spirti: orn' ha diletto Il Re celeste, i suo' alati corrieri; Ed io son qui rimaso ignudo e cieco.

Sol un conforto alle mie pene aspetto; Ch'ella, che vede tutti i miei pensieri, M'impetre grazia ch'i'possa esser seco.

PETRARCA.

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