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SONETTO LXXVII. -305.

Spera e crede già vicino quel dì in ch'ella a sè il chiami per volarsene a lei.

E' mi par d'or'in ora udire il messo Che Madonna mi mande a sè chiamando; Così dentro e di for mi vo cangiando, E sono in non molt'anni sì dimesso, Ch' appena riconosco omai me stesso; Tutto 'l viver usato ho messo in bando. Sarei contento di sapere il quando: Ma pur devrebbe il tempo esser da presso. O felice quel dì, che del terreno Carcere uscendo, lasci rotta e sparta Questa mia grave e frale e mortal gonna; E da sì folte tenebre mi parta, Volando tanto su nel bel sereno, Ch'i' veggia il mio Signore e la mia Donna!

SONETTO LXXVIII. 306.

Le parla in sonno de' suoi mali. Ella s'attrista. Ei vinto dal dolore si sveglia.

L'aura mia sacra al mio stanco riposo Spira sì spesso, ch'i' prendo ardimento

Di dirle il mal ch'i'ho sentito e sento;
Chè vivend'ella, non sarei stato oso.

Io incomincio da quel guardo amoroso,
Che fu principio a sì lungo tormento;
Poi seguo, come misero e contento,

Di dì in dì, d'ora in ora, Amor m'ha roso.
Ella si tace e di pietà dipinta

Fiso mira pur me; parte sospira
E di lagrime oneste il viso adorna:
Onde l'anima mia dal dolor vinta,
Mentre piangendo allor seco s'adira,
Sciolta dal sonno a sè stessa ritorna.

SONETTO LXXIX.-307.

Brama la morte che Cristo sostenne per lui, e che Laura pure in quello sostenne.

Ogni giorno mi par più di mill' anni, Ch'i' segua la mia fida e cara duce, Che mi condusse al mondo, or mi conduce Per miglior via a vita senza affanni.

E non mi posson ritener gl'inganni Del mondo, ch'il conosco: e tanta luce Dentr' al mio core infin dal ciel traluce, Ch'i''ncomincio a contar il tempo e i danni.

Nè minaccie temer debbo di Morte,
Che 'l Re sofferse con più grave pena,
Per farme a seguitar costante e forte:
Ed or novellamente in ogni vena
Intrò di lei che m'era data in sorte;
E non turbò la sua fronte serena.

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Dacch'ella morì, ei non ebbe più vita. Disprezza dunque od affronta la morte.

Non può far Morte il dolce viso amaro: Ma 'l dolce viso, dolce può far Morte. Che bisogna a morir ben altre scorte? Quella mi scorge ond'ogni ben imparo. E quei che del suo sangue non fu avaro, Che col piè ruppe le tartaree porte, Col suo morir par che mi riconforte. Dunque vien, Morte; il tuo venir m'è caro. E non tardar, ch'egli è ben tempo omai: E se non fosse, e' fu 'l tempo in quel punto Che Madonna passò di questa vita.

D'allor innanzi un dì non vissi mai; Seco fu' in via, e seco al fin son giunto; E mia giornata ho co' suoi piè fornita.

CANZONE VI. - 47.

Gli riapparisce; e cerca, più che mai pietosa, di consolarlo ed acquetarlo.

Quando il soave mio fido conforto,
Per dar riposo alla mia vita stanca,
Ponsi del letto in su la sponda manca
Con quel suo dolce ragionare accorto;
Tutto di piéta e di paura smorto,
Dico: Onde vien tu ora, o felice alma?
Un ramoscel di palma

Ed un di lauro trae del suo bel seno;
E dice: Dal sereno

Ciel empireo e di quelle sante parti
Mi mossi, e vengo sol per consolarti.
In atto ed in parole la ringrazio
Umilemente, e poi domando: Or donde
Sai tu il mio stato? Ed ella: Le trist' onde
Del pianto, di che mai tu non se' sazio,

Con l'aura de' sospir, per tanto spazio
Passano al cielo e turban la mia pace.
Sì forte ti dispiace

Che di questa miseria sia partita,
E giunta a miglior vita?

Che piacer ti devria, se tu m'amasti
Quanto in sembianti e ne' tuo' dir mostrasti.
Rispondo: Io non piango altro che me stesso,
Che son rimaso in tenebre e 'n martíre,
Certo sempre del tuo al ciel salire
Come di cosa ch'uom vede da presso.
Come Dio e Natura avrebben messo
In un cor giovenil tanta virtute,
Se l'eterna salute

Non fosse destinata al suo ben fare?
O dell'anime rare,

Ch'altamente vivesti qui fra noi,
E che subito al ciel volasti poi!

Ma io che debbo altro che pianger sempre,
Misero e sol, che senza te son nulla?
Ch' or foss' io spento al latte ed alla culla,
Per non provar dell'amorose tempre!
Ed ella: A che pur piangi e ti distempre?
Quant'era meglio alzar da terra l'ali;

E le cose mortali

E queste dolci tue fallaci ciance
Librar con giusta lance;

E seguir me, s'è ver che tanto m'ami,
Cogliendo omai qualcun di questi rami!

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