Fuor di man di colui che punge e molce, Che già fece di me sì lungo strazio, Mi trovo in libertate amara e dolce: Ed al Signor ch'i' adoro e ch'i' ringrazio, Che pur col ciglio il ciel governa e folce, Torno stanco di viver non che sazio. Conosce i suoi falli; se ne duole; e prega Dio di salvarlo dall'eterna pena. Tennemi Amor anni ventuno ardendo Omai son stanco, e mia vita riprendo Pentito e tristo de' miei sì spesi anni, Signor che 'n questo carcer m' hai rinchiuso, Trammene salvo dagli eterni danni; Ch'i' conosco 'l mio fallo e non lo scuso. PETRARCA. 23 SONETTO LXXXV. - 313. Si umilia dinanzi a Dio, e, piangendo, ne implora la grazia al punto di morte. I' vo piangendo i miei passati tempi I quai posi in amar cosa mortale, Senza levarmi a volo, avend' io l'ale Per dar forse di me non bassi esempi. Tu, che vedi i miei mali indegni ed empi, Re del cielo, invisibile, immortale, Soccorri all'alma disviata e frale, E'l suo difetto di tua grazia adempi: Sì che, s'io vissi in guerra ed in tempesta, Mora in pace ed in porto; e se la stanza Fu vana, almen sia la partita onesta. A quel poco di viver che m' avanza Ed al morir degni esser tua man presta. Tu sai ben che 'n altrui non ho speranza. Ei deve la propria salvezza alla virtuosa condotta di Laura verso di lui. Dolci durezze e placide repulse, Piene di casto amore e di pietate; Leggiadri sdegni, che le mie infiammate Or presto a confortar mia frale vita; Di mia salute, che altramente era ita. Era sì piena di grazie, che, in sua morte, partirsi del mondo Cortesia ed Amore. Spirto felice, che sì dolcemente Volgei quegli occhi più chiari che 'l sole, E formavi i sospiri e le parole Vive ch' ancor mi sonan nella mente, Già ti vid'io d' onesto foco ardente Mover i piè fra l'erbe e lo viole, Di quella ch'or m' è più che mai presente; La qual tu poi, tornando al tuo Fattore, Nel tuo partir partì del mondo Amore Rivolgesi ad Amore perchè lo aiuti a cantare degnamente le lodi di Laura. Deh porgi mano all'affannato ingegno, Amor, ed allo stile stanco e frale, Per dir di quella ch'è fatta immortale E cittadina del celeste regno. Dammi, Signor, che 'l mio dir giunga al segno, Delle sue lode, ove per sè non sale; Se vertù, se beltà non ebbe eguale Il mondo, che d'aver lei non fu degno. Risponde: Quanto 'l Ciel ed io possiamo E i buon consigli e il conversar onesto, Tutto fu in lei di che noi Morte ha privi. Forma par non fu mai dal dì ch' Adamo Aperse gli occhi in prima: e basti or questo. Piangendo il dico; e tu piangendo scrivi. SONETTO LXXXIX. - 317. Il mesto canto di un augelletto gli rammenta i propri e più gravi affanni. Vago augelletto che cantando vai, I' non so se le parti sarian pari; SONETTO XC.- 70. La morte di Laura lo consiglia a meditare seriamente su la vita avvenire. La bella donna che cotanto amavi, Subitamente s'è da noi partita, |