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Or quivi trionfò 'l Signor gentile Di noi e d'altri tutti, ch'ad un laccio Presi avea dal mar d'India a quel di Tile. Pensier in grembo, e vanitate in bracció: Diletti fuggitivi, e ferma noia; Rose di verno, a mezza state il ghiaccio: Dubbia speme davanti e breve gioia, Penitenza e dolor dopo le spalle, Qual nel regno di Roma o 'n quel di Troia. E rimbombava tutta quella valle D'acque e d'augelli, ed eran le sue rive Bianche, verdi, vermiglie, perse e gialle: Rivi correnti di fontane vive;

E 'l caldo tempo, su per l'erba fresca; E l'ombra folta e l'aure dolci estive: Poi, quando 'l verno l'aer si rinfresca, Tepidi Soli e giochi e cibi ed ozio Lento, ch'e simplicetti cori invesca. Era nella stagion che l'equinozio Fa vincitor il giorno, e Progne riede, Con la sorella, al suo dolce negozio.

O di nostra fortuna instabil fede! In quel loco, in quel tempo ed in quell' ora Che più largo tributo agli occhi chiede,

Trionfar volse quel che 'l vulgo adora: E vidi a qual servaggio ed a qual morte Ed a che strazio va chi s'innamora.

Errori, sogni ed immagini smorte
Eran d'intorno al carro trionfale;
E false opinioni in su le porte;

E lubrico sperar su per le scale:
E dannoso guadagno, ed util danno;
E gradi ove più scende chi più sale;

Stanco riposo, e riposato affanno;
Chiaro disnor, e gloria oscura e nigra :
Perfida lealtate, e fido inganno:
Sollicito furor, e ragion pigra:
Carcer ove si vien per strade aperte,
Onde per strette a gran pena si migra:
Ratte scese all'intrar, all'uscir erte;
Dentro, confusion turbida e mischia
Di doglie certe e d'allegrezze incerte.

Non bolli mai Vulcan, Lipari od Ischia, Stromboli o Mongibello in tanta rabbia, Poco ama sè chi 'n tal gioco s'arrischia. In così tenebrosa e stretta gabbia Rinchiusi fummo; ove le penne usate Mutai per tempo e la mia prima labbia.

E 'ntanto pur sognando libertate, L'alma, che 'l gran desio fea pronta e leve Consolai con veder le cose andate. Rimirando, er'io fatto al Sol di neve, Tanti spirti e sì chiari in carcer tetro, Quasi lunga pittura in tempo breve, Che 'lpiè va innanzi, e l'occhio torna indie

TRIONFO DELLA CASTITÀ.

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Con queste e con alquante anime chiare
Trionfar vidi di colui che pria
Veduto avea del mondo trionfare.
TRIONFO DELLA CASTITA.

CAPITOLO UNICO. - 5.

Primieramente si consola del non essere egli stato risparmiato da Amore, veggendo che non lo furono nè gl'Iddii nè gli uomini grandissimi e appresso si conforta dell'essere stata da lui risparmiata Laura, scorgendo che Amore non ha ciò fatto di volontà, ma per più non potere. Poi descrive l'assalto d'Amore e di Laura, dimostrando la fierezza di quello per alcune comparazioni; e racconta la vittoria avuta da Laura sopra il nemico, e la confusione di esso. Indi nomina alcune donne che assistettero al trionfo di Laura, e segna il luogo dov' ella trionfò; e narra come parimente Scipione l'accompagnasse infino a Roma al tempio della Pudicizia, al quale ella consacrò le spoglie della vittoria, e diede Amore prigione in guardia al toscano Spurina e ad altri.

Quando ad un giogo ed in un tempo quivi Domita l'alterezza degli Dei,

E degli uomini vidi al mondo divi;

PETRARCA.

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I' presi esempio de' lor stati rei, Facendomi profitto l'altrui male In consolar i casi e dolor miei:

Che s'io veggio d'un arco e d'uno strale Febo percosso e 'l giovine d'Abido, L'un detto Dio, l'altr'uom puro mortale;

E veggio ad un lacciuol Giunone e Dido, Ch'amor pio del suo sposo a morte spinse. Non quel d'Enea com'è 'l pubblico grido: Non mi debbo doler s'altri mi vinse Giovine, incauto, disarmato e solo. E se la mia nemica Amor non strinse, Non è ancor giusta assai cagion di duolo: Chè in abito il rividi ch'io ne piansi: Si tolte gli eran l'ali e 'l gire a volo. Non con altro romor di petto dansi Duo leon fieri, o duo folgori ardenti, Ch' a cielo e terra e mar dar loco fansi, Ch'i' vidi Amor con tutti suo'argomenti Mover contra colei di ch' io ragiono, E lei più presta assai che fiamma o venti. Non fan sì grande e sì terribil suono Etna qualor da Encelado è più scossa, Scilla e Cariddi quand'irate sono,

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