Non attende pace, nè disinganno del suo amore, se non che dalla morte. Quanto piùm'avvicino al giorno estremo Si va struggendo; onde noi pace avremo : Laura inferma gli apparisce in sogno, Già fiammeggiava l' amorosa stella Suol far gelosa, nel settentrione Rotava i raggi suoi lucente e bella: Levata era a filar la vecchierella, Discinta e scalza, e desto avea 'l carbone; Egli amanti pungea quella stagione Che per usanza a lagrimar gli appella: Quando mia speme, già condotta al verde, Giunse nel cor, non per l'usata via; Che 'l sonno tenea chiusa, e 'l dolor molle; Quanto cangiata, oimè, da quel di pria! E parea dir: Perchè tuo valor perde? Veder questi occhi ancor non ti si tolle. Raffigura la sua Donna ad un laure, e prega Apollo a difenderlo dalle tempeste. Apollo, s'ancor vive il bel desio Che t'infiammava alle tessaliche onde, E se non hai l'amate chiome bionde, Volgendo gli anni, già poste in oblio; Dal pigro gelo e dal tempo aspro e rio, Che dura quanto 'l tuo viso s'asconde, Difendi or l'onorata e sacra fronde, Ove tu prima, e poi fu' invescat' io; E per virtù dell'amorosa speme Che ti sostenne nella vita acerba, Di queste impressior l'aere disgombra. Si vedrem poi per maraviglia insieme Seder la Donna nostra sopra l' erba E far delle sue braccia a sè stess' ombra. Vive solitario, e si allontana da tutti, ma ha sempre Amore in sua compagnia. Solo e pensoso i più deserti campi Vo misurando a passi tardi e lenti; E gli occhi porto, per fuggir, intenti, Dove vestigio uman l' arena stampi. Altro schermo non trovo che mi scampi Dal manifesto accorger delle genti; Perchè negli atti d' allegrezza spenti Di fuor si legge com'io dentro avvampi : Sì ch'io mi credo omai che monti e piagge E fiumi e selve sappian di che tempre Sia la mia vita, ch'è celata altrui. Ma pur sì aspre vie nè sì selvagge Cercar non so, ch' Amor non venga sempre Ragionando con meco, ed io con lui. Conosce che la morte nol può trarre d'affanno; e nondimeno, stanco, la invita. S'io credessi per morte essere scarco Ma perch' io temo che sarebbe un varco La CANZONE III. 8. Mesto per essere lontano da Laura, arde di sommo desiderio di rivederla. Si è debile il filo a cui s' attene Che, s'altri non l' aita, Ella fia tosto di suo corso a riva : Feci, solo una spene È stato infin a qui cagion ch'io viva; Sia dell' amata vista, Che sai s' a miglior tempo anco ritorni O se 'l perduto ben mai si racquista ? Ch'assai spazio non aggio Pur a pensar com' io corro alla morte. Dell' avverso orizzonte Giunto 'l vedrai per vie lunghe e distorte. Le vite son sì corte, Sì gravi i corpi e frali |