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Degli uomini mortali,

Che quand' io mi ritrovo dal bel viso
Cotanto esser diviso,

Col desio non possendo mover l' ali,
Poco m' avanza del conforto usato,
Nè so quant' io mi viva in questo stato.
Ogni loco m'attrista, ov' io non veggio
Que' begli occhi soavi

Che portaron le chiavi

De'miei dolci pensier, mentr'a Dio piacque:
E perchè 'l duro esilio più m' aggravi,
S'io dormo o vado o seggio,

Altro giammai non chieggio,

E ciò ch'i' vidi dopo lor, mi spiacque.
Quante montagne ed acque,

Quanto mar quanti fiumi

M'ascondon que' duo lumi,

Che quasi un bel sereno a mezzo 'l die
Fer le tenebre mie,

Acciocchè 'l rimembrar più mi consumi;
E quant' era mia vita allor gioiosa,
M'insegni la presente aspra e noiosa.
Lasso, se ragionando si rinfresca
Quell'ardente desio

Che nacque il giorno ch' io

Lassai di me la miglior parte addietro ; Es' Amor se ne va per lungo obblio; Chi mi conduce all' esca

Onde 'l mio dolor cresca?

E perchè pria, tacendo, non m' impetro?
Certo, cristallo o vetro

Non mostrò mai di fore
Nascosto altro colore,

Che l'alma sconsolata assai non mostri
Più chiari i pensier nostri,

E la fera dolcezza ch' è nel core,

Per gli occhi, che di sempre pianger vaghi Cercan dì e notte pur chi glien' appaghi. Novo piacer che negli umani ingegni Spesse volte si trova,

D'amar qual cosa nova

Più folta schiera di sospiri accoglia!

Ed io son un di quei che 'l pianger giova: E par ben ch' io m' ingegni

Che di lagrime pregni

Sien gli occhi miei, siccome 'l cor di doglia; E perchè a ciò m' invoglia

Ragionar de' begli occhi

(Nè cosa è che mi tocchi,

O sentir mi si faccia così addentro),
Corro spesso e rientro

Colà, donde più largo il duol trabocchi,
E sien col cor punite ambe le luci,
Ch' alla strada d'amor mi furon duci.
Le trecce d' ôr, che devrien fare il Sole
D'invidia molta ir pieno;

E'l bel guardo sereno,

Ove i raggi d' Amor sì caldi sono,
Che mi fanno anzi tempo venir meno;
E l'accorte parole,

Rade nel mondo o sole,

Che mi fer già di sè cortese dono,

Mi son tolte: e perdono

Più lieve ogni altra offesa,

Che l' essermi contesa

Quella benigna angelica salute,
Che 'l mio cor a virtute

Destar solea con una voglia accesa:
Tal ch'io non penso udir cosa giammai
Che mi conforte ad altro ch' a trar guai.
E per pianger ancor con più diletto,
Le man bianche sottili,

E le braccia gentili,

E gli atti suoi soavemente alteri,
E i dolci sdegni alteramente umíli,
E'l bel giovenil petto

Torre d'alto intelletto,

Mi celan questi luoghi alpestri e feri;
E non so s' io mi speri

Vederla anzi ch'io mora;

Però ch' ad ora ad ora

S'erge la speme, e poi non sa star ferma,
Ma ricadendo afferma

Di mai non veder lei che 'l Ciel onora,
Ove alberga onestade e cortesia,
E dov' io prego che 'l mio albergo sia.
Canzon, s' al dolce loco

La Donna nostra vedi,

Credo ben che tu credi

Ch'ella ti porgerà la bella mano,
Ond' io son sì lontano.

Non la toccar; ma reverente a' piedi
Le dì' ch' io sarò là tosto ch'io possa,

O spirto ignudo, od uom di carne e d'ossa.

SONETTO XXIV. 30.

Si lagna del velo e della mano di Laura, che gli tolgon la vista de' suoi begli occhi.

mare,

Orso, e'non furon mai fiumi, nè stagni, ov'ogni rivo si disgombra; Nè di muro o di poggio o di ramo ombra; Nè nebbia, che 'l ciel copra e 'l mondo bagni; Nè altro impedimento, ond' io mi lagni, Qualunque più l'umana vista ingombra, Quanto d'un vel che due begli occhi adombra, E par che dica: Or ti consuma e piagni. E quel lor inchinar, ch'ogni mia gioia Spegne, o per umiltate o per orgoglio, Cagion sarà che 'nnanzi tempo i'moia. E d'una bianca mano anco mi doglio, Ch'è stata sempre accorta a farmi noia, E contra gli occhi miei s'è fatta scoglio.

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Rimproverato di aver tanto differito a visitarla, ne adduce le scuse.

Io temo sì de' begli occhi l'assalto, Ne' quali Amore e la mia morte alberga,

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