Degli uomini mortali, Che quand' io mi ritrovo dal bel viso Col desio non possendo mover l' ali, Che portaron le chiavi De'miei dolci pensier, mentr'a Dio piacque: Altro giammai non chieggio, E ciò ch'i' vidi dopo lor, mi spiacque. Quanto mar quanti fiumi M'ascondon que' duo lumi, Che quasi un bel sereno a mezzo 'l die Acciocchè 'l rimembrar più mi consumi; Che nacque il giorno ch' io Lassai di me la miglior parte addietro ; Es' Amor se ne va per lungo obblio; Chi mi conduce all' esca Onde 'l mio dolor cresca? E perchè pria, tacendo, non m' impetro? Non mostrò mai di fore Che l'alma sconsolata assai non mostri E la fera dolcezza ch' è nel core, Per gli occhi, che di sempre pianger vaghi Cercan dì e notte pur chi glien' appaghi. Novo piacer che negli umani ingegni Spesse volte si trova, D'amar qual cosa nova Più folta schiera di sospiri accoglia! Ed io son un di quei che 'l pianger giova: E par ben ch' io m' ingegni Che di lagrime pregni Sien gli occhi miei, siccome 'l cor di doglia; E perchè a ciò m' invoglia Ragionar de' begli occhi (Nè cosa è che mi tocchi, O sentir mi si faccia così addentro), Colà, donde più largo il duol trabocchi, E'l bel guardo sereno, Ove i raggi d' Amor sì caldi sono, Rade nel mondo o sole, Che mi fer già di sè cortese dono, Mi son tolte: e perdono Più lieve ogni altra offesa, Che l' essermi contesa Quella benigna angelica salute, Destar solea con una voglia accesa: E le braccia gentili, E gli atti suoi soavemente alteri, Torre d'alto intelletto, Mi celan questi luoghi alpestri e feri; Vederla anzi ch'io mora; Però ch' ad ora ad ora S'erge la speme, e poi non sa star ferma, Di mai non veder lei che 'l Ciel onora, La Donna nostra vedi, Credo ben che tu credi Ch'ella ti porgerà la bella mano, Non la toccar; ma reverente a' piedi O spirto ignudo, od uom di carne e d'ossa. SONETTO XXIV. 30. Si lagna del velo e della mano di Laura, che gli tolgon la vista de' suoi begli occhi. Nè mare, Orso, e'non furon mai fiumi, nè stagni, ov'ogni rivo si disgombra; Nè di muro o di poggio o di ramo ombra; Nè nebbia, che 'l ciel copra e 'l mondo bagni; Nè altro impedimento, ond' io mi lagni, Qualunque più l'umana vista ingombra, Quanto d'un vel che due begli occhi adombra, E par che dica: Or ti consuma e piagni. E quel lor inchinar, ch'ogni mia gioia Spegne, o per umiltate o per orgoglio, Cagion sarà che 'nnanzi tempo i'moia. E d'una bianca mano anco mi doglio, Ch'è stata sempre accorta a farmi noia, E contra gli occhi miei s'è fatta scoglio. Rimproverato di aver tanto differito a visitarla, ne adduce le scuse. Io temo sì de' begli occhi l'assalto, Ne' quali Amore e la mia morte alberga, |