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Prega un amico a volergli imprestar le opere del Padre Santo Agostino.

S'Amore o Morte non da qualche stroppio Alla tela novella ch'ora ordisco,

E s'io mi svolvo dal tenace visco

Mentre che l'un con l'altro vero accoppio;
I' farò forse un mio lavor sì doppio
Tra lo stil de' moderni e 'l sermon prisco,
Che (paventosamente a dirlo ardisco)
Infin a Roma n'udirai lo scoppio.

Ma però che mi manca, a fornir l'opra, Alquanto delle fila benedette

Ch'avanzaro a quel mio diletto padre;

Perchè tien verso me le man sì strette Contra tua usanza? i' prego che tu l'opra, E vedrai riuscir cose leggiadre.

CANZONE II. — - 11.

A Cola di Rienzo, pregandolo di restituire a Roma l'antica sua libertà.

Spirto gentil che quelle membra reggi Dentro alle qua' peregrinando alberga

Un signor valoroso, accorto e saggio;
Poi che se' giunto all' onorata verga
Con la qual Roma e suoi erranti correggi,
E la richiami al suo antico viaggio,
Io parlo a te, però ch'altrove un raggio
Non veggio di vertù, ch'al mondo è spenta,
Nè trovo chi di mal far si vergogni.
Che s'aspetti non so nè che s'agogni
Italia, che suoi guai non par che senta,
Vecchia, oziosa e lenta.

Dormirà sempre, e non fia chi la svegli?
Le man l'avess' io avvolte entro capegli!

Non spero che giammai dal pigro sonno
Mova la testa, per chiamar ch'iom faccia;
Sì gravemente è oppressa e di tal soma.
Ma non senza destino alle tue braccia,
Che scuoter forte e sollevarla pouno,
E or commesso il nostro capo Roma.
Pon man in quella venerabil chioma
Securamente e nelle trecce sparte,
Sì che la neghittosa esca del fango.
I' che dì e notte del suo strazio piango,
Di mia speranza ho in te la maggior parte:
Che se 'l popol di Marte

Devesse al proprio onor alzar mai gli occhi,
Parmi pur ch' a'tuoi dì la grazia tocchi.
L'antiche mura ch'ancor teme ed ama
E trema 'l mondo quando si rimembra
Del tempo andato e 'ndietro si rivolve;
E i sassi dove fur chiuse le membra
Di ta' che non saranno senza fama
Se l'universo pria non si dissolve;
E tutto quel ch'una ruina involve,
Per te spera saldar ogni suo vizio.
grandi Scipioni, o fedel Bruto,
Quanto v'aggrada, se gli è ancor venuto
Romor laggiù del ben locato offizio!
Come cre' che Fabrizio

Si faccia lieto udendo la novella!
E dice: Roma mia sarà ancor bella.

E se cosa di qua nel ciel si cura,
L'anime che lassù son cittadine,
Ed hanno i corpi abbandonati in terra,
Del lungo odio civil ti pregan fine,
Per cui la gente ben non s'assecura,
Onde 'I cammin a' lor tetti si serra,
Che fur già si devoti, ed ora in guerra
Quasi spelunca di ladron son fatti,

Tal ch'a' buon solamente uscio si chiude;
E tra gli altari, e tra le statue ignude
Ogn'impresa crudel par che si tratti.
Deh quanti diversi atti!

Nè senza squille s'incomincia assalto,
Che per Dio ringraziar fur poste in alto.

Le donne lagrimose, e 'l vulgo inerme
Della tenera etate, e i vecchi stanchi,
C'hanno sè in odio e la soverchia vita,
E i neri fraticelli e i bigi e i bianchi,
Con l'altre schiere travagliate e 'nferme,
Gridan: O signor nostro, aita aita;
È la povera gente sbigottita
Ti scuopre le sue piaghe a mille a mille,
Ch'Annibale, non ch'altri, farian pio.
E se ben guardi alla magion di Dio,
Ch'arde oggi tutta, assai poche faville
Spegnendo, fien tranquille

Le voglie, che si mostran sì infiammate;
Onde fien l'opre tue nel ciel laudate.
Orsi, lupi, leoni, aquile e serpi
Ad una gran marmorea colonna
Fanno noia sovente, èd a sè danno.
Di costor piagne quella gentil donna,

Che t'ha chiamato, acciocchè di lei sterpi
Le male piante che fiorir non sanno.
Passato è già più che 'I millesimo anno
Che 'n lei mancâr quell' anime leggiadre
Che locata l'avean là dov' ell' era.
Ahi nova gente oltra misura altera,
Irreverente a tanta ed a tal madre!
Tu marito, tu padre;

Ogni soccorso di tua man s'attende;
Chè 'l maggior padre ad altr' opera intende.
Rade volte addivien ch'all' alte imprese
Fortuna ingiuriosa non contrasti,
Ch' agli animosi fatti mal s'accorda.
Ora sgombrando 'l passo onde tu intrasti,
Fammisi perdonar molt' altre offese;
Ch'almen qui da sè stessa si discorda:
Però che, quanto 'l mondo si ricorda,
Ad uom mortal non fu aperta la via
Per farsi, come a te, di fama eterno;
Che puoi drizzar, s'i' non falso discerno,
In stato la più nobil monarchia.
Quanta gloria ti fia

Dir: Gli altri l' aitâr giovine e forte;

Questi in vecchiezza la scampò da morte!

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