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Già dell' usanza pessima ed antica

Del ver sempre nemica.

Proverai tua ventura

Fra magnanimi pochi, a chi 'l ben piace: Di'lor: Chi m'assicura?

I' vo gridando: Pace, pace, pace.

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Inveis ce contro gli scandali che recava a que' tempi la corte d' Avignone.

Fiamma dal ciel sulle tue trecce piova, Malvagia, che dal fiume e dalle ghiande, Per l'altru'impoverir se' ricca e grande; Poi che di mal oprar tanto ti giova: Nido di tradimenti, in cui si cova Quanto mal per lo mondo oggi si spande; Di vin serva, di letti e di vivande, In cui lussuria fa l'ultima prova.

Per le camere tue fanciulle e vecchi Vanno trescando, e Belzebub in mezzo, Co'mantici e col foco e con gli specchi.

Già non fostu nudrita in piume al rezzo, Ma nuda al vento, e scalza fra li stecchi; Or vivi sì, ch'a Dio ne venga il lezzo.

SONETTO XV.-106.

Predice a Roma la venuta di un gran personaggie che la ritornerà all'antica virtù,

L'avara Babilonia ha colmo 'l sacco D'ira di Dio, e di vizi empi e rei, Tanto che scoppia; ed ha fatti suoi Dei, Non Giove e Palla, ma Venere e Bacco. Aspettando ragion mi struggo e fiacco: Ma pur novo Soldan veggio per lei, Lo qual farà, non già quand'io vorrei, Sol una sede; e quella fia in Baldacco. Gl'idoli suoi saranno in terra sparsi, E le torri superbe, al Ciel nemiche; E suoi torrier di for come dentr'arsi.

Anime belle e di virtute amiche Terranno 'l mondo: e poi vedrem lui farsi Aurco tutto e pien dell'opre antiche.

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Attribuisce la reità della corte di Roma
alle donazioni fattele da Costantino.

Fontana di dolore, albergo d'ira,
Scola d'errori, e tempio d'eresia ;

Già Roma, or Babilonia falsa e ria,
Per cui tanto si piagne e si sospira :

O fucina d'inganni, o prigion d' ira, Ove 'l ben more, e 'l mal si nutre e cria; Di vivi inferno; un gran miracol fia Se Cristo teco al fine non s'adira. Fondata in casta ed umil povertate, Contra tuoi fondatori alzi le corna, Putta sfacciata: e dov' hai posto spene? Negli adulteri tuoi, nelle mal nate Ricchezze tante? or Costantin non torna: Ma tolga il mondo tristo che 'l sostene.

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Lontano da suoi amici, vola tra lor col pensiero, e si arresta col core.

Quanto più disïose l'ali spando Verso di voi, o dolce schiera amica, Tanto Fortuna con più visco intrica Il mio volare, e gir mi face errando.

11 cor, che mal suo grado attorno mando, E con voi sempre in quella valle aprica, Ove 'l mar nostro più la terra implica. L'altr'ier da lui parti'mi lagrimando.

I'da man manca, e' tenne il cammin dritto;
I' tratto a forza, ed e' d'Amore scorto;
Egli in Gerusalem, ed io in Egitto.

Ma sofferenza è nel dolor conforto:
Chè per lungo uso, già fra noi prescritto,
Il nostro esser insieme è raro e corto.

SONETTO XVIII. — 133.

Dichiara che s'e'avesse continuato nello studio,
avrebbe ora la fama di gran poeta.

S'io fossi stato fermo alla spelunca
Là dov' Apollo diventò profeta,
Fiorenza avria fors' oggi il suo poeta,
Non pur Verona e Mantoa ed Arunca:

Ma perchè 'l mio terren più non s'ingiunca
Dell'umor di quel sasso, altro pianeta
Conven ch' i'segua, c del mio campo mieta
Lappole e stecchi con la falce adunca.
L'oliva è secca, ed è rivolta altrove
L'acqua che di Parnaso si deriva,
Per cui in alcun tempo ella fioriva.
Così sventura ovver colpa mi priva
D'ogni buon frutto; se l'eterno Giove
Della sua grazia sopra me non piove.

SONETTO XIX. - 196.

De' gravi danni recati dall'ira non frenata, su gli esempi d' uomini illustri.

Vincitor Alessandro l'ira vinse, E fel minore in parte che Filippo : Che li val se Pirgotele o Lisippo L'intagliâr solo, ed Apelle il dipinse? L'ira Tideo a tal rabbia sospinse, Che morend'ei si rose Menalippo : L'ira cieco del tutto, non pur lippo, Fatto avea Silla; all'ultimo l'estinse. Sal Valentinian, ch'a simil pena Ira conduce; e sal quei che ne more, Aiace, in molti e po' in sè stesso forte. Ira è breve furor; e chi nol frena, E furor lungo, che 'l suo possessore Spesso a vergogna, e talor mena a morte.

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Ringrazia Giacomo Colonna de' suoi sentimenti affettuosi verso di lui.

Mai non vedranno le mie luci asciutte Con le parti dell' animo tranquille,

PETRARCA.

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