SONETTO XXXII. 39. Timido e vergognoso nel rimirare gli occhi di lei, il desiderio gliene dà coraggio. I' sentia dentr' al cor già venir meno Gli spirti che da voi ricevon vita: E, perchè naturalmente s'aita Contra la morte ogni animal terreno, Largai 'l desio,ch'i'tengo or molto a freno, E misil per la via quasi smarrita; Però che di e notte indi m'invita, Ed io contra sua voglia altronde il meno. E' mi condusse vergognoso e tardo A riveder gli occhi leggiadri, ond' io, Per non esser lor grave, assai mi guardo. Vivrommi un tempo omai; ch' al viver mio Tanta virtude ha sol un vostro sguardo; E poi morrò, s'io non credo al desio. Fermo di voler palesare a Laura i suoi mali, Se mai foco per foco non si spense, Ma sempre l'un per l'altro simil poggia, E spesso l'un contrario l' altro accense; Amor, tu ch'i pensier nostri dispense, Al qual un'alma in duo corpi s'appoggia, Perchè fa'in lei con disusata foggia Men, per molto voler, le voglie intense? Forse, siccome 'l Nil, d'alto caggendo, Col gran suono i vicin d'intorno assorda; E'l Sol abbaglia chi ben fiso il guarda; Così 'I desio, che seco non s'accorda, Nello sfrenato obbietto vien perdendo, E, per troppo spronar, la fuga è tarda? SONETTO XXXIV. 41. Alla presenza di Laura non può più parlare, nè piangere, nè sospirare. Perch'io t'abbia guardato di menzogna A mio podere, ed onorato assai, Ingrata lingua, già però non m' hai Renduto onor, ma fatto ira e vergogna: Chè quando più 'l tuo aiuto mi bisogna Per dimandar mercede, allor ti stai Sempre più fredda; e se parole fai, Sono imperfette e quasi d'uom che sogna. Lagrime triste, e voi tutte le notti M'accompagnate, ov' io vorrei star solo: Poi fuggite dinanzi alla mia pace. E voi si pronti a darmi angoscia e duolo, Sospiri, allor traete lenti e rotti. Sola la vista mia del cor non tace. CANZONE IV. - 9. Tutti riposano dopo le lor fatiche, ed egli non ha mai tregua con Amore. Nella stagion che 'l ciel rapido inchina Verso occidente, e che 'l dì nostro vola A gente che di là forse l'aspetta ; Veggendosi in lontan paese sola, La stanca vecchierella pellegrina Raddoppia i passi, e più e più s'affretta ; E poi così soletta Al fin di sua giornata Talora è consolata D'alcun breve riposo, ov'ella obblia Per partirsi da noi l'eterna luce. Come 'l Sol volge le 'nfiammate rote Per dar luogo alla notte, onde discende Dagli altissimi monti maggior l'ombra, L'avaro zappador l'arme riprende, E con parole e con alpestri note Ogni gravezza del suo petto sgombra; E poi la mensa ingombra Di povere vivande, Simili a quelle ghiande Le qua'fuggendo tutto il mondo onora. Ma chi vuol, si rallegri ad ora ad ora; Ch'i' pur non ebbi ancor, non dirò lieta, Ma riposata un' ora Nè per volger di ciel nè di pianeta. Quando vede 'l pastor calare i raggi Del gran pianeta al nido ov'egli alberga, E 'mbrunir le contrade d'orïente, Drizzasi in piedi, e con l'usata verga, Lassando l'erba e le fontane e i faggi, Move la schiera sua soavemente; Poi lontan dalla gente, O casetta o spelunca Di verdi frondi ingiunca: Ivi senza pensier s'adagia e dorme. Ahi, crudo Amor, ma tu allor più m'informe E lei non stringi, che s' appiatta e fugge. E'l mondo e gli animali Fine non pongo al mio ostinato affanno; Nè posso indovinar chi me ne scioglia. |