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ventuno, perchè la ben amata donna morì nel 1348, nel giorno e nell'ora stessa in cui la vide la prima volta il poeta. Incarnando l'idea sull'amore del magno Platone, lei celebrò con versi immortali, in cui una passione ardentissima, ma non mai contaminata, si veste delle forme più leggiadre: nuova poesia, ignota alle classiche età di Grecia e di Roma; poesia, le cui poche macchie si perdono, come quelle del Sole, nel soverchio della luce.

Nè il Petrarca fu grande soltanto come poeta erotico. I suoi Sonetti contro il lusso, le simonie, l'avarizie e gli osceni vizi della Corte avignonese, lui mostrano degno erede della magnanima bile di Dante: cui imitò anche nell' amore all'Italia, che voleva grande, forte e unita; e quelle Canzoni, in cui trattò di patria, sono modelli di poesia nazionale, e fra i primi poeti civili lo insediano. Il suo poema latino L'Africa fu creduto ai suoi tempi un miracolo, e gli acquistò maggior fama che le poesie italiane, cui

era solito chiamare volgari bagattelle; nè per esse si sarebbe cinto di corona in Campidoglio (1341, 8 aprile) con antica pompa. Eletto arcidiacono di Parma (1342) e in seguito anche di Padova, fece parte dell'ambasceria spedita dai Romani a Clemente VI per indurlo a riportare in Roma il seggio pontificale, e di molte altre ambascerie fu incaricato da papi, principi e repubbliche, con cui tenne sempre viva corrispondenza, e che di squisiti onori lo colmarono. Solo Innocenzo VI lo ebbe per mago, perchè lui sapeva appassionato di Virgilio; ma non gli diè molestia, come diè altro papa al Galileo. Firenze gli restituì i beni (1352) confiscati al padre; e volle con fiorentina cortesia, che il Boccaccio gli portasse il decreto. Carlo IV imperatore (1356) lo creò conte palatino; e già il buon re Roberto di Napoli gli aveva regalato il suo manto reale da portarsi alla incoronazione nel Campidoglio; e la severa Repubblica di

Venezia (1364) lo aveva fatto sedere in pubblico spettacolo alla destra del Doge. Il Petrarca non era che un umil prete; ma il suo senno, la gran fama, la scienza, le virtù lo resero a' suoi tempi potentissimo. Egli scrisse parole ardite a papa Urbano V, affinchè tornasse in Italia; e il papa, in luogo di sdegnarsene, tornò: tanto un sommo ingegno potè allora anche sopra un papa. Il Petrarca fu grande come poeta, come erudito, come politico; e può dirsi, dopo Dante, il secondo padre delle lettere risorte. Ma dell' Alighieri (cosa incredibile) egli non faceva gran conto; o perchè insofferente di quell'altezza non superabile, o perchè di genio in gran parte opposto, o perchè avesse in dispregio il volgare, non leggendo, come Dante, nell'avvenire. Fu amicissimo di tutti gli uomini dotti e grandi del suo secolo, e specialmente di Stefano Colonna; e plaudì al conato infelice di Cola di Rienzo. Non parteggiò nè per Guelfi nè per Ghibellini, ma per

Italia. Laura e Italia, ecco i suoi due grandi amori. Ma i ben locati affetti dai bassi piaceri non lo distolsero, e due.figli ebbe naturali; colpa comune del chiericato di quell'età, nè casto nè cauto. Acquistò gran fama come latinista; ma poco durò. Seppe quanto saper si poteva in quell' età: spargendo in tutta Italia un ardore per gli studi maraviglioso, che largamente fruttificò. Fiero co' suoi detrattori, fu amico fermo e operoso; e legò al Boccaccio povero cinquanta fiorini d'oro a comprarsi un abito da inverno pe' suoi studi e per le sue veglie. Non mai fermo in nessun luogo, finì gli ultimi cinque anni sui colli Euganei a'18 luglio 1374 in Arquà: borgo prima ignobile, poi famoso; ed ebbe splendidi e pubblici onori, come vivendo, così dopo morte: fatto non diremo rarissimo, ma singolare in Italia: che ai grandi' suoi figli prima è madre, e poi matrigna.

FILIPPO UGOLINI.

PARTE PRIMA.

SONETTI E CANZONI

IN VITA DI MADONNA LAURA.

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