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Vorrà sempre amarla, benchè non vedesse mai più i suoi occhi, nè i suoi capelli.

Perchè quel che mi trasse ad amar prima Altrui colpa mi toglia,

Del mio fermo voler già non mi svoglia.
Tra le chiome dell'ôr nascose il laccio,
Al qual mi strinse, Amore;

E da' begli occhi mosse il freddo ghiaccio
Che mi passò nel core

Con la virtù d'un subito splendore,
Che d'ogni altra sua voglia,

Sol rimembrando, ancor l'anima spoglia.
Tolta m'è poi di que' biondi capelli,

Lasso, la dolce vista;

E'l volger di duo lumi onesti e belli

Col suo fuggir m'attrista:

Ma perchè ben morendo onor s'acquista,

Per morte nè per doglia

Non vo' che da tal nodo Amor mi scioglia.

SONETTO XXXVIII. 46.

Non abbia più privilegi quel Lauro, che di dolce e gentile gli si fece spietato.

L'arbor gentil che forte amai molt'anni,
Mentre i bei rami non m'ebber a sdegno,
Fiorir faceva il mio debile ingegno
Alla sua ombra, e crescer negli affanni,
Poi che, securo me di tali inganni,
Fece di dolce sè spietato legno,
I' rivolsi i pensier tutti ad un segno,
Che parlan sempre de'lor tristi danni.

Che porà dir chi per Amor sospira,
S'altra speranza le mie rime nove
Gli avesser data, e per costei la perde?
Nè poeta ne colga mai, nè Giove
La privilegi; ed al Sol venga in ira
Tal che si secchi ogni sua foglia verde.

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Benedice tutto ciò che fu cagione od effetto del suo amore verso di lei.

Benedetto sia 'l giorno e 'l mese e l'anno E la stagione e 'l tempo e l'ora e 'l punto

E'l bel paese e 'l loco ov'io fui giunto
Da duo begli occhi, che legato m'hanno:
E benedetto il primo dolce affanno
Ch'i' ebbi ad esser con Amor congiunto,
E l'arco e le saette ond'io fui punto,
E le piaghe ch' infin al cor mi vanno.
Benedette le voci tante ch'io

Chiamando il nome di mia Donna, ho sparte,
Ei sospiri e le lagrime e 'l desio;

E benedette sien tutte le carte

Ov'io fama le acquisto, e 'l pensier mio, Ch'è sol di lei sì ch'altra non v'ha parte.

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Avvedutosi delle sue follie, prega Dio
che lo torni ad una vita migliore.

Padre del Ciel, dopo i perduti giorni,
Dopo le notti vaneggiando spese
Con quel fero desio ch'al cor s'accese
Mirando gli atti per mio mal sì adorni;
Piacciati omai, col tuo lume, ch'io torni
Ad altra vita ed a più belle imprese;
Si ch'avendo le reti indarno tese,
Il mio duro avversario se ne scorni.

PETRARCA.

5

Or volge, Signor mio, l'undecim'anno Ch'i' fui sommesso al dispietato giogo, Che sopra i più soggetti è più feroce.

Miserere del mio non degno affanno; Riduci i pensier vaghi a miglior luogo; Rammenta lor com' oggi fosti in croce.

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Prova che la sua vita è nelle mani di Laura, da che potè dargliela con un saluto.

Volgendo gli occhi al mio nuovo colore, Che fa di morte rimembrar la gente, Pietà vi mosse; onde, benignamente Salutando, teneste in vita il core.

La frale vita ch'ancor meco alberga,
Fu de' begli occhi vostri aperto dono
E della voce angelica soave.
Da lor conosco l'esser ov' io sono;
Chè, come suol pigro animal per verga,
Così destaro in me l'anima grave.

Del mio cor, Donna, l'una e l'altra chiave
Avete in mano; e di ciò son contento,
Presto di navigar a ciascun vento;

Ch' ogni cosa da voi m' è dolce onore,

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Persuade Laura a non volere odiare quel core,
dond' ella non può più uscire.

Se voi poteste per turbati segni,
Per chinar gli occhi o per piegar la testa,
per esser più d'altra al fuggir presta,
Torcendo 'l viso a' prieghi onesti e degni,
Uscir giammai, ovver per altri ingegni,
Del petto, ove dal primo lauro innesta.
Amor più rami: i' direi ben che questa

Fosse giusta cagione a' vostri sdegni:

·

Chè gentil pianta in ârido terreno

Par che si disconvenga, e però lieta
Naturalmente quindi si diparte.

Ma poi vostro destino a voi pur vieta
L'esser altrove, provvedete almeno
Di non star sempre in odiosa parte.

SONETTO XLII. 50.

Prega Amore di accendere in essa quel foco, dalle cui fiamme ei non ha più scampo.

Lasso, che mal accorto fui da prima Nel giorno ch' a ferir mi venne Amore,

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