Ch'a passo a passo è poi fatto signore Della mia vita, e posto in sulla cima. Io non credea, per forza di sua lima, Che punto di fermezza o di valore Mancasse mai nell'indurato core: Ma così va chi sopra 'l ver s'estima. Da ora innanzi ogni difesa è tarda Altra, che di provar s'assai o poco Questi preghi mortali Amore sguarda. Non prego già, nè puote aver più loco, Che misuratamente il mio cor arda; Ma che sua parte abbia costei del foco. Rassomiglia Laura all'inverno, e prevede che tale gli sarà sempre. L'aer gravato, e l'importuna nebbia Compressa intorno da rabbiosi venti, Tosto conven che si converta in pioggia: E già son quasi di cristallo i fiumi; E 'n vece dell' erbetta, per le valli Non si ved' altro che pruine e ghiaccio. Ed io nel cor via più freddo che ghiaccio, Ho di gravi pensier tal una nebbia, Qual si leva talor di queste valli In picciol tempo passa ogni gran pioggia Ch' allor fia un dì Madonna senza 'l ghiaccio Ben debb' io perdonare a tutt'i venti Mi chiuse tra 'lbelverde e 'l dolce ghiaccio; Tal ch'i'dipinsi poi per mille valli L'ombra, ov'io fui; che nè calor nè pioggia, Nè suon curava di spezzata nebbia. Ma non fuggío giammai nebbia per venti Come quel dì, nè mai fiume per pioggia, Nè ghiaccio quando 'l Sol apre le valli. Caduto in un rio, dice che gli occhi non glieli può asciugare che Laura. Del mar tirreno alla sinistra riva, Di cui conven che 'n tante carte scriva. Solo, ov'io era tra boschetti e colli, Vergogna ebbi di me: ch' al cor gentile Basta ben tanto; ed altro spron non volli. Piacemi almen d'aver cangiato stile Dagli occhi a'piè; se del lor esser molli Gli altri asciugasse un più cortese aprile. È combattuto in Roma dai due pensieri, o di ritornarsene a Dio, o alla sua Donna. L'aspetto sacro della terra vostra Mi fa del mal passato tragger guai. Gridando: Sta'su, misero: che fai? E la via di salir al Ciel mi mostra. Ma con questo pensier un altro giostra, E dice a me: Perchè fuggendo vai? Se ti rimembra, il tempo passa omai Di tornar a veder la Donna nostra. I', che 'l suo ragionar intendo allora, M'agghiaccio dentro in guisa d'uom ch'ascolta Novella che di subito l' accora. Poi torna il primo, e questo dà la volta. Qual vincerà, non so; ma infino ad ora Combattut' hanno, e non pur una volta. SONETTO XLV. 53. Destinato alla servitù di Amore, non potè Ben sapev' io che natural consiglio, Tanti lacciuol, tante impromesse false, I'fuggia le tue mani, e per cammino, CANZONE V. - 17. Vorrebbe consolarsi col canto, ma per propria colpa è costretto a piangere. Lasso me, ch'i' non so in qual parte pieghi La speme, ch'è tradita omai più volte. Che se non è chi con pietà m'ascolte, Perchè sparger al Ciel sì spessi preghi? Ma s'egli avvien ch'ancor non mi si nieghi Finir anzi 'l mio fine Queste voci meschine, Non gravi al mio Signor perch'io 'l ripreghi |