CANZONE VIII. 20. Trova ogni bene negli occhi di Laura, Poi che per mio destino A dir mi sforza quell'accesa voglia Che m'ha sforzato a sospirar mai sempre, Sia la mia scorta e 'nsegnimi 'l cammino, Nè permio ingegno (ond'io pavento e tremo), Trovo 'l gran foco della mente scemo; Trovar, parlando, al mio ardente desire Mi porse a ragionar quel ch'i'sentía: Or m'abbandona al tempo, e si dilegua. Si possente è il voler che mi trasporta; Che tenea 'l freno, e contrastar nol pote. Amor, in guisa che se mai percote Non mia ma di pietà la faccia amica. Ch'al vero onor fur gli animi sì accesi, Poggi ed onde passando; e l'onorate Non conven ch'i'trapasse e terra mute; Come a fontana d'ogni mia salute; E quando a morte desiando corro, Sol lor vista al mio stato soccorro. Come a forza di venti Stanco nocchier di notte alza la testa A'duo lumi c'ha sempre il nostro polo; Ch'i'sostengo d'amor, gli occhi lucenti Mi fa di loro una perpetua norma: Poi ch'io li vidi in prima, Senza lor a ben far non mossi un'orm..: Immaginar, non che narrar, gli effetti Di questa vita ho per minori assai; Move dal lor innamorato riso. Così vedess'io fiso Com' Amor dolcemente gli governa, Sol un giorno da presso, Senza volger giammai rota superna; Vo quel ch'esser non puote in alcun modo; Solamente quel nodo Ch' Amor circonda alla mia lingua, quando Volgon per forza il cor piagato altrove: E'l sangue si nasconde i'non so dove, Se non ragiona di Laura com' essa merita, Io son già stanco di pensar sì come E come a dir del viso e delle chiome E ch'e piè miei non son fiaccati e lassi Ed onde vien l'inchiostro, onde le carte Ch'i vo empiendo di voi: se 'n ciò fallassi, Colpa d'Amor, non già difetto d'arte. Riconforta sè stesso a non istancarsi nel lodare gli occhi della sua Donna. I begli occhi ond' i' fui percosso in guisa Ch'e medesmi porian saldar la piaga, |