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E non già virtù d'erbe o d'arte maga,
O di pietra dal mar nostro divisa;

M'hanno la via sì d'altro amor precisa,
Ch'un sol dolce pensier l'anima appaga;
E se la lingua di seguirlo è vaga,
La scorta può, non ella, esser derisa.
Questi son que' begli occhi che l'imprese
Del mio signor vittorïose fanno

In ogni parte, e più sovra 'l mio fianco.
Questi son que' begli occhi che mi stanno
Sempre nel cor con le faville accese;
Perch' io di lor parlando non mi stanco.

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La prigione di Amore lo lusinga si forte, chei uscendo, sospira di ritornarvi.

Amor con sue promesse lusingando Mi ricondusse alla prigione antica, E diè le chiavi a quella mia nemica, Ch'ancor me di me stesso tene in bando.

Non me n'avvidi, lasso, se non quando Fu'in lor forza; ed or con gran fatica (Chi 'l crederà perchè giurando il dica?) In libertà ritorno sospirando.

E come vero prigioniero afflitto,
Delle catene mie gran parte porto;

E'l cor negli occhi e nella fronte ho scritto.
Quando sarai del mio colore accorto,
Dirai: S'i' guardo e giudico ben dritto,
Questi avea poco andare ad esser morto.

SONETTO XLIX. 57.

Laura è sì bella, che Memmi non potea ben ritrarla se non che sollevandosi al Cielo.

Per mirar Policleto a prova fiso, Con gli altri ch'ebber fama di quell' arte, Mill'anni, non vedrian la minor parte Della beltà che m'ave il cor conquiso. Ma certo il mio Simon fu in Paradiso, Onde questa gentil donna si parte; 'Ivi la vide, e la ritrasse in carte, Per far fede quaggiù del suo bel viso. L'opra fu ben di quelle che nel Cielo Si ponno immaginar, non qui fra noi, Ove le membra fanno all'alma velo. Cortesia fe; nè la potea far poi Che fu disceso a provar caldo e gielo, E del mortal sentiron gli occhi suoi.

SONETTO L. - 58.

Niente più vorrebbe da Simone, s'egli avesse potuto dar l'anima a quel ritratto.

Quando giunse a Simon l'alto concetto Ch' a mio nome gli pose in man lo stile, S'avesse dato all'opera gentile Con la figura voce ed intelletto,

Di sospir molti mi sgombrava il petto, Che ciò ch' altri han più caro, a me fan vile: Però che in vista ella si mostra umíle, Promettendomi pace nell'aspetto:

Ma poi ch'i' vengo a ragionar con lei, Benignamente assai par che m'ascolte, Se risponder savesse a'detti miei. Pigmalion, quanto lodar ti dêi Dell'immagine tua, se mille volte N'avesti quel ch'io sol una vorrei!

SONETTO LI. 59.

Se l'ardore amoroso cresce ancora sì forte, prevede di dover presto morire.

S'al principio risponde il fine e 'l mezzo Del quartodecim'auno ch'io sospiro,

Più non mi può scampar l'aura nè 'l rezzo; Si crescer sento 'l mio ardente desiro.

Amor, con cu'i pensier mai non han mezzo, Sotto 'l cui giogo giammai non respiro, Tal mi governa, ch'i'non son già mezzo, Per gli occhi, ch' al mio mal sì spesso giro. Così mancando vo di giorno in giorno Si chiusamente, ch'i' sol me n'accorgo, E quella che, guardando, if cuor mi strugge. Appena infin a qui l'anima scorgo; Nè so quanto fia meco il suo soggiorno; Chè la morte s'appressa, e 'l viver fugge.

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Mal affidatosi alla fragile nave di Amore, prega Dio che lo drizzi a buon porto.

Chi è fermato di menar sua vita, Su per l'onde fallaci e per li scogli, Scevro da morte con un picciol legno, Non può molto lontan esser dal fine: Però sarebbe da ritrarsi in porto Mentre al governo ancor crede la vela. L'aura soave a cui governo e vela Commisi entrando all' amorosa vita,

E sperando venire a miglior porto,
Poi mi condusse in più di mille scogli;
E le cagion del mio doglioso fine

Non pur d'intorno avea, ma dentro al legno.
Chiuso gran tempo in questo cieco legno
Errai senza levar occhi alla vela,
Ch'anzi 'l mio di mi trasportava al fine;
Poi piacque a Lui che mi produsse in vita,
Chiamarmi tanto indietro dalli scogli,
Ch'almen da lunge m'apparisse il porto.
Come lume di notte in alcun porto
Vide mai d'alto mar nave nè legno,
Se non gliel tolse o tempestate o scogli;
Così di su dalla gonfiata vela
Vid'io le 'nsegne di quell' altra vita:
Ed allor sospirai verso 'l mio fine.

Non perch'io sia securo ancor del fine;
Chè volendo col giorno esser a porto,
E gran viaggio in così poca vita:
Poi temo, chè mi veggo in fragil legno,
E, più ch'i' non vorrei, piena la vela
Del vento che mi pinse in questi scogli.
S'io esca vivo de' dubbiosi scogli,

Ed arrive il mio esilio ad un bel fine,

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