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Ch'i' sarei vago di voltar la vela,
E l'ancore gittar in qualche porto;
Se non ch'i'ardo come acceso legno:
Si m' è duro a lassar l'usata vita.

Signor della mia fine e della vita,
Prima ch'i'fiacchi il legno tra gli scogli,
Drizza a buon porto l' affannata vela.

SONETTO LII. - 60.

Riconosce i propri errori, e invita sè stesso
ad ascoltar la voce di Dio.

Io son si stanco sotto 'I fascio antico
Delle mie colpe e dell'usanza ria,
Ch'i'temo forte di mancar tra via,
E di cader in man del mio nemico.

Ben venne a dilivrarmi un grande amico, Per somma ed ineffabil cortesia;

Poi volò fuor della veduta mia
Sì ch' a mirarlo indarno m'affatico.

Ma la sua voce ancor quaggiù rimbomba:
O voi che travagliate, ecco il cammino:
Venite a me, se 'l passo altri non serra.
Qual grazia, qual amore, e qual destino
Mi darà penne in guisa di colomba,
Ch'i' mi riposi, e levimi da terra?

SONETTO LIII. - 61.

Egli è quasi per abbandonarla, quand' ella non lasci d'essergli si crudele.

Io non fu'd'amar voi lassato unquanco, Madonna, nè sarò mentre ch' io viva; Ma d'odiar me medesmo giunto a riva, E del continuo lagrimar son stanco.

E voglio anzi un sepolcro bello e bianco, Che 'l vostro nome a mio danno si scriva In alcun marmo, ove di spirto priva Sia la mia carne, che può star seco anco. Però, s'un cor pien d' amorosa fede Può contentarvi senza farne strazio, Piacciavi omai di questo aver mercede.

Se 'n altro modo cerca d'esser sazio Vostro sdegno, erra; e non fia quel che crede: Di che Amor e me stesso assai ringrazio.

SONETTO LIV. — 62.

Non mai sicuro dalle frecce d'Amore, sentesi però assai forte per rintuzzarle.

Se bianche non son prima ambe le tempie, Ch' a poco a poco par che 'l tempo mischi,

Securo non sarò, bench'io m' arrischi
Talor ov' Amor l'arco tira ed empie.

Non temo già che piùmi strazi o scempie,
Nè mi ritenga, perch' ancor m'invischi,
Nè m' apra il cor, perchè di fuor l' incischi
Con sue saette velenose ed empie.

Lagrime omai dagli occhi uscir non ponno
Ma di gir infin là sanno il viaggio,
Si ch' appena fia mai chi 'l passo chiuda.
Ben mi può riscaldar il fiero raggio,
Non si ch' i' arda; e può turbarmi il sonno,
Ma romper no, l' immagine aspra e cruda.

SONETTO LV. 63.

Cerca se per gli occhi o pel cuore entrato sia l'amore suo verso di Laura.

Occhi, piangete; accompagnate il core, Che di vostro fallir morte sostene. Così sempre facciamo; e ne convene Lamentar più l' altrui che 'l nostro errore. Già prima ebbe per voi l'entrata Amore Là onde ancor, come in suo albergo, vene. Noi gli aprimmo la via per quella spene Che mosse dentro da colui che more.

Non son, com'a voi par, le ragion pari; Chè pur voi foste nella prima vista

Del vostro e del suo mal cotanto avari.

Or questo è quel che più ch'altro n'attrista; Ch'e perfetti giudicii son sì rari,

E d'altrui colpa altrui biasmo s'acquista.

SONETTO LVI. - 64.

Ama, ed amerà sempre il luogo, il tempo e l'ora in cui innamorossi di Laura.

Io amai sempre, ed amo forte ancora,
E son per amar più di giorno in giorno
Quel dolce loco ove piangendo torno
Spesse fïate quando Amor m' accora;

E son fermo d' amare il tempo e l'ora
Ch'ogni vil cura mi levâr d'intorno;
E più colei lo cui bel viso adorno
Di ben far co' suoi esempi m'innamora.

Ma chi pensò veder mai tutti insieme
Per assalirmi 'l cor or quindi or quinci,
Questi dolci nemici ch'i' tant' amo?

Amor, con quanto sforzo oggi mi vinci ! E, se non ch'al desio cresce la speme, I' cadrei morto ove più viver bramo.

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Si adira contro di Amore, perchè non l'uccise
dopo di averlo reso felice.

Io avrò sempre in odio la fenestra
Onde Amor m'avventò già mille strali,
Perch' alquanti di lor non fur mortali;
Ch' è bel morir mentre la vita è destra.
Ma 'l sovrastar nella prigion terrestra,
Cagion m' è, lasso, d'infiniti mali:
E più mi duol che fien meco immortali,
Poi che l'alma dal cor non si scapestra.
Misera! che dovrebbe esser accorta
Per lunga esperienza omai, che 'l tempo
Non è chi 'ndietro volga o chi l'affreni.
Più volte l'ho con tai parole scorta:
Vattene, trista; chè non va per tempo
Chi dopo lassa i suoi dì più sereni.

SONETTO LVIII. 66.

Chiama suoi nemici gli occhi di Laura,
che lo tengono in vita per tormentarlo.

Si tosto come avvien che l'arco scocchi, Buon sagittario di lontan discerne

PETRARCA,

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