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depredando i nazionali: quindi sulla promessa che facea Guido di osservare i suddetti capitoli, dichiararono i padri >>che per evitare orribili guerre e stragi nefande unanimamente l'ordinavano ,,in signor piissimo ed eccellentissimo re" non ostante l'ubbidienza che contra voglia s'era promessa ad altri, i quali sopraggiungendo l'inclito principe Guido due volte gia vinti, erano svaniti qual fumo“.

Recatosi egli dipoi a Roma, da papa Stefano V. venne incoronato imperador de' Romani (891.) Quali allora fossero i suoi disegni puossi inferire da una bolla di piombo pendente dai suoi diplomi, nella quale si mira dall' una parte il suo busto, e all' intorno: Wido. Imperator. Aug. e dall' altra: Renovatio. Regni. Franc. Nell' 892. s'associò nell' impero Lamberto suo figliuolo assai giovane, colla mira senza dubbio di perpetuare nella propria casa la dignità di nuovo acquistata. Berengario, altro ripiego non avendo, si rivolse al re Arnolfo, vincitore già de' Normanni e de' Moravi. Questi diffatti spedì in Italia Svatopluc, suo figlio bastardo, che a dirittura s'inviò a Pavia per farne l'assedio (893.) Ma a Guido riuscì di farlo ritornare in Germania, senzachè avesse operato nulla in favor di Berengario, il quale passò in Baviera per supplicare Arnolfo di calar egli stesso in Italia, che poi riconoscerebbe come vassallo dalla di lui possente mano. Venne' Arnolfo, investì Bergamo, la espugnò dopo un' ostinata difesa, le diede il sacco senza perdonarla nemmeno a' tempj, ed alle persone sacre, e contro il diritto delle genti fece impiccare il conte Ambrosio (894.) La crudeltà quivi usata sparse tal terrore negli animi, che niuna città aspettò l'arrivo dell' esercito tedesco, e senza colpo

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di spada gli s'arresero anche Milano e Pavia. Vi concorsero i marchesi d'Italia ad inchinare il vincitore, che ne' suoi diplomi già s'intitolava re d'Italia, quantunque Berengario anch' egli continuasse ad usar siffatto titolo. Poscia colle sue schiere malconce e per la stanchezza e per le malattie ripassò in Germania dopo d'avere totalmente deluse le brame dell' alleato.

Nello stesso anno 894 Guido per un sopraggiuntogli sbocco di sangue perdette la vita, e moribondo, dices, consigliò ancora il figlio di pacificarsi con Berengario. Lamberto poi ricuperò sennon tutto, almen parte degli stati perduti poc' anzi, finchè il re tedesco chiamato nuovamente da papa Formoso nell' 895 mosse l'esercito alla volta dell' Italia, e sembra, per quanto puossi ricavare dall' imbrogliatissima storia di que' tempi, che non contento di far la guerra a Lamberto abbattesse anche il proprio vassallo Berengario, giacchè divise fra i conti Gualfredo e Maginfredo l'Ita lia cispadana, dimodochè l'Adda formava il confine de' lor governi. Mentre poi Arnolfo svernava in Lucca, ebbe sentore, che Adalberto II. marchese di Toscana e Berengario, che frattanto s'era allontanato da Verona, maneggiassero. una sollevazione, il che conturbò non poco l'esercito suo, e lui. In tale ambiguità di pensieri deliberò di passare a Roma per prendere la corona dell' imperio, ma quivi ancora trovò quello che meno si aspettava. Ageltruda cioè, vedova di Guido, donna di viril coraggio, avea prevenuto il di lui arrivo ed erasi accinta alla difesa di Roma. Parve irresoluto Arnolfo alla vista di tale ostacolo, ma veggendo irritate le sue squadre da qualche villania a lor detta da' Romani, ordinò un generale

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assalto, prese la città, ne scacciò Ageltruda, e liberð papa Formoso, il quale lo unse imperadore. Essendosi ritirata a Fermo Ageltruda, vi si portò Arnolfo con pensiero di impadronirsi della di lei persona; ma sopravvenutagli una grave infermità di capo, o naturale, oppure, come altri pretende, cagionata da un sonnifero fattogli dare dall' astuta nemica, frettolosamente si ritirò in Baviera, seco portando, la malattia, che tre anni dopo (899) lo condusse a morte.

: Non indugiò punto Lamberto a tenergli dietro, mentr' egli sprezzato dagl' Italiani s'andava fuggendo, e nello stesso tempo, essendo morto Gualfredo, marchese del Friuli, anche Berengario, ritornato a Vcrona estese il suo dominio sino all' Adda. Allora i due rivali, temendo entrambi l'ambizione di Arnolfo, si divisero il regno, e in un congresso tenuto a Pavią stabiliron pace e concordia, sebbene, a quel che sembra, tra l'uno e l'altro nascessero dipoi nuovi dispareri, almeno secondo il panegirista anonimo di Berengario, il quale dice di Lamberto :

O juvenale decus, si mens non lava fuisset!
Sape datas voluit pacis rescindere dextras
Fraudibus inventis. Sed enim ratione sagaci
Deprendis, pater alme, dolos, ac murmura temnis.

Poco di poi Maginfredo, conte di Milano già sotto Guido, perchè avea tenuto forte nel partito d'Arnolfo, come ribelle ebbe per ordine di Lamberto mozzata la testa, e ad un suo figlio, e al genero toccò la pena di perdere gli occhi, il quale esempio di severa giustizia spense per allora l'ardire de' malcontenti, ma ebbe delle. funeste conseguenze per l'imperadore medesimo, giovine ornato di bellissime doti.

Dilettavasi egli forte della caccia, e il suo luogo favorito per tal sollazzo era l'ameno bosco di Marengo. Ma dove cercava il piacere, dovea trovare una morte prematura (negli ultimi mesi dell' 898). Avea egli conferito la carica di conte di Milano ad Ugo, figlio di quel Maginfredo, affinchè dimenticasse la disgrazia del padre; anzi talmente segli affezionò, che il volca sempre a' suoi fianchi, Or trovandosi un giorno soli amendue in quel bosco, l'imperadore dopo aver commesso all' amato compagno la cura di custodirlo, s'abbandonò tranquillamente al sonno. Allora Ugo, colta l'opportunità di vendicare il padre, con un bastoné l'ammazzò, facendo poi correre voce, che cadutogli sotto il cavallo, mentre a briglia sciolta perseguitava una fiera, il principe si fiaccasse il collo. Stette nascoso per alcuni anni il fatto, ma presentossi occasione, in cui lo stesso Ugo il rivelò a Berengario.

Questi subito avuta la nuova del morto suo emulo, volò a Pavia, dove trovò carcerato Adalberto II, marchese di Toscana, dal quale discendono le illustri case d'Este e di Brunswich. Costui e gli altri suoi compagni ribellatisi a Lamberto da lui erano stati vinti e presi, durante la quale spedizione sembra che Berengario abbia momentaneamente occupato Milano, poichè quivi (XV. Cal. Mart. 898) con solenne diploma donò certi servi e aldioni abitanti nel borgo di Lugano ad un suo fedele chiamato Ermenolfo. Adalberto adunque e i suoi tosto furono da lui rimessi in libertà, onde la Toscana pure cominciò a riconoscerlo per suo sovrano. Guadagnò con favorevoli patti eziandio l'altera Ageltruda, e quindi fissò per qualche tempo la sua residenza a Pavia.

Parea, che omai ridotto tutto il regno d'Italia sotto il governo d'un principe umano e saggio, s'avesse a godere una invidiabil quiete. Ma alcuni grandi s'avvisarono di chiamare Lodovico re di Provenza, mettendogli in capo delle pretensioni sul regno d'Italia per essere stata sua madre Ermengarda figlia di Lodovico II. imperadore. Capo e promotore di questa mena si fece Adalberto Marchese d'Ivrea, ancorchè ammogliato con Gisla figlia di Berengario, dalla quale ebbe un figliuolo appelato Berengario anch'esso, divenuto poscia re d'Italia. Venne adunque Lodovico a provar la sua fortuna; ma certificato che Berengario gli marciava incontro con forze molto maggiori, non tardò a pentirsi della mal incominciata impresa, e gli spedì segreti messi per trattare di pace; onde colui essendosi contentato, che Lodovico con solenne giuramento s'obbligasse di non mai più tornare in Italia per qualunque istanza gli fosse fatta da' sediziosi, gli permise di tornarsene senz'altro impedimento (899.)

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Nuova sciagura intanto recò all' Italia (900) l'invasione degli Ungheri, i quali patteggiati con Lodovico il fanciullo, figliuolo d'Arnolfo, portaron dipoi le lor armi în contrade, ove potean trovare preda più copiosa. Ecco quel che dice di questi nomadi Reginone scrittore contemporaneo: »La ferocissima gente degli Ungheri, più crudele d'ogni fiera, non mai udita nè nominata in Occidente ne' secoli addietro, uscì dai regni della Scizia, cioè della Tartaria, e dalle paludi del fiume Tanai. Costoro non coltivano sennon di rado la terra, non hanno casa e tetto, nè sede stabile, ma co' loro armenti, e colle lor mandre vanno qua e di là vagando, conducendo seco le mogli e i figliuoli sopra carrette coperte di cuoio, delle quali

di

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