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Sotto la direzione ora di dogi, ora di maestri di militi, restando però il governo sempre popolare,' i Veneti pervennero sino a' tempi di Carlomagno, che avea nominato Pipino, suo figlio, re d'Italia. Questo giovine conquistatore, sdegnato contro di essi anche a cagione della loro domestichezza cogl'imperadori greci, naturali loro alleati, nell' 809 invase con una numerosa armata le lagune, distrusse Eraclea, Jesole ed altre terre, e parea già inevitabile l'eccidio della repubblica, se i Veneziani non si fossero ricoverati sull' isoletta di Rialto, di dove fatta testa al nemico, con grande stuolo gli andarono incontro, e ne riportarono una insigne vittoria, sicchè Pipino dovette ritirarsi a Ravenna. Deposti quindi i due dogi Ohelerio e Beato, che per la loro discordia erano stati causa delle sofferte sciagure, fu eletto Agnello Participazio di Eraclea (810) il quale avea principalmente promosso il consiglio di ritirarsi a Rialto, e poscia continuò a governare con molta saggiezza la patria da lui rinvigorita per dieci secoli, finchè morì attempatissimo nel 827. Fu egli cioè colui, che concepì il gran pensiere di fissare in perpetuo la sede ducale a Rialto, a cui congiunte essendo col mezzo di ponti l'isola d'Olivolo e parecchie minori, ad esse rimase in appresso il nome della intiera provincia. Così Agnello dee riguardarsi qual fondatore della città di Venezia, eterno monumento della grandezza non già di qualche re conquistatore, ma di un popolo saggio e prode, che sentivasi fatto per esser libero. Non ebbe esso legislatore di sorta come le antiche repubbliche lo ebbero; anzi la pianta del governo, le fondamentali sue costituzioni, e le leggi tutte procedettero da comune consiglio, e furono fermate col volere de' più.

Grande ventura parve a Venezia l'aver due capitani di nave rapito in Alessandria le reliquie di S. Marco (828), che furon ricevute con singolar divozione; ed eretto quindi il famoso tempio di S. Marco, questo santo divenne il protettore della repubblica, talchè il di lui nome sino a' nostri giorni era il simbolo della repubblica intiera, e bastava ad infiammar gli animi del più caldo amore della patria. Laonde fu detto da un antico annalista del trecento: „Siccome la navicella di S. Pietro può ondeggiare bensì, ma non già andare a fondo, similmente la navicella di S. Marco, suo discepolo, che per divino volere governa e regge la città di Venezia, benchè talora sembri agitata dalle onde, e quasi sommersa, egli pure la guida dentro al porto della salute, in vantaggio non solo de' privati cittadini, ma di tutto il comune; eg a guisa d'inespugnabil muro difende la fede contro i Turchi ed altri miscredenti, ed apre un tranquillo asilo' a chiunque va cercando il possesso della sacra libertà.“

Nel decimo secolo parecchie discordie civili talmente indeboliron la repubblica, che tutto l'Adriatico veniva impunemente corseggiato da'pirati Istriani.

Allora sotto il dogado di Pietro Candiano III. (942-959) occorse un notabilissimo caso, il quale fu, che essendo antichissima usanza, che per gratificar i popolani ogni anno si maritavano dei beni del comune dodici donzelle, figliuole di povere persone del popolo di Venezia, le quali il giorno della traslazione di S. Marco, che è a di 31 Gennaro, ornate di molte gioie, e ciascuna con la sua corona in testa, e con le doti che erano loro assegnate, (le quali cose tutte crano dal comune date alle dette

donzelle; ma le doti erano donate per lo maritare, e le gioie prestate per ornamento di quelle) andavano in chiesa di S. Pietro di Castello; ove dopo cantata il Vescovo una solennissima messa, e fatte le cerimonie che erano bellissime e lunghe, le faceva sposar ognuna da suo marito, e le consegnava la sua dote, e poi partivano con gran festa e con molti suoni, e andava ciascuna alla sua casa. sapendo i Triestini questa nobile e bella usanza de' Veneziani, deliberarono di rapire quelle donzelle insieme con le doti loro, e di più con le gioie, con le corone, e con gli ornamenti, ch'aveano intorno, e vennero con due legni armati il giorno della cerimonia, e giunti avanti il far del giorno, s' occultarono dietro una secca ch'è presso alla chiesa di Castello. Venute poi le donzelle in chiesa con molta pompa, secondo il consueto, quando fu sul colmo della festa, i Triestini smontarono in terra, e vestiti tutti o di rosso, o di pavonazzo con l'armi coperte sotto i vestimenti, mostrando di esser venuti anch' essi alla festa, entrarono in chiesa, e poi al segno dato fra loro, messo man alle armi, ferirono e uccisero molti, e fuggirono tutti fuori di chiesa: e prese poi le donzelle con tutto l'aver loro, misero ogni cosa sopra le barche loro, e se ne andarono via. Fu per ciò fatto un grandissimo tumulto in Castello, e ogni cosa si empì di rumore e di spavento: e andò correndo la fama di bocca in bocca, finchè capitò alle orecchie del doge; il quale armò subito molte barche, e mandò comandamento in tntte le parocchie ai capi delle contrade, e a tutti i gastaldi delle arti, che ognuno armasse quante più barche potesse, e andasse dietro a' rapitori per liberare e ricuperare dalle mani loro la troppo nobile ed onorata preda,

che avevano fatto. Subito fatto il comandamento, il popolo con grandissima prestezza l'eseguì, e in poco tempo furono insieme tutte le barche armate, che davano mostra d'una grandissima armata. Sopra la quale salito il doge in persona, ebbe in tanto la fortuna favorevole, che trovò a man salva i ladri Triestini, ch' erano smontati sopra i lidi di Caorle, e aveano i legni loro in un porto, da quell' ora in poi sempre chiamato il porto delle donzelle, e ivi dividevano la preda. I primi che valorosamente assalirono que' corsali, furono alcuni casselleri, che abitavano nella contrada di Santa Maria Formosa; i quali virilmente combattendo ammazzarono tutti i Triestini, senzachè pur un solo di loro potesse fuggire; e avendo ricuperate le donzelle e le gioie, e gli ornamenti che avevano, e anco le doti, se ne tornarono gloriosi a Venezia; avendo prima per isfogare l'odio loro, gettati in mare i corpi di tutti i Triestini le barche loro bruciate. In perpetua memoria di tal vittoria s'obbligò il doge per lui, e per tutti i suoi successori di andar ogni anno la vigilia della purificazione di Madonna Santa Maria a visitare la chiesa di S. Maria Formosa, e in quella udir vespero, e la seguente mattina andarvi a messa; concedendo all' arte de' casselleri alcune immunità e privilegi. Innoltre ordinò il doge, che ogni anno fossero fatte dodici figure di legno, che rappresentassero le donzelle predette, le quali fossero distribuite a dodici famiglie delle più ricche della città, che ornandole con molte gioje e sontuosi vestimenti, le portassero sopra dodici piatti ornati nobilmente, otto giorni continui avanti quella festa per tutto il canal grande e per tutta la città, facendo in detto tempo regatte e molti altri bagordi, e particolarmente con molte

donne intorno ai piatti, ov' erano le figure, che andassero ballando e facendo festa; le quali figure furono dimandate le dodici Marie, e questo trionfo si chiamava la festa delle Marie; e si conservò in Venezia questa consuetudine più di quattrocento anni, ma al tempo di Andrea Contarini doge, per l'ardor della guerra de' Genovesi, ch'erano venuti fino a Chiozza nel 1379 fu tralasciata, nè più si è tornata a rifare. *)

Spesse volte in que' primi tempi la repubblica veniva agitata da intestine turbolenze, le quali in seguito, consolidatasi maggiormente la costituzione, diventarono sempre più rare. Vero è, che verso il 1300 s'introdussero anche in Venezia le fazioni Guelfa e Ghibellina, ma con raro esempio non si mescolarono nell' amministrazion politica del governo. Basterà di rammentare una sola di quelle primiere alterazioni. Il doge Pietro Candiano III. nella sua vecchiaja avea preso per compagno nel governo il figlio dello stesso nome (955); il quale abbandonandosi ad ogni maniera di dissolutezze fu dal padre indarno ammonito di correggersi, sennon volea perdere l'amore e la stima del popolo. Ma il giovine facendosi effe di tai rimproveri, trascorse fino a trattare il genitore con grande insolenza, anzi guadagnatosi un partito, ad altro non pensava che a spogliarlo del dogado. Venutosi però alle mani in sulla pubblica piazza di Rialto, bentosto si vide abbandonato da tutti quelli, che sentivano ancora l'atro

*) Cronaca d'autore anonimo, composta sulla fine del secolo XV. v. Delle solennità e pompe nuziali già usate presso i Veneziani dissertazione di J. Morelli. ¡Venezia 1793. 4°.

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