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Ed una nuvoletta avean davanti,
Dopo la qual gridavan tutti: Osanna;
E s'altro avesser detto, a voi dirêlo.
Allor diceva Amor: Più non ti celo;
Vieni a veder nostra donna che giace.
L'immaginar fallace

Mi condusse a veder mia donna 12 morta;
E, quando l'ebbi scorta,13

Vedea, che donne la covrian d'un velo;
Ed avea seco umiltà sì verace,1

14.

Che parea, che dicesse: Io sono in pace.
Io diveniva 15 nel dolor sì umíle
Veggendo in lei tanta umiltà formata,
Ch'io dicea Morte, assai dolce ti segno;
Tu dèi omai esser cosa gentile,
Poichè tu sei nella mia donna stata,
E dèi aver pietate e non disdegno:
Vedi, che si desideroso vegno

D'esser dei tuoi, ch' io ti somiglio in fede:
Vieni, chè'l cor ti chiede.

Poi mi partia,16 consumato ogni duolo;

E, quand' io era solo,

Dicea, guardando verso l'alto regno:
Beato, anima bella, chi ti vede!

Voi mi chiamaste allor vostra mercede.

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Ed eran. Altri: E furon. Questa lezione si conforma più nel tempo a presi e m'apparver; ma eran fa migliore concordanza con giva errando.

9 Morrai tu pur. Altri: Sei morto pur. Altri: Morrâti pur; ovvero: Pur morrâti. La prima di queste lezioni è falsa, perchè segue morrâti, onde chi è morto non potrebbe morire un'altra volta, e peggio il pur si appiccherebbe al seguente morrâti. Lasciamo le altre lezioni perchè ci sembrano avere un po' di cacofonia per quel morrâti, morrâti, ripetuto colla stessa uscita, e non bellamente ricevere il pur. Ho fatto una leggiera mutazione, credendo necessario il tu per opporre la morte di Dante a quella di Beatrice, e non fare star vagamente quel pur che ha forza di anche. Nella narrazione le donne scapigliate dicono a Dante: Tu pur morrai.*

10 in qual loco. Altri: in che loco. 11 la stella. E così nel seguente verso: ed ella. Altri leggono stelle ed elle al plurale, ed il Giuliani ha ultimamente sostenuta siffatta lezione con queste parole: « Alcuni de'Codici e parecchie stampe hanno stella ed ella, ma, per non dir altro, la lezione, cui ho creduto dar luogo, è conforme a quanto è suaccennato nella prosa e pareami vedere il sole oscurare, sì che le stelle si mo• Vita Nuova, XXIII.

strarono d' un colore che faceano giudicare che piangessero

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L'argomento del Giuliani è disfatto: 1° dal vedere che stella ed ella rimano con novella e bella che si veggono nei versi che si trovano più sotto; 2o dall' uso che Dante fa di stella al singolare per indicare non una stella, ma le stelle in generale, come là nel II dell' Inferno: Lucevan gli occhi suoi più che la Stella. E nella canzone Le dolci rime d'amor ec. Siccome è cielo dovunque la stella.

12 mia donna. Altri: madonna.

13 l'ebbi scorta. Altri testi hanno: l'avea scorta. Ma qui non vuolsi tener sospesa la mente col trapassato che dà continuazione di tempo e ci fa veder le cose in atto anzichè compiute; ma sì la passione vuole che la nostra mente si posi o quasi discorra sopra ciò che sia passione di affetto. Perciò qui va bene il passato, come va benissimo il trapassato ne' verbi che seguono, vedea, covrian, avea, parea, diveniva, ec.

14 umiltà sì verace. Altri leggono: una umiltà verace: ovvero: umiltà verace. Il sì è necessario, come dal che seguente, il quale non può esser relativo. Nè diciamo altro.

15 diveniva. Altri: divenia nello dolor

16 mi partia. Altri: mi partii. Per questa lezione vedi il detto alla stanza V, v. 11.

SONETTO XIV.

Amore in una visione gli mostra Beatrice,

qui nominata la prima volta, e Giovanna amica del Cavalcanti.

Io mi sentii svegliar dentro dal core1
Uno spirto amoroso che dormía;

2

E poi vidi venir da lunge Amore
Allegro sì, che appena il conoscía,

Dicendo: Or pensa pur di farmi onore;
E 'n ciascuna parola sua ridía;

3

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E, poco stando meco il mio signore,
Guardando in quella parte, onde venía,

6

Io vidi monna Vanna e monna Bice
Venire invêr lo loco, là ov'io era,
L'una appresso dell' altra meraviglia: 7
E sì, come la mente mi ridice,
Amor mi disse: Questa è primavera,
E quella ha nome Amor, sì mi somiglia.

dentro dal core. Altri hanno: allo core. La nostra lezione ci sembra da preferire.

2

da lunge, ovvero da lunga, od anche di lunge.

3. E'n ciascuna. Altri: E ciascuna. Ma rideva Amore.

4 meco il mio. Altri mal dividendo parole ha ma col mio.

5 onde. Altri: onde ei, ovvero,

ove.

6 invêr lo loco, là ov' io era. Per altri si legge: inverso il loco, dov'io era. Là ove, o là dove, è sì proprio di Dante che non può attribuirsi agli amanuensi. La lezione da noi non seguíta, potrebbe adunque essere una correzione dei critici o dei copisti. Per invêr altri hanno vêr, forse meglio.

7 dell'altra meraviglia. Altri hanno dell'altra a meraviglia.

SONETTO XV.

Vede andare insieme Beatrice e l'amica del Cavalcanti.

Di donne io vidi una gentile schiera
Quest' Ognissanti prossimo passato;
Ed una ne venia quasi primiera,
Seco recando Amor dal destro lato.

Dagli occhi suoi gittava una lumiera,
La qual pareva un spirito infiammato;
Ed io ebbi tanto ardir, che, in la sua cera
Guardando, vidi un Angiol figurato.

A chi era degno poi dava salute
Con gli occhi suoi quella benigna e piana,
Empiendo il core a ciascun di virtute.

Credo, che in ciel nascesse esta soprana,
E venne in terra per nostra salute:
Dunque beata chi l'è prossimana.

1

SONETTO XVI.

Manifesta un suo desiderio al Cavalcanti.

Guido, vorrei che tu e Lapo ed io
Fossimo presi per incantamento,

E messi in un vascel1 che ad ogni vento
Per mare andasse a voler vostro e mio.
Sì, che fortuna od altro tempo rio
Non ci potesse dare impedimento,
Anzi, vivendo sempre in un talento,2
Di stare insieme crescesse il desio:

3

E monna Vanna e monna Bice poi
Con quella ch'è in sul numero 3 del trenta
Con noi ponesse il buono incantatore:

E quivi ragionar sempre d' Amore:
E ciascuna di lor fosse contenta,

Siccom' io credo, che

in un vascel. Altri: ad un vascel. 2 un talento. Così col Cod. Ma

sariamo noi.

gliabechiano. Altri: in noi 'l talento. 3 in sul numero. Altri: sul numero.

SONETTO XVII.

Sul saluto della sua donna.

Tanto gentile e tanto onesta pare
La donna mia, quand' ella altrui saluta,
Ch'ogni lingua divien tremando muta,
E gli occhi non l'ardiscon di guardare,

2

2

Ella sen va, sentendosi laudare,
Benignamente d'umiltà vestuta; "
E par che sia una cosa venuta
Di cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira,
Che dà per gli occhi una dolcezza al core,
Che intender non la può chi non la prova.
E par che dalla sua labbia3 si muova
Uno spirto soave e pien d' Amore,
Che va dicendo all' anima: Sospira.

4

1 l'ardiscon. Altri: ardiscon Benignamente d'umiltà vestuta. Altri testi ci dànno: Umilemente d'onestà vestuta. Il Fraticelli dice di questa seconda lezione: « Lezione inferiore all'altra, sì perchè d'inferiore efficacia, sì perchè ripete l'attributo d'onestà dato già a Beatrice nel primo verso. »>< Bene sta. Nella narrazione l'Alighieri dice che Beatrice coronata e vestita d'umiltà s'andava, nulla gloria mostrando di ciò ch'ella vedeva od udiva. Ed in fatto nella prima quartina di questo Sonetto l'Alighieri parlò della gentilezza ed onestà della sua donna, e come cotali virtù operavano in altri. Nella seconda quartina dice di ciò che nella sua donna operavano le altrui lodi di tanta gentilezza ed onestà, cioè • Vita Nuova, XXVI.

che ella non se ne levava in compiacenza di sè stessa da montare in superbia, ma faceasi benigna e di umiltà vestivasi. La superbia fa fiero e crudele altrui, perciò l'umile è benigno ad un tempo; ma che avrebbe a fare l'umiltà con l'onestà? Vestirsi d'umiltà è bella espressione già posta nella narrazione, e nel § XXI della Vita Nuova abbiamo pure con viso vestito d'umiltà; ma strano ci sembra il dire che altri umilmente si vesta d'onestà.

3 dalla sua labbia. Altri: della sua labbia.

Uno spirto. Altri: Un spirito, e ugualmente bene, avendo anche le regole grammaticali le loro eccezioni. Di che veggasi il primo Discorso del rigor de' Grammatici di Luigi Fornaciari, e i suoi Discorsi filologici a pag. 117.

SONETTO XVIII.

Virtù di Beatrice sul cuore delle altre donne.

Vede perfettamente ogni salute
Chi la mia donna tra le donne vede:
Quelle che van con lei sono tenute
Di bella grazia a Dio render mercede.

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