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DISSERTAZIONE TERZA.

GLI AMORI CON GENTUCCA DEGLI ANTELMINELLI.

CAPO I.

D'una lettera e d'una canzone, detta Alpigianina, dall' Alighieri mandate a Moroello Malaspina, marchese di Villafranca.

§ I.

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Il prof. Carlo de Witte nel 1827 scovrì nel Codice vaticano palatino una epistola latina scritta da Dante al marchese Moroello Malaspina. Facea seguito a questa epistola una canzone dello stesso Autore, già nota e detta l'Alpigianina, perchè cantava gli amori di lui con un'alpigiana del Casentino; ed è quella che noi contiamo per XIII. Incomincia:

Amor, dacchè convien pur ch'io mi doglia,

Ecco l'epistola in italiano:1

Scrive Dante al marchese Morcello Malaspina: « Perchè al Signore non restino ascosi i legami del suo servo, il quale dai sensi di gratitudine è dominato, e perchè le varie novelle da altri riferite, le quali sogliono essere di frequente semenzaio di false opinioni, nol divulghino lasciatosi per trascuranza accalappiare; piacquemi rivolgere al cospetto della magnificenza vostra il presente breve discorso.

> Egli adunque mi avvenne, che dopo la mia separazione da quella Corte,2 per me poscia sospirata, nella quale (siccome spesso con ammirazione vedeste) mi fu lecito seguire

Lasciamo la nostra versione per quella del Fraticelli, che ignoravamo, facendo la nostra nel febbraio del 1858. Vi cangiamo soltanto curia in corte e canti in incanti.

2 È la corte di Moroello Malaspina, marchese di Villafranca. Altri la credono o di Fiorenza, o di Arrigo in Milano, o del Moroello di Giovagallo.

gli uffici di libertà,' siccome prima con tutta sicurezza e senza guardia posai le piante sulle rive dell' Arno, ad un tratto, ohimè!, come folgore dal cielo scendente m'apparve, non so come, una donna, ai miei principii, ai miei costumi ed alla mia fortuna pienamente conforme. Oh come nel suo apparire rimasi stupito! Ma lo stupore per lo spavento del tuono sopravveniente cessò. Perciocchè, siccome ai baleni succedono tostamente i tuoni, così appena ebbi visto il lampo della di lei bellezza, amore terribile e imperioso mi ebbe in sua potestà. E questo feroce, come signore dalla patria cacciato, il quale dopo lungo esilio nelle sue terre violento ritorni, tutto ciò che dentro di me era a lui contrario, o spense, o sbandì, o incatenò. Spense, dico, quel lodevole proposito, ond' io mi teneva lungi dalle donne e da' loro incanti; e le assidue meditazioni, per le quali io speculava le cose del cielo e della terra, empiamente quasi sospetto sbandi; e finalmente, perchè l'anima mia non più si ribellasse contro di lui, incatenò il mio libero arbitrio ; sicchè mi sia forza voltarmi non là dove voglio io, ma là dove vuol egli. In me dunque regna amore, non volendo in contrario alcuna mia virtù; e, di qual guisa mi governi, fuor del seno della presente potrete più sotto cercarne. »

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§ II. La canzone che abbiamo citata, fa parte integrale o no di questa lettera diretta a Moroello Malaspina? A meglio porre la quistione da risolvere, domandiamo: la canzone che comincia:

Amor, dacchè convien pur ch'io mi doglia,

Qui non si tratta del priorato o delle ambascerie di Dante, come volle il Torri ed il Troya, ma della libertà dai legami d'amore, come si ha dalla continuazione di metafora. Questa libertà si vide in Corte di Moroello di Villafranca, siccome ce ne fa testimonianza il Sonetto XXXI, che abbiamo posto fra le Rime Filosofiche della seconda parte.

2 Allude agli studi filosofici fatti nel 1305 e 1306 in Bologna e Padova, compimento di quei fatti in Fiorenza prima dell'esilio. Il Troya dice: Parla qui certamente dei suoi ultimi studi teologici e filosofici di Parigi dal 1308 al 1310. Ma onde questa certezza? Qui si parla di sola Filosofia, ed in Parigi fu Dante per soli gli studi teologici, non avendo più difetto dei filosofici. Dante avea studiata Filosofia dal 1294 al 1298 in patria; l'avea studiata nuovamente in Bologna e Padova nel 1305 e 1306. Perchè dovea studiarla indi a Parigi? Vedi BENVENUTO DA IMOLA presso il MURATORI, Antiq. Medii Evi, I, 1036.

va tenuta per quello scritto che Dante nella lettera a Moroello diceva di mandargli per fargli aperto in qual modo amore lo governava? Noi dobbiamo rispondere affermati

vamente.

1o Almeno pel secolo di Dante, sì la famiglia Malaspina, come i primi amanuensi dovevano conservare unite la lettera e la poesia d'amore mandate insieme al marchese Moroello, perchè riguardavano lo stesso argomento, e l'uno scritto era di chiarimento all' altro per forma che, discompagnati, si faceano poco meno che incomprensibili. Ora il Codice vaticano palatino, che ci è di molt'autorità, perchè dello stesso secolo di Dante, cioè del 1394, pone dietro alla epistola scritta a Moroello la canzone detta l'Alpigianina. Perciò nel secolo medesimo di Dante si riteneva che la canzone detta l'Alpigianina fosse stata la poesia che Dante mandava insieme con siffatta lettera a Moroello.

2o Tanto l'epistola quanto cotale Alpigianina sono scritte alle fonti dell' Arno, dove l'Alighieri si dice preso d'amore, chè la canzone dice, esser Dante assai male concio dalla sua nuova passione in mezzo alle Alpi, nella valle del fiume, lungo il quale sempre amore era forte su lui. Questo fiume era l'Arno, perchè lungo esso fiume altra volta era stato preso della Portinari in Fiorenza. E così dalle Alpi, onde sorge l'Arno, venne a questa canzone il nome di Alpigianina, e, come Dante la chiama, di Montanina, come alla donna amata quello di Alpigiana, benchè fosse stata cittadina di una delle più gentili città di Toscana.

3o Il modo d'innamoramento nella epistola e nella canzone si vede esser quasi identico. Nell' una si parla d'un lampo e poi d'un tuono, che Dante lasciossi andare fra lacci securo ed incauto, e tocca del suo stupore e del suo terrore al giungere del tuono, ed infine come amore fosse rimasto in signoria del suo arbitrio; nell' altra si parla pure di essere stato folgorato dal fiero lume (lampo), e poi stato percosso dal riso, e di aver tremato di paura al giungergli addosso un tuono; ed aggiungesi che la nemica figura era rimasta a signoreggiare la virtù che vuole; ec. Nell'una si dice che Dante pria manteneva il proposito di tenersi

lontano dagl' incanti muliebri; che da lungo tempo amore era stato come in esilio dal suo cuore; e ch' egli in Corte di Moroello era stato più volte veduto con maraviglia libero da' lacci amorosi, e poi giunto appena sull' Arno era stato fatto prigioniero improvvisamente; nell' altra esclama il Poeta :

Chi crederà ch'io sia omai sì colto?

Ed aggiunge che amore sempre sull' Arno era stato forte su lui, e colà palpavalo a suo volere (perchè là soltanto avev' amata la Portinari, e dopo quest' amore alla Portinari non si era lasciato vincere per altra bellezza). Così, da tanta catena serrato, non isperava omai tornare più libero nella sua Fiorenza!1

4° Nell'epistola si dice che la Poesia lirica con la quale si accompagnava, dovea narrare qual governo di lui si facesse per amore, e questo è propriamente il soggetto dell'Alpigianina. Di ciò non faremo parola perchè sarebbe superfluo; e per questa medesima ragione qui non toccheremo l'unità di tempo a conferma del nostro assunto.

CAPO II.

Nella epistola e canzone mandate a Moroello
si tratta d'un amore reale non fittizio.

§ III. Carlo Troya fu di credere che l'Alpigianina o Montanina di questi due scritti, non sia che una Filli in aria per velare non so qual progetto fatto precedentemente col Malaspina, per ottenere la grazia di tornare in patria. Dante adunque avrebbe tenuto in questa epistola a Moroello un linguaggio velato, noto soltanto a loro due, il quale velo noi con difficoltà sapremmo squarciare, perchè sottile tanto che non fu dato di vederlo se non al Troya. A prendere la cosa un poco in sul serio, noi ci avremmo

Il Quadrio facea scritta questa canzone presso l'Adige e qualche monte del Veronese; ed il Vannetti pose Dante ad amare e cantar d'amore in Val Lagarina fra le Alpi Rezie e le Trentine. Ci sembra un gittare inutilmente le parole, il volere andare confutando queste opinioni che non hanno alcun razionale fondamento.

un linguaggio esagerato ed inesplicabile; e, se il Troya pretende che Dante non poteva, essendo già molto innanzi negli anni, dare un canuto spettacolo di sè stesso, il suo ragionare non basta a non farci tenere l'alpigiana fanciulla per donna realmente esistita in Valdarno

Col sangue suo e colle sue giunture.

L'esagerazione dell'epistola di Dante non è così grave, come ci si vuol dare a credere, benchè tenga di quella gonfiezza che si scorge in tutte l'epistole del nostro Autore. In quanto poi al canuto spettacolo, erra il Troya; perciocchè: 1o Dante non scrive ad un vecchio soldato, qual era il Moroello marchese di Giovagallo, ma sì al giovine Moroello marchese di Villafranca; 2° La epistola a Moroello è del 1306 o meglio del principio del 1307, non del 1310 ovvero 1311, e perciò Dante avrebbe amata l'alpigiana sui 42 anni non sui 46; 3o Dante certamente amò una donna, qualunque siasi, nel 1307, quando scriveva il secondo libro della Volgare Eloquenza, come diremo; e, per confessione dello stesso Troya, amava la Gentucca compiendo il Purgatorio (secondo il Troya nel 1314-1315, secondo noi nel 1311-1312). E certo è minore spettacolo scrivere vagamente d'un amore nel 1306 ed in una epistola e canzone mandate ad un diletto e giovine amico, che innamorarsi di una Lucchese nel 1314 fra le stragi di Lucca, e tosto cantarne in molte rime e poscia (secondo la cronologia del Troya intorno alla Divina Commedia, per quanto falsa altrettanto universalmente accettata e plaudita) nominarla e cantarla in un altissimo Poema, sacro alla memoria di Beatrice. Bisogna essere ben pieno di sonno, quando si cade in queste contraddizioni! 4o Sarà turpe l'amore senile, ma non tutti contano i propri anni, e si vuol sempre nelle cose umane aver qualche rispetto ai costumi correnti, ed alle individualità di ciascun secolo. In quel secolo di Dante si

Il Troya spesso traduce male il latino. Così nell' Oratiunculæ vede la serie di un oracolo presente!

2 Parlo delle scritte in latino, che sole sono le autentiche. L'italiana a Guido da Polenta è apocrifa, assolutamente apocrifa.

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