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specchio di parte, onde erano puniti quai traditori della patria coloro che non seguivano il giglio bianco versato in perso; questo Marte che nel 4 novembre 1301 avea fatto apparire il suo fuoco nel cielo ad annunziare la prossima cacciata de' Bianchi, principio della distruzione di Fiorenza; questo Marte, fuoco di discordia, è quello stesso, cui fu fatta vittima il Buondelmonte:

Ma conveniasi a quella pietra scema

Che guarda ' ponte, che Fiorenza fesse
Vittima nella sua pace postrema.'

I due passi citati che mostrano il concetto occulto di Dante
su Marte, sono confermati da un altro dell'Inferno:

Io fui della città, che nel Battista

Cangiò il primo padrone; ond'ei per questo

Sempre con l'arte sua la farà trista.

E se non fosse che in sul passo d'Arno
Rimane ancor di lui alcuna vista,
Quei cittadin, che poi la rifondarno,

Sovra' cener, che d'Attila rimase,
Avrebber fatto lavorare indarno."

Qui non solo Marte è con doppio senso, ma forse ancora il Battista; perchè la lega del fiorino de' Fiorentini era suggellata del Battista; e qui per Battista va inteso il fiorino e pel fiorino si deve intendere l'avarizia. E che noi non erriamo, può trarsi: 1o da questo, che il nostro Poeta prese altra volta in questo senso il nome del Battista:

Ma tu, che sol per cancellare scrivi,

Pensa che Pietro e Paolo, che moriro
Per la vigna che guasti, ancor son vivi.
Ben puoi tu dire: Io ho fermo 'l disiro
Sì a colui che volle viver solo,

E che per salti fu tratto al martiro,
Ch'io non conosco il Pescator, nè Polo; 3

2o da quest' altro, che il fuoco delle discordie fiorentine era
acceso da tre faville secondo l' Alighieri, cioè da superbia,

1 Paradiso, XVI, 145.- La morte del Buondelmonte pose fine al viver lieto, come porta la pace, de' Fiorentini, accendendoli a guerra civile. 2 Inferno, XIII, 143.

3 Paradiso, XVIII, 130. — I salti sono le danze di Erodiade.

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invidia ed avarizia.1 E poichè le due prime di queste faville, proprie di Lucifero, aveano generata la cupidità negli uomini, facendo sbucare dall' Inferno in terra la lupa, dice Dante che Lucifero, superbo ed invido, piantò Fiorenza, perchè questa che volea stare lupa rapace, produceva e spandeva il maladetto fiore:

La tua città, che di colui è pianta,

Che pria volse le spalle al suo Fattore,

E di cui è la invidia tanto pianta,2
Produce e spande il maladetto fiore,

C'ha disviate le pecore e gli agni,

Però c'ha fatto lupo del pastore.3

Il concetto dunque del dovere Marte far sempre trista Fiorenza, perchè si era data al Battista, è che la cupidità, figurata nella lupa, bestia senza pace, dovea mantenerla in continue discordie e distruggerla con cittadine guerre.

Concludiamo adunque che Marte, il quale da Valle di Magra trasse il Vapore involuto di nuvoli a ferire ogni Bianco, era un demone ai Bianchi nemico, volente la distruzione di Fiorenza. E Vanni di Fucci, che ne fece la profezia, perchè Dante se ne avesse a dolere, è fatto spirito in Dio superbissimo più che Capaneo, e tira a tale sdegno l'afflitto Poeta contro que' Neri concittadini del di Fucci, e che tennero coi Neri, da lasciarlo andare in quella terribile imprecazione:

§ VII.

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Ah! Pistoia, Pistoia, chè non stanzi

D'incenerarti, sì che più non duri,

Poi che 'n mal far lo seme tuo avanzi?

Contro il terzo argomento dobbiamo osservare che la lode di Alagia del Fiesco, moglie di Moroello Vapore di Val di Magra, e buona da sè, come dicela Dante, non include la lode del suo marito. E ciò si conferma dal vedere che spesso Dante loda uno dei coniugi, e covre di oblio o nota di biasimo l'altro, e così fa pe' consanguinei

Inferno, VI, 74; XV.

2 L'invidia di Lucifero primamente trasse la lupa dell' Inferno, facendo cader Eva, onde fu perduto il Paradiso terrestre o secol d'oro, che si dovea rinnovare coll'Imperio.

3 Paradiso, IX, 127.

e parenti. Ad esempio, mette nell' Inferno Guido da Montefeltro, mentre leva al Purgatorio suo figlio Buonconte, ed è amico di altri Montefeltreschi, e massime di Uguccione della Faggiuola: loda i suoi affini Forese e Piccarda Donati, e manda Corso loro fratello all'Inferno trascinato da una bestia: loda Gherardo e Giovanna da Camino, padre e moglie di Ricciardo, e dice questi esser ben punito della sua superbia. Ma perchè lodando Alagia (ed anche un altro) dei Fieschi, ricovre di sdegnoso silenzio suo marito? Forse il silenzio servato sopra Alboino della Scala, mentre si lodan gli altri fratelli, non è grave argomento della sua condanna? Alagia fu dunque lodata, perchè buona da sè e non fatta malvagia dall' esempio altrui; e per Alagia Dante loda papa Adriano V de' Fieschi, mentr' è così scarso di lodi per tanti altri Papi o più santi o più grandi. Intanto qui neppure una parola pel marito di lei! E chi ci assicura che il cenno all'esempio, onde poteva quella donna esser fatta malvagia, non contenesse anche un dardo contro suo marito, scoccato al modo de' Parti? Pare che Adriano si restringa alla casa de' Fieschi, e sia pur così.

§ VIII. Il Witte ed il Troya dovevano escludere con argomenti gravi gli altri due Moroelli, per restringersi al solo marchese di Giovagallo. Perchè nol fecero? Che cosa abbia detto su questa eliminazione il Witte, non so; ma certamente il Troya ne ha discorso assai poco e male. Egli bene ha rifiutato l'antica sua opinione, che stava pel figlio di Franceschino; perchè alluminato dal Gerini e dal Fraticelli, ha dovuto riconoscere che il Moroello figlio di Franceschino era lasciato in età minore e sotto tutela nel 1319. Ma con quale argomento ha escluso il Moroello, marchese di Villafranca? Non dirò col Fraticelli che l'abbia fatto con un giuoco di bussolotti, ma certamente non lo ha fatto in un modo razionale. Intanto (ci dice) l'altro marchese Moroello di Villafranca potè agevolmente confondersi da Giovanni Boccaccio col Vapor di Val di Magra in que' racconti di Dino Perini.... Chiarissino perciò diviene il punto, che Dante volle dedicare il Purgatorio a chi già era lodato da lui nell' Inferno. Un potè confondersi pel Troya sta per argomento potentis

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simo, anzi per l'Achille di tutti gli argomenti? Non è questa la prima volta che al Troya divengano chiarissimi certi punti difficilissimi di storia in virtù dei possibili che spaziano tanto indeterminatamente nel seno dell' infinito! Bene qui abbiamo a dolerci del Fraticelli, che, avendo veduto sparire ogni difficoltà per farsi questa lettera del 1307 ed indiritta al Moroello di Villafranca, abbia per modestia concluso di non saper disciogliere le intricate quistioni, e che manchino documenti storici a rendere certa questa supposizione. Più che sui documenti storici, fidiamo sulla critica, ed oltre l'autorità degli antichi non è grave argomento la lettera presente? § IX. Questa lettera è del 1307, come tenne il Fraticelli, e come appresso dimostreremo pienamente. Il Troya, per fare meno improbabile la sua opinione, ed illuso da una falsa interpretazione di questa lettera, la pone ai principii del 1311, come il Witte nel 1310. L'uno e l'altro fanno sì, che Moroello di Giovagallo a poco a poco si venga disbrancando dai Neri, ed accostando ai Ghibellini finchè per Enrico VII non fu fatto vicario imperiale in Brescia; e così a poco andare Alagia viene legando una intrinseca amicizia fra suo marito e l'Autore della Divina Commedia. Ma dove sono i documenti, che nel vicario imperiale di Brescia del 1312 sia da vedere il guelfo Moroello di Giovagallo, e non il ghibellino Moroello di Villafranca?

Correggendo la data cronologica di questa lettera, non può tenersi per scritta al marchese di Giovagallo; perchè nel 1306 e 1307 tuttavia guelfo e nemico de' Bianchi, perciò pure di Dante, e rimasto Potestà in Pistoia, lontano dalla Lunigiana, in nome della Lega guelfa di Toscana. Ed aggiungiamo che nel 1310, pochi mesi prima del tempo assegnato dal Troya all' epistola in parola, si trova in Fiorenza a giurare fedeltà a Clemente V, come vi era entrato nel 1301 dietro a Corso Donati allorchè furono saccheggiate le case de' Bianchi e distrutta quella dell' Alighieri.1

Questo Moroello teneva col cardinale Del Fiesco contra Franceschino Malaspina, altro amico di Dante, ed il Del Fiesco, forse pure amico di Branca Doria, era un di coloro che potevan dare esempi di malvagità ad Alagia.

§ X. Abbiamo due atti, a breve intervallo fra loro, ed il secondo in data de'6 ottobre 1306, ne' quali Dante a nome di Franceschino Malaspina marchese di Mulazzo, e de' due fratelli Corradino e Moroello Malaspini figli di Obicino e nipoti di Franceschino alla moda di Brettagna, fa un contratto con Antonio Malaspina vescovo di Luni. Per tale circostanza Dante ebbe occasione di conoscere Moroello Malaspina di Obicino, e stringere amicizia con lui, come bene osserva il Balbo.

Il Boccaccio narra che Moroello Malaspina di Villafranca, del quale Dante era legato ed in singolarità amico, ebbe tra l'aprile del 1306 e quello del 1307 il principio della Divina Commedia lasciato in Fiorenza, e, restituitolo all'Autore, confortò questi a compiere l'opera. Ed aggiunge che poi Dante a tale Moroello volle dedicare il Purgatorio. Questa tradizione fu pur tenuta da Benvenuto da Imola, da Filippo Villani e da altri. Perciò ben concludeva il Balbo, che Dante contraeva amicizia nel 1306 con questo Moroello di Villafranca. Il Balbo da' due argomenti suoi doveva dedurre che anche a Moroello di Villafranca fu o doveva essere dedicato il Purgatorio; ma egli di ciò dà piuttosto una opinione probabile che altro, e per le lodi date ad Alagia, e ad Adriano V del Fiesco concede che Dante fosse stato probabilmente amico ancora di Moroello Vapore di Val di Magra, in modo che questo suo sospetto è diventato poscia un grave argomento in mano del Troya. Però se il Balbo in questo non seppe farsi buon cavaliere della verità, molto errò nel non parlare della lettera da Dante scritta a Moroello sull' Alpigianina, ove n'ebbe notizia come ne doveva avere.

§ XI. Corrado Malaspina il giovane dice nel Purgatorio, che Dante fra l'aprile del 1306 e quello del 1307 avrebbe in Lunigiana sperimentata la cortesia di casa Malaspina :

Ed io vi giuro, s'io di sopra vada,

Che vostra gente onrata non si sfregia
Del pregio della borsa e della spada.

Uso e natura sì la privilegia,

Che, perchè 'l capo reo lo mondo torca,

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