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8

Per una voce che nel cuor percosse;
E, se il libro non erra,

Lo spirito maggior tremò si forte,
Che parve ben, che morte

Per lui in questo mondo giunta fosse:
Ora ne incresce a quei che questo mosse.
Quando m'apparve poi la gran beltate
Che sì mi fa dolere,

Donne gentili, a cui io ho parlato,
Quella virtù che ha più nobilitate,
Mirando nel piacere,

S'accorse ben, che 'l suo male era nato;
E conobbe il desio ch'era criato
Per lo mirare intento, ch' ella fece;
Sicchè, piangendo, disse all' altre poi:
Qui giugnerà in vece

D'una, ch' io vidi, la bella figura
Che già mi fa paura;

E sarà donna sopra tutte noi,
Tosto che fia piacer' degli occhi suoi.

Io ho parlato a voi, gioveni donne,
Che avete gli occhi di bellezza 10 ornati,
E la mente d'Amor vinta e pensosa;
Perchè raccomandati

Vi sian" gli detti miei, dovunque sono:
E innanzi a voi perdono

La morte mia a quella bella cosa

12

Che me ne ha colpa 2 e non fu mai pietosa.

duramente. Così leggesi in alcuni Codici della Magliabechiana e Riccardiana, e questa lezione prescelgo col Giuliani. La volgata ha malamente.

2

gli aperse. Altre lezioni: l'aperse. già ben. Altri; mia già. Sem. bra superflua la voce mia.

Con la insegna. È lezione del Codice Riccardiano 1127 seguíta dal Giuliani. La volgata, seguíta dal Fraticelli, ha con le insegne, ma quali sarebbero queste insegne? Nel singolare la insegna è la donna che d'amore era la bella insegna (vedi la Canz. Morte, per ch'io non trovo

a cui mi doglia, str. 3). Così ben la intende il Giuliani.

5 rivide poi. Così col Fraticelli; altri e così pure il Giuliani leggono: rivide più. Stando una fiata, ci sembra inutile il più come opportuno il poi.

6 Amor ch' era. Altri: quel che fu. le pesa. Altri: le incresce. Sta bene incresce, ma sta meglio pesa.

7 Verso colei. Altri: Sopra colei. L'immagine di questa donna alza gli occhi, e perciò come grida sopra?

8 voce. Altri: luce. Pare che una luce non avesse potuto far sì grave

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BALLATA III.

Parla di Beatrice sotto il velo d'una nuvoletta.

Deh! nuvoletta che in ombra d'Amore
Negli occhi miei di subito apparisti,
Abbi pietà del cor, che tu feristi,
Che spera in te, e desiando muore.

Tu, nuvoletta, in forma più che umana

Foco mettesti dentro alla mia mente
Col tuo parlar che ancide;

Poi con atto di spirito cocente

Creasti speme che in parte mi sana :'

Laddove tu mi ride,

Deh! non guardare, perchè a lei mi fide,
Ma drizza gli occhi al gran desio che m'arde,
Che mille donne già, per esser tarde,

Sentito han pena dell' altrui dolore.

1 mi sana. Così parecchi Codici della Riccardiana seguíti dal Giuliani. L' Edizione Giuntina e le altre successive, con le quali andos

sene il Fraticelli, portano: m'è sana. Non so che voglia dire il m'è sana, mentre il mi sana fa un contrapposto al che ancide.

BALLATA IV.

Si scusa con Beatrice d'aver amata altra a schermo.

Ballata, io vo' che tu ritrovi Amore,

E con lui vadi a Madonna davanti,
Sicchè la scusa mia, la qual tu canti,
Ragioni poi con lei lo mio signore.

Tu vai, Ballata, sì cortesemente,

Che senza compagnia
Dovresti aver in tutte parti ardire:
Ma, se tu vuoli andar sicuramente,
Ritrova l'Amor pria;

3

2

Chè forse non è buon senza lui gire:
Perocchè quella che ti debbe udire,"
Se, come io credo, è invêr di me adirata,
E tu di lui non fussi accompagnata,
Leggeramente ti faria disnore.

Con dolce suono, quando se' con lui,
Comincia este parole

Appresso ch' averai chiesta pietate :
Madonna, quegli che mi manda a vui,
Quando vi piaccia, vuole,

5

Sed egli ha scusa, che la m'intendiate.
Amore è quei che per vostra beltate
Lo face, come vuol, vista cangiare:
Dunque, perchè lo fece altra guardare,
Pensatel voi dacch'e'non mutò 'l core.

7

Dille Madonna, lo suo core è stato

Con sì fermata fede,

8

Ch'a voi servir lo pronta ogni pensiero :
Tosto fu vostro, e mai non s'è smagato.

Sed ella non tel crede,"

Di', che 'n domandi Amor che ne sa il vero :

10

Ed alla fine falle umil preghiero,
Lo perdonare se le fosse a noia,

Che mi comandi per messo, ch' io moia,
E vedrassi ubbidire al servitore."

12

E di' a colui ch'è d'ogni pietà chiave,
Avanti che sdonnei,

Chè le saprà 13 contar mia ragion buona:
‹ Per grazia della mia nota soave

Rimanti qui con lei

14

E del tuo servo ciò, che vuol,15 ragiona;
E, s'ella per tuo prego gli perdona,

Fa' che gli annunzi in bel sembiante pace.16 >
Gentil Ballata mia, quando ti piace,

17

Muovi in tal punto "7 che tu n'aggi onore.

Tu vai. Così leggiamo col Fraticelli. Alcuni leggono: Tu va, credendo, che qui debba essere il verbo andare posto nella seconda dell'imperativo, mentre non vi è luogo ad alcun comando. Qui l'autore conforta la Ballata ad andare più sicura, perciocchè la sua cortesia potevala fare ardita ad andare dappertutto; e nella divisione che ne fa nella Vita Nuova, la licenzia dell'andare quando vuole, e ciò risponde agli ultimi versi:

Gentil Ballata mia, quando ti piace,
Muovi in tal punto, che tu n'aggi onore.

Altri leggono questo verso: Aver dovresti in tutte parti ardire; ed altri ancora: Dovresti in tutte parti aver ardire.

3 vuoli andar. Altri e così pur Fraticelli e Giuliani: vogli andar.

Questi versi in altra lezione presentano una varietà non leggiera:

Perocchè quella che ti debbe udire, S'è, come io credo, inver di me adirata; Se tu di lui non fossi accompa gnata, Leggeramente ti faria disnore.

Alcuni inoltre variano questa medesima lezione col verso 12o, po

nendo: Sì, come io credo, è in ver di me adirata. E tutto può stare benissimo, però altri ci danno un'altra varietà erronea di questo medesimo verso, leggendo: Sì, come io credo, in vêr di te adirata. Beatrice si era adirata contro Dante non contra la Ballata sua. Per debbe alcuni hanno deve.

Amore è quei. Amore era in compagnia della Ballata, ma qui non era necessario il dirsi, e col qui si fa luogo ad uno sviluppo di parole che non ha senso naturale. È manifesto che il quei fu alterato in qui.

lo face.... lo fece. Generalmente si suole qui porre gli per lo al v. 23, mentre alcuni, come il Fraticelli, prescelgono lo nel v. 22. Ma qui il verbo fare richiede un soggetto, e posto o no nella forma dell'oggetto, e non un dativo. Così benissimo l'usarono i trecentisti, e Dante forse più degli altri si tenne a questa legge. Tale soggetto è del verbo di forma infinita che dipende dal verbo fare, e nel nostro caso il pronome lo è un vero soggetto dei verbi cangiare e guardare, mentre in certo

modo può considerarsi ad un tempo quale oggetto di face e fece.

7 dacch' e' non mutò 'l. Alcuni leggono male: dacchè mutò il colore.

lo pronta. Altre lezioni portano: ha pronto; ovvero: l'ha pronto; od anche l'ha in pronto. La lezione che noi seguiamo col Fraticelli e col Giuliani, e che si riscontra nei Codici Riccardiani 440, 1034 e 1340, fu sostenuta dal Dionisi e dal Witte. Essa è la sola degna di approvazione; perchè non si vuole aver pronto il pensiero, o pensar prontamente, ma si vuolsi pensare a servir prontamente. E soltanto in questo caso l'ogni ben si accoppia con pensiero; perchè ogni pensiero stimolava, eccitava e faceva sollecito e pronto Dante a servire la sua donna.

9 non tel crede. Altri: non ti crede. 10 che ne sa il vero. Così alcuni testi, coi quali stiamo. La volgata. seguíta dal Fraticelli ha: s'egli è vero. Le due lezioni in sostanza dicono lo stesso; ma, volendo stare alla volgata, leggeremmo le parole precedenti secondo alcuni testi: Sed ella non ti crede, Di' che domandi Amore, s'egli è vero.

Il Giuliani nel testo ritiene: s'egli è vero; ma ne' comenti dice: « ma deve ritenersi l'altro, perchè nella prosa Dante dice, che Amore gl'impose che di ciò, onde ora si parla, chiamasse testimone colui che'l sa. » Non mi pare una conseguenza necessaria.

11 E vedrassi ubbidire al servitore. Abbiamo altre due lezioni di questo verso. La prima ci dà: E vedrassi ubbidir buon servitore. La seconda è questa: E vedrà bene ubbidir servitore; ovvero: E vedrà bene ubbedir servitore. La determinazione di servitore per mezzo del segnacaso articolato ci sembra necessaria, perchè tal servitore va inteso per Dante; come ci sembra superflua l'idea di buono ovvero di bene.

12 colui. Il Biscioni legge: colei. Ma qui va inteso di Amore.

13 Chè le saprà. Altri hanno : Ch'elli saprà. Noi ponemmo l'accento sopra che.

14 Qui comincia il dire della Ballata, e questo verso compie il senso di rimanti e ragiona, non di saprà, come vuole il Giuliani. Per ciò diversa punteggiatura.

15 ciò, che vuol. Il Fraticelli ed il Giuliani seguono altri testi, che portano: ciò, che vuoi. Quest'ultima lezione va rifiutata, perciocchè vuoi si riferirebbe ad Amore, ma questi non potea far altro che contare la ragion buona del suo servo, e perciò dovea ragionare ciò che volea Beatrice, solvendole ogni dubbio. E se qui non abbiamo la volontà di Beatrice, avremo quella di tuo servo, cioè di Dante servo di Amore. Anzi a questo mi tengo, perciocchè nella narrazione sta detto: « E di ciò chiama testimonio colui che 'l sa; e come tu preghi lui che gliela dica: ed io che sono quello, volentieri le ne ragionerò; e per questo sentirà ella la tua volontà, la quale sentendo, conoscerà le parole degl' ingannati. »

Ne' Codici antichi sopra la i non era il puntino, e perciò confondevasi con la che aveva l'asta assai più bassa di quella che si ebbe in appresso.

16 Fa' che gli annunzi in bel sembiante pace. Si trovano varianti in che gli mutate in ch'ella, e così pure in in bel mutate in un bel. La nostra lezione sta bene da sè stessa, ma senza cangiar concetto potrebbe aver luogo la prima variante, od anche la seconda, non mai l'una e l'altra ad un tempo. Amore doveva ottenere che Beatrice annunziasse pace a Dante con lieto ed amorevole sembiante.

17 in tal punto. Altri: in quel punto. E questa lezione bonissima, però tal dice assai più di quel, cioè quando amore ti farà compagnia.

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