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GUIDO CAVALCANTI A DANTE.

(1283).

Vedesti, al mio parere, ogni valore

E tutto gioco, e quanto bene uom sente,
Se fusti in pruova del signor Valente
Che signoreggia il mondo dell'onore.
Poi vive in parte dove noia muore

E tien ragion nella pietosa mente,
Si va soave ne' sonni alla gente
Che i cor ne porta senza far dolore.
Di voi lo cor se ne portò, veggendo
Che vostra donna la morte chiedea:
Nudrilla d'esto cor, di ciò temendo.

Quando t'apparve che sen gia dogliendo
In dolce sonno ch'allor si compiea,
Chè il suo contrario lo venia vincendo. '

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- bene osserva il professore Arnone - non fu che la sola canzone accompagnata da qualche commento più o meno copioso, più o meno intelligibile. Bastava, secondo il giudizio degli scrittori d'allora, la sola canzone, per mettere il Cavalcanti pari a Dante e al Petrarca... » Chi volesse seguire, cronologicamente, tutte le edizioni contenenti rime del Cavalcanti potrebbe consultare con profitto: 1o Le Rime di Guido Cavalcanti, testo critico, pubblicato dal prof. Nicola Arnone. In Firenze, 1881, Sansoni, in-8, a pagg. Ix-xxvI.

2° Pietro Ercole: Guido Cavalcanti e le sue

I

Rime, studio storico-letterario, seguito dal
testo critico delle rime con commento. Li-
vorno, Vigo, 1885, in-16, a pagg. 189-201.
L'edizione dell'Arnone non è la prima rac-
colta di tutte le rime edite ed inedite del
Cavalcanti. Per cura di Antonio Cicciaporci
furono, la prima volta, riunite le rime edite
ed inedite di Guido Cavalcanti (Firenze, Carli,
1813, in-8, con ritratto dell'autore). In que-
st'edizione vi è un volgarizzamento antico
inedito del commento di Dino del Garbo sulla
canzone: « Donna mi
prega...>> Una parte
delle poesie di Guido Cavalcanti, che con-
tiene questo volume, era stata già stam-
pata a pagg. 73-96 del libro intitolato :
Esposizione di M. Egidio Colonna sopra la
canzone d'amor di Guido Cavalcanti con al-
cune brevi annotazioni intorno ad essa di Celso
Cittadini... In Siena, appresso Salvestre
Marchetti, 1602, in-8. Prese abbaglio il Bru-
net, nel suo Manuel du libraire, quando
affermò che, oltre questo commento, solo
altri due sulla canzone ve ne sieno in ital.,
quello di Fra Paolo del Rosso (Firenze,

Ma Guido con gli altri non seppe spiegare la visione dantesca. << Lo verace giudicio del detto sogno - dice Dante, come avete letto non fu veduto allora per alcuno; ma ora è manifesto alli più semplici. >>

Alcuni hanno spiegato quella visione così: Dante volle dire, sotto il simbolo che l'Amore, ricogliendo Beatrice fra le sue braccia, se ne gisse con lei al cielo, il successo che avrebbe avuto il suo amore per Beatrice, che lo fece uscire dalla volgare schiera.

« Quello che può recar sorpresa - dice il Todeschini - e colla sorpresa qualche sorta di sospetto, si è il rinvenire un sonetto scritto sette anni prima della morte di Beatrice, il quale contenga una predizione del successo che aver doveva l'amore del poeta per quella donna. >>

Poi soggiunge:

« E qui io noterò alcune cose. La prima, ch'io presto fede a Dante sulla verità ed autenticità del sonetto, non tanto pel caratterę assai giovanile di cui esso mi sembra improntato, quanto per le risposte di tre altri rimatori che se ne conservano: la seconda che un giovinotto fervido, ingegnoso, immaginoso, essendo preso d'amore per una donna, lusingandosi d'essere da lei corrisposto, e temendo che un tale amore non potesse avere alcun esito felice, potè facil

Sermartelli, 1568, in-8) e quello di Girolamo Frachetta di Rovigo (Venezia, Gio. lito, 1585, in-4). Oltre di questi commenti vi sono anche quelli di Marsilio Ficino nel suo Convito, di Iacopo Mini, di Plinio Tomacelli, di Francesco Verini il Giovane, e di Gabriele Rossetti. Anche Ugo dal Corno commentò la canzone, ma la sua fatica o è perduta o è rarissima. Fu sconosciuta a quasi tutti gli scrittori che nel secolo xv e xvi parlarono di Guido e della sua canzone. Non mi consta che i commenti del Mini, del Tomacelli, del Verini sieno a stampa. Il Bayle, nel suo Dizionario, all'articolo Cavalcante» dice che questi commenti sieno editi, «tout cela est imprimé », e cita il Crescimbeni, nel quale tal frase non si trova. Il Crescimbeni, parlando di tutte le sposizioni, dice (Istoria della volgar poesia, lib. II, pag. 268, ediz. 1730): «<ed elleno sono la maggior parte stampate ». A me, ripeto, non è riuscito di vederli a stampa. Prepara un gran lavoro sulla canzone: «Donna mi prega» Francesco Pasqueligo, come vedremo più appresso nella sua biografia, quando arriveremo alle traduzioni della corrispondenza poetica tra Dante e Giovanni del Virgilio. Il sonetto in risposta a Dante fu stampato pure nella edizione del Bettoni:

Rime di Dante Alighieri, di Guido Guinizelli e di Guido Cavalcanti (Milano, 1828, in-16). E si legge ancora nell'edizione della Vita Nuova, illustrata dal D'Ancona, 2a ediz. (Libreria Galileo, già fratelli Nistri, Pisa, in-8 piccolo, 1884). Non è contenuto, e fa somma meraviglia, in molte delle raccolte di rime antiche. Federico Meninni nel Ritratto del sonetto e della canzone (in Venetia, appresso li Bertani, in-12, 1678, a pagg. 251 e 437) parla del modo di rimare del nostro Guido. Vedi pure: lo scritto di Gaetano Capasso, Le Rime di Guido Cavalcanti. Pisa, 1829.

L'amore in Bernardo di Ventardon e in Guido Cavalcanti di Tullio Ronconi (pagine 19-176 del Propugnatore. Bologna, Romagnoli, vol. XIV (anno 1881), parte I). - E la Novella di Guido Cavalcanti di Licurgo Cappelletti (pagg. 17-38 del Propugnatore, vol. X, parte II, 1877). Vedi pure per semplice curiosità, senza pretensione di trovar della critica storica, il romanzo di Antonietta Klitsche de la Grange intitolato : Guido Cavalcanti. Roma, tip. Forense, 1885, 3 volumetti in- 16.

Tra i saggi danteschi di Giuseppe Finzi (Torino, Loescher, 1888, in-8), da p ag. 60 ad 87 vi è uno studio su Dante e Guido Cavalcanti.

«

mente concepire la visione o fantasia ch'è nel sonetto contenuta : la terza, che la circostanza allusiva alla morte di Beatrice: «< e così piangendo (Amore) si ricogliea questa donna nelle sue braccia, e <«< con essa mi parea che se ne gisse verso il cielo, » non è già dichiarata a questo modo nel sonetto, ma soltanto nella prosa, che fu scritta un buon tratto di tempo dopo la morte della Portinari. »

I

Ma non ostante queste osservazioni del Todeschini il sospetto che egli vuol rimuovere può rimanere per un altro argomento. Uno dei risponditori fu Cino da Pistoia, nato nel 1270 (V. Ciampi, edizione delle Rime di Cino, e Carducci nella prefazione alle Rime di Cino, edizione diamante Barbèra).

Cino, rispondendo a Dante nel 1283, avrebbe scritto il suo sonetto a 13 anni. E si potrebbe credere anche a tanta precocità, se Dante non dicesse di essersi rivolto ai più celebri trovatori d'allora. Cino sarebbe stato, dunque, uno dei più celebri trovatori a 13 anni!

Sono annose le dispute intorno all' interpretazione del primo sonetto di Dante e alla natura di Beatrice. Ci sono due sistemi, lo storico e il simbolico. Per i simbologi Beatrice non fu persona reale. Il Da Buti che, come appare dal suo commento, ignorò l'esistenza della Portinari e la testimonianza del Boccaccio, non vede in Beatrice, che chiama amore finto del poeta, se non il simbolo della teologia. Francesco Mario Filelfo, a sua volta, vide in Beatrice una favolosa Pandora, arricchita dall'Alighieri di ogni corporea ed intellettuale bellezza, e da lui formata ed immaginata a quel modo come oggetto e termine di poetico culto. Il canonico Anton Maria Biscioni, nella sua prefaz. alle Prose di Dante, ravvivò l'opinione dell' inesistenza di Beatrice. Non è donna reale la Beatrice di Dante, dice il signor canonico, essendo la Vita Nuova un trattato d'amore intellettuale senza miscuglio d'amore mondano, tutto basato sull'allegoria; oggetto dell'amore di Dante è la sapienza personificata in Beatrice; la sollevazione dei tre spiriti, vitale, animale e naturale, alla prima vista di Beatrice, rappresenta il contrasto da cui siamo assaliti nello accingerci a malagevole impresa, specialmente in età giovanile; il saluto di Beatrice significa che Dante aveva capacità alle scienze, che sono avvicinabili a chi ha intelligenza per apprenderle; le diverse donne, che si accompagnano con Beatrice, sono le scienze tutte che della sapienza sono ancelle. La morte del padre di Beatrice significa la morte del maestro di Dante.

Il Biscioni, per altro, non nega che Dante abbia potuto conoscere Beatrice Portinari, ma dice così:

<< Chi poi per avventura avesse alcuna parzialità per la Bice Portinari, sappia ch' io con tutto questo ragionamento non ho inteso di

1 Todeschini, Scritti su Dante. Vicenza, 1872, Burato, in-16, 1, 15.

arrecare pregiudizio veruno a quella gentilissima donna, confessandosi pure da me ch'ella sia stata in questo mondo dotata di ragguardevoli prerogative, e fors'anco ben conosciuta e praticata da Dante per la vicinanza delle loro abitazioni; ma solamente ho preteso mostrare che dalle opere di esso Dante e dalle ragioni addotte si deduce che la nostra Beatrice non sia colei nè altra donna, ma una donna ideale a bello studio dal poeta inventata. >>>

Poi, nel 1826-27, il Rossetti stampò il commento analitico alla Divina Commedia (Inferno) e nel 1832 le sue disquisizioni sullo spirito antipapale che produsse la riforma. Anche il Rossetti negò l'esistenza reale di Beatrice. La Vita Nuova non è una storia vera, è un'allegoria. Dante non chiama Beatrice donna del suo cuore, ma della sua mente; e regina della virtù e distruggitrice di tutti i vizi. Dante nota il nove qual numero fatale nei suoi amori con Beatrice : « Nove fiate appresso il mio nascimento - Dal principio del suo nono anno Erano compiti li nove anni - L'ora era fermamente nona la prima ora delle nove ultime della notte - Non sofferse stare se non in sul nove — M'era apparita nella nona ora del dì. » E nel paragrafo trentesimo della Vita Nuova Dante, infine, dice che Beatrice è precisamente il numero nove, cioè il « miracolo, la cui radice è tre, la mirabile trinitate. »

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1 Sullo spirito antipapale che produsse la riforma e sulla segreta influenza ch' esercito nella letteratura d' Europa e specialmente d'Italia, come risulta da molti suoi classici, massime da Dante, Petrarca, Boccaccio, disquisizioni di Gabriele Rossetti, professore di lingua e letteratura italiana nel Collegio del Re in Londra. Londra, stampato per l'autore, 1832, in-8, pagg. 120. Il De Batines non ebbe sott'occhi questo volume, epperò, a pagg. 503-504 del primo volume della sua Bibliografia dantesca, ne cita, a sproposito, il principio del titolo, così: Sullo spirito antipapale, che produsse la riforma, e sulla segreta influenza d'Europa... Come si vede, dopo influenza, sono ommesse le parole: ch'esercito nella letteratura, senza le quali il titolo rimane quasi inintelligibile. Questo libro del Rossetti si riattacco, in quanto alle teorie antipapali, ad un rarissimo libro del secolo XVI: Avviso piacevole dato alla bella Italia, da un nobile Giovane Francese sopra

la mentita data dal Serenissimo re di Nauarra

a papa Sisto V. Monaco, appresso Giouanni Swartz, 1586, in-4 piec. di 65 cart. Di quest'opericciuola, che ha la fine in versi, stampata a Ginevra, come opinano i bibliografi, ne esisteva un esemplare, unico in Italia,

- Fu

nella biblioteca del Collegio Romano. Pare che anche quest'esemplare sia sparito, perchè, avendone io fatte fare ricerche nell'attuale biblioteca Vittorio Emanuele, non si è trovato. Il De Batines, a pagg. 500-501, vol. I, della sua Bibliografia dantesca, così dice: « Un esemplare, legato in marocchino rosso dal Derome, era nella biblioteca di Carlo Nodier; e lo veggo registrato al cap. Satires nella Description raisonnée d'une jolie collection de livres (Parigi, Techener, 1844, in-8, n. 667) con questa nota dell'accademico bibliofilo: «Volume fort intéressant sous le point de vue littéraire et fort curieux sous le point de vue historique, qui a été autrefois très recherché, et qui le serait encore, s'il était moins rare et plus

connu. »

Si legge nel De Thou (Hist., fac. 585) che quest'opera si attribui a François Perot, seigneur de Mezières, e l'ab. Pianciani, che ne discorre negli Annali delle scienze religiose di Roma (X, 265-267), ci fa sapere leggersi sull'esemplare già citato del Collegio Romano che questo scritto è di François Perot, seigneur de Mezières.

L'autore vuol dimostrare, con l'autorità di Dante, del Petrarca e del Boccaccio, che

Il Fraticelli, a proposito di questo numero nove sempre ricorrente nella Vita Nuova, dice (prefazione alla Vita Nuova, edizione Barbèra) che a Dante fu simpatico il numero nove, perchè quando Beatrice venne al mondo tutti e nove i mobili cieli congiunti insieme piovvero sopra di lei i loro benefici influssi.

Si sa che il Rossetti sostiene nelle due opere citate che il mistico e platonico linguaggio d'amore di tutti i rimatori predecessori e contemporanei di Dante fu un linguaggio convenzionale. Selvaggia, Giovanna, Beatrice, Laura, Fiammetta altra cosa non furono se non la personificazione della potestà imperiale da Cino, dal Cavalcanti, da Dante, dal Petrarca, dal Boccaccio invocata dominatrice e riformatrice. Fu necessario ai ghibellini un gergo convenzionale, dopo la strage degli albigesi, la caduta degli svevi e il sopravvento dei guelfi in tutta Italia; per mezzo di esso, a tutti i più distinti lor personaggi comune, fingendo di parlare di una cosa, parlavano di un'altra, e così riuscivano a tener fra loro non interrotta comunicazione. Secondo questo gergo il ghibellinismo fu detto vita, e il guelfismo morte. Donna o madonna chiamavano i ghibellini la potestà imperiale, ed a questa ciascuno applicava un nome proprio di donna, che secondo la mente sua avesse un qualche senso allegorico. Questa donna, cioè domina, era per conseguenza quella mente dominatrice, quella sapienza generale per la quale la terra tutta regger si dovesse, concentrata in un sol uomo potentissimo, immagine di Dio, regolator dell'universo. Esempio del gergo: usavano la frase: i fedeli d'amore, perchè questa parola amore, troncata in amor, invertesi a significare Roma, impero; intera, amore, si divide in amo re, e significa l'autorità imperiale.

Un anno dopo la pubblicazione dello Spirito antipapale, il 1833, il Vecchioni, vicepresidente della suprema Corte di giustizia di Napoli, venne a sostenere le idee del Rossetti. Il Vecchioni si proponeva di stabilire che la dottrina primitiva rimonta al sacerdozio egiziano, che ne conservò rigorosamente il deposito e la circondò del più profondo mistero, non trasmettendone gli insegnamenti se non agli iniziati, col mezzo di un linguaggio il cui segreto significato

Roma è Babilonia e il papa l'Anticristo, e spende sei capitoli nell'esame de' vari passi della Divina Commedia relativi ai papi. Fu confutato, dice il de Batines, dal cardinal Bellarmino nello scritto seguente: Appendix ad libros de summo Pontifice: qui continet responsionem ad librum quemdam anonymum, cujus titulus est: Auiso piaceuole dato alla bella Italia... Roberto Bellarmino auctore, pubblicata nella sua opera: De controver siis Christianae fidei adversus hvivs temporis

hereticos. Coloniae Agrippinae, sumptibus Ioannis Gymnici et Antonij Hierat, 1615, in-folio, II, 371-385.

1 Della intelligenza della Divina Commedia, investigazioni di Carlo Vecchioni. Napoli, stamperia del Fibreno, 1833, vol. I, parte I, in-8. Quest'opera è sfuggita al D'Ancona, il quale dice (Discorso su Beatrice, pag. xxxi, op. cit.) che a sua notizia dei sogni del Rossetti, in Italia, solo Giuseppe La Farina se ne mostrasse persuaso.

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