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Per il carattere sacro che si acquista coll'ordine, e per cagione del ministero ecclesiastico, che si esercita dai chierici, i canoni hanno stabilito per questi una speciale condizione e regola di vita, che non può da loro essere abbandonata, perchè insieme coi privilegî porta anche dei doveri; e gli uni come gli altri non hanno la loro causa nella considerazione delle persone, ma nel volere assicurata la dignità dell'ufficio, che ad esse è affidato. Quindi il chierico non soltanto deve esattamente osservare tutto ciò che può riuscirgli di personale sacrifizio; ma, quando avvenga il contrario, quando cioè si tratti di suo vantaggio, egli egualmente non deve sottrarvisi, come potrebbe se fosse un suo proprio diritto, perché non gli è dato per ragione della sua persona, ma per l'ufficio che deve compiere come ministro della Chiesa.

28. I diritti che sono proprî del clero, in modo che non possono, per la stessa ragione, appartenere ai laici, si riducono tutti a tre categorie.

La prima è di quelli che si riferiscono al culto, al governo della Chiesa ed a ciò che vi è necessariamente connesso. Unicamente ai chierici è dato di poter celebrare le cerimonie religiose, di esercitare la giurisdizione ecclesiastica, di avere uffici nella chiesa, di possedere i benefizî, di godere gli onori concessi al loro ordine dai canoni, e spesso anche confermati dalle leggi civili.

In secondo luogo, i chierici godono di taluni privilegi e finalmente hanno talune inmunità. Di questi privilegi e di queste immunità ci siamo occupati nel volume precedente.

29. Oltre a questi diritti, privilegi ed immunità, i chierici hanno ancora speciali obblighi, dai quali i laici

sono esonerati; questi obblighi vengono espressamente dichiarati dal Concilio Tridentino: « sic decet omnino clericos vitam moresque suos omnes componere, ut habitu, gestu, incessu, sermone, aliisque omnibus rebus nil, nisi grave, moderatum ac religione plenum, prae se ferant... Statuit S. Synodus ut quae alias a summis pontificibus et a sacris conciliis de clericorum vita, honestate, cultu, doctrinaque retinenda ac simul de luxu, commessationibus, choreis, aleis, ludibus ac quibuscumque criminibus, nec non saecularibus negotiis fugiendis copiose ac salubriter sancita fuerunt, eadem in posterum iisdem poenis vel maioribus observentur » 1.

30. Ora, rispetto a questa condizione personale del clero, consistente nell'esclusivo esercizio di determinati diritti, nella facoltà di godere di speciali privilegî, e nell'esatta osservanza delle obbligazioni a lui imposte, i governi separatisti proclamano, che, atteso il principio dell'uguaglianza civile fra i cittadini, non si possono riconoscere se non quei privilegi e quelle incapacità che hanno il loro fondamento nella legge. Per conseguenza, i doveri dei chierici, che consistono nell' astenersi da ciò che per legge è lecito a tutti, come quei loro diritti, che portano l'esenzione da ciò di cui la legge a tutti fa obbligo, non possono più avere il civile riconoscimento, il che vale quanto dire, non hanno più giuridicamente esistenza.

Però, i giuristi moderni fanno osservare, che l'astenersi da ciò che per legge è lecito a tutti, dipende esclusivamente dalla volontà del chierico, mentre l'esenzione da ciò di cui la legge a tutti fa obbligo è neces

1 Canones et Decreta Sacrosancti Concilii Tridentini. Sess. XXII, Cap. I, De reform.

saria, per la ragione, che in questo caso le disposizioni del diritto canonico si trovano in contraddizione con ciò che è imposto dalla legge a tutti in generale i cittadini. Per conseguenza, il commerciare, il prendere parte alla vita pubblica in conformità delle leggi, il non portare abito ecclesiastico, lo sciogliersi dalla obbedienza dei superiori, il contrarre legittimo matrimonio, sono facoltà di cui non può più essere vietato al chierico il libero esercizio, quando egli, per la sua qualità di cittadino, voglia usarne '.

31. Sulle affermazioni predette, limitiamo il nostro ragionamento soltanto a queste ultime, poichè dei privilegi e delle esenzioni, che competono ai chierici, abbiamo trattato nel volume precedente 2.

Giova attentamente esaminare il principio, sul quale si vuol fondare l'esposta argomentazione, vale a dire, essendosi proclamato il principio dell'uguaglianza civile, la legge non può riconoscere quei diritti, che portano l'esenzione da ciò di cui la legge a tutti fa obbligo, e quei doveri, che obbligano ad astenersi da ciò che per legge è lecito a tutti.

32. Primieramente, questo principio dell'eguaglianza civile non consiste certamente in ciò, che il legislatore nella formazione delle leggi non debba osservare le differenze, che dividono i cittadini in classi distinte; perché nella formazione di moltissime leggi non si può non aver riguardo alle differenze delle classi sociali. Questo è tanto vero, che pochissime sono le leggi, che riguardano tutti ugualmente i cittadini. Quasi sempre, nelle leggi si considera la differenza dell' età, la diffe

I CALISSE, Op. cit., Cap. II, 8 3.
2 GIOBBIO, Op. cit., Vol. II, art. IV.

renza di sesso, la differenza delle professioni e delle arti, la differenza del sapere, la differenza dell'avere i cittadini impiego o no dallo Stato, la differenza delle fortune, ecc.

Se dunque la legge civile è obbligata a considerare, per la necessità stessa del suo fine, tutte le altre differenze dei cittadini, perchè non sarà obbligata a considerare la differenza che proviene dalla religione? Perchè questa sola differenza sarà disprezzata e negletta dalla legge civile, e riguardo a questa sola si metterà avanti il principio, che la legge civile deve essere uguale per tutti i cittadini, e non limitata ad una sola classe di essi? Perché, solo in questo caso, si avrà a temere che, se la legge si limita ad una classe, ella costituirà un privilegio? Forsechè la massima parte delle leggi civili non sono necessariamente fatte per classi distinte, forseché è un privilegio il dare a tutti il suo, e non è anzi privilegio la legge universale, quando riesca utile a pochi e dannosa ed offensiva a molti?

Perciò, se quelle leggi, che involgono relazioni colle credenze religiose e coi doveri e diritti che procedono dalle medesime, si vogliono materialmente uguali, e quindi si pretende riguardare come non esistenti le differenze religiose, si avranno leggi stolte, ingiuriose ed offensive a tutti i credenti, e favorevoli ed utili a quei pochi, che avessero totalmente rinunziato ad ogni fede religiosa, e che sarebbero i veri privilegiati.

33. Nė si dica, che le differenze religiose sono differenze interne, e che le altre differenze, a cui la legge ha riguardo, essendo esterne, sono tali che distinguono gli uomini, secondo la vita sociale; poichè, le religioni non sono solamente opinioni interne, quantun

que fondate su credenze interne. Infatti, queste credenze creano un'esterna e visibile società religiosa con una organizzazione visibile, con un capo visibile, magistrati visibili, distribuiti in una certa gerarchia, composta inoltre di un numero più o meno grande di soci, che si riconoscono come appartenenti al medesimo corpo sociale, aventi le stesse obbligazioni, gli stessi diritti, un culto esterno comune, un codice di leggi disciplinari, dei tribunali e dei giudizî, come lo è certamente la Chiesa cattolica.

Per conseguenza, un legislatore, che vuol essere coerente a se medesimo, non ha che due sole vie da seguire: o di proibire e condannare qualunque società religiosa, o ammettendola, di conformare ad essa le sue proprie leggi. Nel primo, è finito per qualunque libertà di coscienza; nel secondo caso soltanto, questa è salvata.

34. Quanto poi alla seconda asserzione, che si vuole derivare dal principio dell'uguaglianza civile, che la legge cioè non può riconoscere come doveri, quelli che obbligano ad astenersi da ciò che per legge è lecito a tutti, è lo stesso che voler abituare i cittadini religiosi a far senza di qualche articolo precettivo religioso. Ciò ammettendo, si viene a creare il principio del dispotismo il più assoluto, quale è quello, che un governo civile nella formazione delle sue leggi non debba riconoscere altro potere diverso da se medesimo.

35. Se un governo deve essere giusto, egli deve prima di tutto esercitare questa giustizia verso i poteri, che coesistono con lui e che sono indipendenti da lui, quali sono i poteri religiosi; deve osservare religiosamente questo rispetto nelle sue leggi, ancorché queste riguardino effetti civili e politici; essendo falsissima ed ingiustissima sentenza, quella che un governo civile abbia

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