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AL CANTO I,

Premessa dal poeta la proposizione del soggetto, e invocato il favore d'Apollo, ne dice come facendosi omai giorno sulle cime del Purgatorio, si pose Beatrice a riguardare si fissamente nel sole, com' aquila non fece giammai; e tratto l'Alighieri per dolce impulso a imitarla, vide a poco a poco sfavillare quell' astro non altrimenti che ferro infuocato, e crescer d' ogni banda il giorno e la luce. Per lo che, volgendosi alla cara sua donna, sentissi trasumanare, o sollevarsi a condizione più alta che non è l'umana, in quella guisa che Glauco al gustar dell' erba divenne subitamente marina divinità. E tanto uscì allora fuor di sè stesso il poeta, che non sa dirci s'ei fosse tuttora legato alle membra, o se piuttosto disciolto da quelle. Intanto e dell' immenso splendore e dell'armonia non più intesa, che attorno spandevasi, fortemente ammirato, vien istruito da Beatrice, esser egli salito senza pur accorgesene alla sfera del fuoco: ma non intendendo per qual modo abbia potuto trascendere si lievi corpi, quali sono esso fuoco e le regioni dell'aria, gl' insegna Beatrice con profondo ragionamento, avere ogni cosa creata un ultimo fine a cui tende; il qual fine nient'altro

essendo nell' uomo che il cielo, non è da stupire se, dispogliato da qualunque impedimento che a terra il costringe, libero e pronto, come fa vivo fuoco, al cielo s' innalza.

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a gloria di Colui che tutto muove
Per l'universo penetra, e risplende
In una parte più, e meno altrove.

TOMO III.

Nel ciel che più della sua luce prende

Fu' io, e vidi cose che ridire

Nè sa, nè può qual di lassù discende; Perchè, appressando se al suo disire,

Nostro intelletto si profonda tanto,
Che retro la memoria non può ire.
Veramente quant' io del regno santo

Nella mia mente potei far tesoro,
Sarà ora materia del mio canto.
O buono Apollo, all' ultimo lavoro

Fammi del tuo valor si fatto vaso,

Come dimandi a dar l'amato alloro.

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Sì, come quando Marsia traesti

Della vagina delle membra sue.
O divina virtù, se mi ti presti

Tanto che l'ombra del beato regno
Segnata nel mio capo io manifesti,

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Venir vedraimi al tuo diletto legno,
E coronarmi allor di quelle foglie,
Che la materia e tu mi farai degno.
Si rade volte, padre, se ne coglie,

Per trionfare o Cesare o Poeta,

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(Colpa e vergogna dell' umane voglie),

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Forse di retro a me con miglior voci Si pregherà perchè Cirra risponda. Surge a' mortali per diverse foci

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La lucerna del mondo; ma da quella,

Che quattro cerchi giugne con tre croci,

Con miglior corso e con migliore stella

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Esce congiunta, e la mondana cera
Più a suo modo tempera e suggella.
Fatto avea di là mane e di quà sera

Tal foce quasi; e tutto era là bianco.
Quello emisperio, e l'altra parte nera

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