poca nostra nobiltà di sangue, Quaggiù, dove l'affetto nostro langue, Mirabil cosa non mi sarà mai, Che là, dove appetito non si torce, Dico nel cielo, io me ne glorïai. Ben se' tu manto che tosto raccorce, Si che, se non s'appon di die in die, In che la sua famiglia men persevra, Onde Beatrice, ch'era un poco scevra, 7 10 13 16 Voi mi levate sì, ch'i' son più ch'io. Per tanti rivi s'empie d'allegrezza 19 La mente mia, che di se fa letizia Perchè può sostener che non si spezza. Ditemi dunque, cara mia primizia, Quai furo i vostri antichi, e quai fur gli anni Che si segnaro in vostra puerizia. Ditemi dell'ovil di San Giovanni Quant' era allora, e chi eran le genti Tra esso degne de' più alti scanni. 22 25 Come s'avviva allo spirar de' venti Luce risplendere a' miei blandimenti : 28 31 Dissemi: Da quel di che fu detto, AVE, Al parto in che mia madre, ch'è or santa, 34 Al suo Leon cinquecento cinquanta E trenta fiate venne questo fuoco A rinfiammarsi sotto la sua pianta. Gli antichi miei ed io nacqui nel loco 37 40 Da quel che corre il vostro annual giuoco. Basti de' miei maggiori udirne questo; 43 Chi ei si furo, ed onde venner quivi, Più è tacer, che ragionare, onesto. Tutti color ch'a quel tempo eran ivi 46 Da poter arme, tra Marte e il Batista, Ma la cittadinanza, ch'è or mista 49 Di Campi e di Certaldo e di Figghine, Pura vedeasi nell' ultimo artista. O quanto fora meglio esser vicine. Quelle genti ch' io dico, ed al Galluzzo, Ed a Trespiano aver vostro confine, Che averle dentro, e sostener lo puzzo Del villan d' Aguglion, di quel da Signa, Che già per barattare ha l'occhio aguzzo! 32 53 |