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316 DEL PARADISO CANTO XXVII.

Tu perchè non ti facci maraviglia,

Pensa che in terra non è chi governi;

Onde si svia l'umana Famiglia.

Ma prima che gennaio tutto sverni,

Per la centesma ch'è laggiù negletta,
Ruggeran sì questi cerchi superni,

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Che la fortuna, che tanto s'aspetta,

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Le poppe volgerà u'son le prore,
Sì che la classe correrà diretta;
E vero frutto verrà dopo il fiore.

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AL CANTO XXVIII.

Narra l'Alighieri come si manifestasse agli occhi suoi la divina Essenza, ch' egli poeticamente ci rappresenta in un punto d'infinita luce ardentissimo, a significare forse l'eterna indivisibil natura. Rotavansi velocissimamente intorno a questo punto nove cerchi di fuoco, l' uno dentro dell' altro, ma distanti molto fra loro, e con tal condizione di splendore e di moto, che più quel cerchio ne aveva, il quale maggiormente al centro accostavasi, e meno di mano in mano quello che n'era maggiormente discosto. Lo che nell'animo del poeta induce fortissimo dubbio: imperocchè intendendo egli, siccome per que' nove circoli animati dal punto lucidissimo nel quale han centro, e che è Dio medesimo, si debbe aver l'immagine de' nove cieli che intorno la terra si girano, non capisce la ragione, onde nel mondo sensibile, ch' ei chiama esemplare, la sfera più veloce e più pura sia quella che più dal centro è distante; mentre in quel mondo intellettuale, e ch'ei chiama l'esemplo, la cosa procede affatto in contrario. Ma Beatrice l'illumina, facendogli manifesto essere i motori del mondo sensibile più vicini a Dio nel mondo intellettuale a misura della loro virtù e perfezione maggiore :

ΤΟΜΟ ΠΙ.

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laonde il cerchio più piccolo, il quale si volge più ratto degli altri e più lucido intorno al punto della divina essenza, corrisponde alla sfera sensibile che ha per motori i Serafini; quello che gli viene appresso, corrisponde al cielo de' Cherubini, e così di seguito. Quindi non è da riguardarsi la parvenza, ma si la realtà; considerando esser conveniente che al cielo di maggior ampiezza e di maggior velocità presieda l'Intelligenza di maggior virtù; al cielo più basso l'Intelligenza di minor perfezione. V'ha dunque pienissima armonia tra l' esemplare e l'esemplo.

M

CANTO XXVIII.

oscia che incontro alla vita presente De' miseri mortali aperse il vero Quella che imparadisa la mia mente;

Come in ispecchio fiamma di doppiero 4 Vede colui che se n'alluma dietro,

Prima che l'abbia in vista od in pensiero,

E se rivolve, per veder se il vetro

Gli dice il vero, e vede ch'el s' accorda

Con esso, come nota con suo metro;

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Così la mia memoria si ricorda

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Ch'io feci, riguardando ne' begli occhi,
Onde a pigliarmi fece Amor la corda.

E com'io mi rivolsi, e furon tocchi

Li miei da ciò che pare in quel volume,
Quantunque nel suo giro ben s'adocchi,

Un punto vidi che raggiava lume

Acuto sì, che il viso, ch' egli affuoca,
Chiuder conviensi, per lo forte acume:

E quale stella par quinci più poca,
Parrebbe luna locata con esso,
Come stella con stella si colloca.

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Forse cotanto, quanto pare appresso

Alon cigner la luce che 'l dipinge,

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Quando il vapor, che il porta, più è spesso, Distante intorno al punto un cerchio d'igne

Si girava sì ratto, ch'avria vinto

Quel moto, che più tosto il mondo cigne;

E questo era da un altro circuncinto,

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E quel dal terzo, e il terzo poi dal quarto, Dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.

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