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Sai quel che fe', portato dagli egregi

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Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro, Incontro agli altri principi e collegi: Onde Torquato e Quinzio, che dal cirro Negletto fu nomato, e Deci, e Fabi

Ebber la fama che volentier mirro.

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Esso atterrò l'orgoglio degli Arabi,

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Che diretro ad Annibale passaro
L'alpestre rocce, Po, di che tu labi.

Sott' esso giovanetti trionfaro

Scipione e Pompeo, ed a quel colle,

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Sotto il qual tu nascesti, parve amaro. Poi, presso al tempo che tutto il ciel volle 55

Ridur lo mondo a suo modo sereno,

Cesare per voler di Roma il tolle:

E quel che fe' dal Varo insino al Reno,
Isara vide ed Era, e vide Senna,
Ed ogni valle onde il Rodano è pieno.
Quel che fe' poi ch' egli uscì di Ravenna,
E saltò il Rubicon, fu di tal volo
Che nol seguiteria lingua nè penna.

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In ver la Spagna rivolse lo stuolo;

Poi ver Durazzo, e Farsaglia percosse

Sì, ch' al Nil caldo si senti del duolo. Antandro e Simoenta, onde si mosse,

Rivide, e là dov' Ettore si cuba,

E mal per Tolommeo poi si riscosse:
Da onde venne folgorando a Giuba;

Poi si rivolse nel vostro occidente,
Dove sentia la Pompeiana tuba.

Di quel che fe' col baiulo seguente,

Bruto con Cassio nello inferno latra,

E Modena e Perugia fu dolente. Piangene ancor la trista Cleopatra,

Che, fuggendogli innanzi, dal colubro

La morte prese subitana ed atra.

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Con costui corse insino al lito rubro;

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Con costui pose il mondo in tanta pace,

Che fu serrato a Giano il suo delubro. Ma ciò che il segno che parlar mi face Fatto avea prima, e poi era fatturo, Per lo regno mortal, ch' a lui soggiace,

TOMO R.

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Gli concedette, in mano a quel ch'io dico,
Gloria di far vendetta alla sua ira.
Or qui t'ammira in ciò ch'io ti replico:
Poscia con Tito a far vendetta corse
Della vendetta del peccato antico.
E quando il dente Longobardo morse
La santa chiesa, sotto alle sue ali
Carlo Magno, vincendo, la soccorse.

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Omai puoi giudicar di que' cotali,

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Ch'io accusai di sopra, e de' lor falli, Che son cagion di tutti i vostri mali. L' uno al pubblico segno i gigli gialli Oppone, e l'altro appropria quello a parte, Sì ch'è forte a veder qual più si falli. Faccian gli Ghibellin, faccian lor arte Sott' altro segno; chè mal segue quello Sempre chi la giustizia e lui diparte:

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E non l'abbatta esto Carlo novello

Co' Guelfi suoi, ma tema degli artigli

Ch' a più alto leon trasser lo vello. Molte fiate già pianser li figli

Per la colpa del padre, e non si creda
Che Dio trasmuti l'armi per suoi gigli.
Questa piccola stella si correda

De' buoni spirti, che son stati attivi
Perchè onore e fama gli succeda ;

E quando li desiri poggian quivi

Si disviando, pur convien che i raggi Del vero amore in su poggin men vivi. Ma, nel commensurar de' nostri gaggi

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Col merto, è parte di nostra letizia,

Perchè non li vedem minor nè maggi.

Quinci addolcisce la viva giustizia

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In noi l'affetto sì, che non si puote Torcer giammai ad alcuna nequizia. Diverse voci fanno dolci note;

Così diversi scanni in nostra vita,

Rendon dolce armonia tra queste ruote.

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E dentro alla presente margherita

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Luce la luce di Romeo, di cui

Fu l'opra grande e bella mal gradita.

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Ma i Provenzali che fer contra lui

Non hanno riso, e però mal cammina Qual si fa danno del ben fare altrui. Quattro figlie ebbe, e ciascuua reina, Ramondo Berlinghieri, e ciò gli fece Romeo persona umile e peregrina ;

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E poi il mosser le parole biece

A dimadar ragione a questo giusto,

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Che gli assegnò sette e cinque per diece.

Indi partissi povero e vetusto;

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E se il mondo sapesse il cuor ch'egli ebbe

Mendicando sua vita a frusto a frusto,

Assai lo loda, e più lo loderebbe.

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