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taggio paterno, condusse poi seco, e rese il flagello dei sudditi. Mosso l'Alighieri da questo parlare, chiede com' esser può che da un padre si liberale, come fu Carlo II, abbia potuto nascere un figlio avaro come Roberto. Adunque gli risponde quel giusto aver Iddio creato il visibile universo al ben essere dell'umana comunanza; e richiedendosi a tal fine che gli uomini non nascano tutti d'una medesima costituzione, d'un medesimo genio, d'un'abilità medesima, però aver dato alle stelle la virtù d'influire nella generazione di ciascun individuo. Quindi è che sebbene il figliuolo nascerebbe sempre similissimo al padre, se questi solo influisse nel generarlo, nondimeno perchè v'influiscono ancora le stelle con influssi diversi, per questo accade che spesso dai loro autori differiscono i figli. La quale dissimiglianza di natura o d'indole dovrebbe giovar moltissimo a stringer viepiù nel mondo le relazioni di società, sicché tutti utili e tutti buoni i cittadini si fossero: ma poichè non si fa studio di secondare in ciascuno la propria inclinazione, che anzi ognun le fa guerra e a ciò che men le conviene la sforza, però gli uomini non riescono ne' loro uffici, e son quasi sempre fuori di strada.

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olea creder lo mondo in suo periclo
Che la bella Ciprigna il folle amore
Raggiasse, volta nel terzo epiciclo ;
Per che non pure a lei faceano onore
Di sagrifici e di votivo grido

Le genti antiche nell' antico errore;
Ma Dione onoravano e Cupido;

Quella per madre sua, questa per figlio,
E dicean ch' ei sedette in grembo a Dido;

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E da costei, ond' io principio piglio,

Pigliavano il vocabol della stella,

Che il sol vagheggia or da coppa or da ciglio.

lo non m'accorsi del salire in ella;

Ma d'esserv'entro mi fece assai fede

La Donna mia, ch'io vidi far più bella.

E come in fiamma favilla si vede,

E come in voce voce si discerne,

Quando una è ferma e l'altra va e riede; Vid' io in essa luce altre lucerne

Muoversi in giro più e men correnti,

Al modo, credo, di lor viste eterne.

Di fredda nube non disceser venti

O visibili o no, tanto festini,

Che non paressero impediti e lenti

A chi avesse quei lumi divini

Veduto a noi venir, lasciando il giro

Pria cominciato in gli alti serafini.

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E dietro a quei che più innanzi appariro,

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Sonava Osanna sì, che unque poi

Di riudir non fui senza disiro.

Indi si fece l'un più presso a noi,

E solo incominciò: Tutti sem presti

Al tuo piacer, perchè di noi ti gioi.

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Noi ci volgiam co' principi celesti

D'un giro, d' un girare, e d' una sete,

A' quali tu nel mondo già dicesti:

Voi che intendendo il terzo ciel movete;

E sem si pien d' amor che, per piacerti,
Non fia men dolce un poco di quïete.

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Poscia che gli occhi miei si furo offerti
Alla mia Donna reverenti, ed essa
Fatti gli avea di se contenti e certi,
Rivolsersi alla luce, che promessa

Tanto s' avea, e: Di' chi se' tu, fue
La voce mia di grande affetto impressa.
Oh quanta e quale vid' io lei far piue
Per allegrezza nuova che s' accrebbe,
Quand' io parlai, all' allegrezze sue!
Cosi fatta, mi disse il mondo m' ebbe

Giù poco tempo; e, se più fosse stato,
Molto sarà di mal, che non sarebbe.

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La mia letizia mi ti tien celato,

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Che mi raggia dintorno, e mi nasconde

Quasi animal di sua seta fasciato.

Assai m' amasti, ed avesti bene onde;

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Che, s'io fossi giù stato, io ti mostrava

Di mio amor più oltre che le fronde.
Quella sinistra riva che si lava

Di Rodano, poich' è misto con Sorga,
Per suo signore a tempo m'aspettava..

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