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dovico, il marchese Ermes (Sforza), monsignor Federigo da San Severino, al presente cardinale di Santa Teodora, messer Galeazzo suo fratello, Gioan Jacopo Gelim secretario del signor Lodovico, e noi due con il nostro secretario, appresentate le lettere di credenza al duca, lo visitai per nome della Vostra Sublimità con quella tema che avevamo in mandatis, et cum illa forma verborum quam prebuit mihi natura. Per nome del quale, senza che egli ne facesse un segno al mondo, ne rispose il signor Lodovico, come per nostre lettere dinotassimo alla Vostra Sublimità, che, ut plurimum fuerunt verba generalia, però non replicherò, salvo alcune parole che disse in cauda sermonis; che furono, che uno dei maggiori desiderj che possa avere, è di far dimostrazione ed esperienza di quanto il cuor suo sia pronto a far cosa grata alla Vostra Eccellenza; e che benchè non vorria che ella fosse mai per avere bisogno alcuno de' suoi suffragi, tamen cadauna volta che ciò accadesse, gli effetti a servirla sariano molto più gagliardi che le parole. Avendo poi messo ordine per il dopo mangiar di visitare separatamente il signor Lodovico, Sua Eccellenza ne preoccupò, e un' ora avanti l'ordine ne venne a visitar noi nella camera nostra; dove essendo soli, volle che gli dicessimo quel che gli avevamo a dir per nome della Vostra Sublimità. Onde che appresentandogli le lettere credenziali, gli dicessimo quello che in una materia di visitazione è possibile a dirsi. Il quale ne rispose con parole non molto differenti da quelle della mattina, replicandone questo più volte, ch'ei sapeva molto bene che la Vostra Sublimità e noi intendevamo l'amore ed osservanza ch' ei le portava, ma che questo non gli bastava, e che voleva per segni esteriori farlo conoscer a cadauno. La mattina dopo, avendo fatto caricar i cariaggi, e volendo montar a cavallo per andarcene al cammin nostro, le Loro Eccellenze, che ne facevano tenere la posta, vollero venir a levarci di casa, e ad ogni modo accompagnarne buon pezzo fuori della terra.

Serenissimo Principe, per il piccolo giudizio mio, mi par avere espressamente compreso che questi Signori hanno grandissimo piacere e fanno grandissimo caso di dar reputazione

alle cose loro mediante dimostrazione di una intrinseca e cordial benevolenza che abbiano con la Vostra Sublimità; la qual cosa, per quanto posso giudicar e comprendere, non credo che sia perniciosa ad bene esse dello Stato della Sublimità Vostra. I giorni che siamo stati a Milano e a Pavia gli osti non hanno voluto da noi altro pagamento che le bene andate, allegando aver così in commissione dai loro Signori. Della condizione del duca, del signor Lodovico e di quello Stato, avendo dimorato sì poco Milano e a Pavia come in effetto abbiamo fatto, non ne possiamo aver avuto informazione e istruzione, che assai meglio la Vostra Sublimità e cadauno di questo gravissimo Consiglio non ne sappia ed intenda mediante le relazioni che dagli oratori residenti a Milano, una più degna più elegante e più copiosa dell' altra, vengono riferite alla Vostra Sublimità; e però eleggo per il meglio pretemettere tutto quello che io possa saper di questa materia sub silentio, e lasciar il carico a quelli che per simil causa verranno dopo di me, i quali lo faranno perfettamente.

Venissimo poi a Torino a' dì 28 del mese, scontrati e ricevuti per due miglia fuora della terra da mons. Divonne presidente del Consiglio Secreto, e messer Piero Cara (1) collaterale pur di quel Consiglio, con circa trenta cavalli, i quali ne accompagnarono all'alloggiamento; e immediate che avessimo desinato, quei medesimi ne vennero a levar di casa per accompagnarne dove era Madama (2); la qual trovassimo in Castello in una sua camera tutta coperta di panni negri, nella qual camera lei era in un cantone insieme con monsignor di Bressa, cioè Filippo (3), e messer Antonio Campion episcopus Gebennarum (di Ginevra), e cancellier generale di quello Stato. In un altro cantone della camera erano circa undici donzelle, e tutto il resto era pieno di persone come una chiesa quando v'è qualche grande indul

(1) Dotto e facondo consigliere, e più volte oratore al Papa e ad altri principi: fu amico e mecenate dei dotti, e protesse l'introduzione dell'arte della stampa a Torino. Mori nel 1502.

(2) Bianca di Monferrato, vedova già da due anni del duca Carlo I detto il Guerriero.

(3) Del quale è parola più a basso.

genza. Questa Madama è di età di circa 26 anni, grande, grassa, bianca, e formosa di volto, sì che a' miei occhi ella mi parve una allegra e bella donna. Le appresentassimo le lettere credenziali, e per nome di Vostra Sublimità le dissi che così come per molti mezzi la Vostra Sublimità era stata contenta farle conoscere quanto era l'amor e benevolenza che continuamente le aveva portato, così etiam allora aveva voluto per il mezzo nostro farne aperta dimostrazione, e che per nome di quella eravamo venuti a visitarla e ad offerirle tutto quello che per Vostra Sublimità convenientemente si potesse far ad onore e comodo suo, con quelle parole che mi parvero esser al proposito. Ne rispose per suo nome mons. di Gebenna, il cancellier generale, ringraziando la Vostra Sublimità della visitazione, accettando le offerte e offerendone ancor lui tutto quello che per quello Stato si poteva fare ad esaltazione e gloria della Vostra Sublimità. Ne parve etiam far bene visitar monsignor di Bressa, il quale, come sa Vostra Sublimità, fu fratello del duca Amedeo (IX) padre del duca Carlo, il qual fu padre di questo duca Carlo Amedeo che vive al presente, che è di età di anni tre; il qual Filippo è commisario del duca ed è governatore e luogotenente generale di quello Stato, ed in effetto quello che in omnibus al presente governa (1). Il quale intendendo che dovevamo andarlo a visitare, per dar reputazione e a sè e alla visitazion nostra, immediate fece ridur tutti quelli del Consiglio in vescovado, che è la sua continua abitazione e domicilio quando si trova a Torino, dove visitassimo Sua Signoria con offerte e parole generali, come in similibus si suol fare; il qual ne rispose umanissimamente, el inter cetera che si doleva di non si trovar in Francia a questa nostra andata, perchè in quel luogo aveva dei parenti e amici assai e gran potere, e averia avuto occasione con questo mezzo di dimostrare il buon volere la buona disposizion sua verso la Vostra Sublimità; ma che quello che presenzialmente non poteva fare, lo faria con lettere

(1) Nel 1496 sali egli stesso al trono ducale in occasione della morte del suo nipote Carlo II. Fu devoto ed amico di Carlo VIII, il quale lo nominò suo gran ciamberlano e gran maestro della casa reale.

ad ogni modo, pregandone che volessimo adoperarlo in ogni occorrenza nostra, e pur assai altre buone e amorevoli parole.

Lo Stato di Savoia, come sa la Vostra Sublimità, è molto più grande di quello che si vede per il cammino che abbiamo fatto, che per la sua longitudine comincia da Vercelli e va fin sopra la riva del Rodano, dove dall'altra banda è la città di Lione, che sono in tutto 204 miglia; e la sua latitudine comincia a Losanna e vien fino al Monviso, che sono 126 miglia. In questo circuito sono undici città, dieci che hanno vescovado, delle quali quattro sono di qua dai monti e sette di là; e liberamente da quella parte questo Stato è la vera porta da poter dare e togliere l'introito e l'esito d'Italia a cadauno, La entrata sua, per la informazione che abbiamo avuto (la qual non affermo perchè potria esser vera e falsa), non eccede d' ordinario, di tutti i dazi e gabelle, 40,000 ducati. È vero che hanno poi di estraordinario le tasse che mettono al paese, le quali le fanno esser più e meno secondo la occorrenza delle guerre; e oltre a questo, per le guerre hanno le fedeltà, che sono i baroni, conti e signori che sono sotto al dominio, i quali a tempo di guerra sono tenuti servir il ducato di certo numero di persone a tutte loro spese giusta l'estimo e possibilità loro. Queste fedeltà sono in tutto 400, che in effetto è gran cosa, nelle quali mons. di Bressa non è computato salvo per una, e così mons. della Zambra (de la Chambre), mons. di Ginevra, mons. di S. Gioan di Moriana, ed altri simili, i quali quantunque siano gran signori, nientedimeno, come ho predetto, non sono computati salvo per una fedeltà per cadauno; sì che con questi mezzi il duca di Savoia si è sempre prevalso ed ha potuto resistere a tutte le inimicizie, che da ogni parte e per qualunque rispetto hanno cercato di nuocergli.

Passato i monti con minor incomodità assai, per il giudizio mio, di quello che credevano molti dei nostri rispetto alla mala relazione che ne era stata fatta, e continuando il cammin nostro con quella maggior sollecitudine che, habito respectu al numero dei cavalli e dei muli da soma, ne fu possibile di usare, preponendo questo ad ogni altra comodità

nostra, addì 24 di giugno giungessimo a Villanuova (1), che è un luogo quattro leghe lontano da Parigi; del qual luogo per la maestà del re ne fu imposto che non ci dovessimo partir fin a tanto che ne fossero deputati quelli che ci avevano a venir incontro, e fin a tanto che altro non ne fosse stato fatto intender per sua maestà.

Alli 26 del mese, avuto così in ordine, a ore diciotto ce ne montassimo a cavallo noi e tutta la famiglia nostra vestiti della miglior veste; e mandando prima avanti i cariaggi, i nostri si acconciorno a due a due, che per mia fè, Serenissimo Principe, parevano molto ben a vederli. E benchè per nostre lettere abbiamo avvisato la Vostra Sublimità particolarmente del successo della entrata nostra e delle prime udienze avute dalla maestà del re e della regina, nientedimeno la intenzion mia saria di replicarle succintamente quando non conoscessi ciò esser molesto alla Vostra Sublimità, e per questo e per le cose che ho a dir dappoi, che sono di maggior importanza assai. Partiti dallo alloggiamento e messici alla strada per jactum teli dal loco donde eramo partiti, scontrassimo il principe di Salerno, il conte di Chiaramonte e il signor Onorato suo fratello, che sono figli del principe di Bisignano (2), il conte di Paluzza, il conte di Avellino, il signor don Giovanni de Luna, il signor Imberto da Seinse (?) e molti altri baroni cacciati dal reame di Napoli e di Spagna, che hanno pensione dalla maestà del re di Francia e assai buona reputazione nella Corte, che venivano per levarne dell' alloggiamento. Con i quali non cavalcassimo una lega, che scontrassimo quattro ciamberlani e tre maestri di casa del duca d'Orleans con tutto il resto della sua famiglia, che ne accettorno con grandissima dimostrazione di amore e onorificenza verso la Vostra Sublimità. Poco più oltra scontrassimo

(1) Villeneuve-Saint-George, quasi a mezza strada da Corbeil a Parigi. (2) I principi di Bisignano e di Salerno, della casa de' Sanseverino, erano, insieme con altri qui nominati, del numero di quei baroni, che per la congiura del 1486 fuggiti dal regno di Napoli si ricovrarono in Francia, e tanto contribuirono a determinar indi a poco Carlo VIII a quella fatale spedizione. Di questa famiglia di proscritti dice Commines: « Elle vivait un jour en espérance, >> autre en contrarieté, et fesait diligence en Italie. »

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