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mia legazione al colmo e al profondo; imperocchè quando io arrivai alla corte, monsig. ammiraglio era prigione, accusato di tante atroci azioni, quante s'udirono per la terribil sentenza della quale mandai la copia alla Serenità Vostra; e due mesi dopo fu liberato da quella, e in manco di sei restituito non solo al pristino grado, ma alla maggior autorità che abbia avuto mai per innanzi appresso il re, con depressione di monsig. contestabile, che di subito cadde dalla suprema grandezza nella quale appresso sua maestà si ritrovava. Il cancelliero poi lasciai in suprema grandezza al mio partire dalla corte, e in quella propria mattina uscissimo con monsig. ammiraglio, contendendosi fra loro d'onorarsi e sberrettarsi; e al mio passare per Lione lo aspettavano lì come commissario generale, insieme col reverendissimo Turnone, di quasi tutto il regno di Francia, con autorità amplissima, per sovvenire e soccorrere gli eserciti d'Italia e di Linguadoca, e per qualunque altro disegno, con autorità suprema; quando nel mio giunger a Torino intesi ch' egli era stato mandato prigione nelle terre di Bourges. Ho inteso che l'EE. VV. sono state avvisate dal mio successore di qualche causa di questo; nè resterò ancor io d'investigarne qualcun'altra, quando parlerò dell'entrate di questo regno (1).

Dirò ora qualche cosa della guardia ordinaria di questo regno, benchè per le presenti occorrenze deve esser alterata in ogni parte. In ciascuna parrocchia di Francia suol esser un uomo pagato da essa di buona provvisione, e si chiama il franco arciere, il quale è obbligato a tener un buon cavallo, e star provvisto d'armatura ad ogni requisizione del re, quando il re fosse fuori del regno per conto di guerra o d'altro. Sono obbligati a cavalcare in quella provincia dove fosse assaltato il regno, o dove fosse sospetto; che secondo le parrocchie sarebbe un numero grande, le quali dicono essere un milione e settecento (2).

(1) Sono da vedersi i luoghi sopracitati del tomo I di questa serie.

(2) Questo paragrafo è copiato a lettera dai Ritratti delle cose di Francia di Machiavelli, con lo stesso sproposito del milione e settecento parrocchie. Intorno a che veggasi la nota che abbiamo posta nella preced. Relaz. a pag. 22.

Simil ordine è anco d'una grossa quantità di nobili feudali, ai quali il presente re ha ordinato che in luogo del cavallo abbino due servitori con gli arcobusi, e che con quelli abbino a ridursi nelle terre ai suoi bisogni, sì che senz'altra spesa gli saranno sicure, essendo in mano di tanti gentiluomini; de' quali si dice essere casate infinite, più di centomila, tutti obbligati ad ogni richiesta del re andare alla guerra a servirlo, per due mesi fuori del regno, e nel regno per tre a sue spese, uno per casa (1).

Ha sua maestà fortificate in tutto questo regno le frontiere d'ogni intorno di tal sorte, che d' una gran parte ch' io ho veduto della Borgogna e Sciampagna, mi pare di avervi veduto quel disegno che faceva il sig. duca d'Urbino della fortificazione del nostro Stato, dicendo ch' egli voleva che le terre nostre si dessero mano l'una con l'altra, se bene da noi in gran parte questo non è perfetto; e prometto all' EE. VV. che per tutte le frontiere della Borgogna, a partirsi da Lione per andare fino in Sciampagna, e più oltre fino ai confini della Lorena, mi è parso di vedere non città fortificate, ma una continua grossa e sicura muraglia; e le fortificazioni sono belle, pulite e sicure, e non a grandissima giunta di gran spesa come le nostre.

Tiene sua maestà continuamente duemila uomini d'arme e quattromila cavalli leggeri, che chiamano arcieri. Gli uni e gli altri sono di due sorte, alcuni delle picciole paghe e alcuni delle grandi. Gli uomini d'arme della gran paga hanno 240 franchi all'anno, quelli della picciola 180. Gli arcieri della gran paga 180 franchi l'anno, quelli della picciola 90; e questi tutti sono divisi in guarnigione per le provincie del regno, ove vivono per poco o per niente, secondo una tassa che è stata data dal re, per la quale hanno le robe a buonissimo mercato, e per il doppio manco di quello che vagliono; ed oltre di ciò hanno casa, fieno e paglia, e delle case ne sono loro i padroni per quanto vi stanno, e si mutano spesse volte di una in un'altra guarnigione.

(1) Non resta chiaro se a spese del re o del gentiluomo.

Di fanterie qui veramente poco se ne può parlare, per esser già gran tempo tenuti quei popoli così soggetti dai gentiluomini e signori, che devono dargli il portar dell'armi, che sebbene sua maestà si è voluta da un tempo in qua di ciò prevalere, con aver instituite alcune ordinanze di legionari, che così si è potuto chiamarli per la gran copia che si trova avere di popoli, gli sono così poco riusciti, che per ancora non si vale molto della sua fanteria, fuorchè della gua

scona.

Vi sono poi quattro marescialli di Francia, quali sono sopra le genti d'arme e cose della guerra nel regno; cioè l'uno di Francia, l' altro di Bretagna, il terzo di Borgogna e il quarto di Guienna. Hanno per quest' uffizio di maresciallo seimila franchi all'anno per uno.

Ha poi sua maestà 400 arcieri a cavallo per guardia della persona sua, 300 de' quali sono francesi e 100 scozzesi; de' quali 24 sono per guardia del corpo, cioè che la vegliano la notte. Questi arcieri hanno 300 franchi all' anno, e quelli del corpo 400. Ha inoltre sua maestà per guardia 100 svizzeri a piedi, i quali hanno dieci soldi al giorno, ch'è un quarto di ducato nostro.

Ha seco sua maestà 200 gentiluomini, i quali hanno 400 franchi all' anno sotto due capi; l'uno è mons. Luigi di Nevers zio del duca di Mantova, coetaneo del re, al quale è molto caro; l'altro è mons. di ambidue di buo

nissimo nome nell' armi, e per tal carica ciascuno di loro ha 1200 franchi all' anno.

Ha questo re d'entrata ordinaria, come qui sotto, cinque milioni di scudi; che mentre il re Luigi dalle taglie ne cavava un milione e 550,000 franchi, il presente re Francesco ne cava milioni cinque di franchi.

Del dominio, che si potrebbe chiamare stato patrimoniale,
cioè di quello che era di diritto dei re di Francia, che
già era cresciuto assai, ma questo re ne ha donato a mol-
ti, pure ha di taluno dominio all'anno da 50 in 60 mila
franchi, che fa in tutto..
. franchi

Di quel paese che si chiama l'isola di Francia.

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600,000 1,750,000

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Di Borgogna e Provenza ne ha poi sua maestà ogni tre
anni di donativo 80,000 franchi, cioè all'anno circa.
Di danari che provengono da vendite d'uffizi
Ogni decima del clero, battute le spese

27,000

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200,000

400,000

Ben è vero ch'io non mi son mai in questo tempo trovato a udir da quei popoli quello che io intesi dire da messer Andrea Rossi segretario di Vostra Serenità in questo Consiglio quando egli ritornò dal fare la Lega dopo l'uscire di sua maestà di prigione; che cioè ogni volta che s' imponeva loro alcuna imposizione, ovvero angheria, non era altra risposta data da loro se non che: sia lodato Dio, viva il re. Anzi posso dire di vera scienza che si trovano così aggravati quei popoli tutti, che se ne lamentano palesemente; e da persona veridica e italiana, ritornata meco di Normandia, ove abitava, mi è stato detto, per quei paesi i villani fuggirsene con i figliuoli in spalla, non sapendo ove andarsene, come disperati, non gli rimanendo più alcuna cosa per queste imposizioni di taglia; che dimandati da questa tal persona ove andavano, gli era risposto: ove Dio vorrà per non poter più star in quella terra. Quelli che abitano le città pagano ancor essi di queste taglie, ma non molto, ed una gran parte delle città non pagan niente, ma il re domanda loro imprestiti per sue lettere ogni volta che gli piace, a quella tanto e a quell'altra tanto; e quelli della città fanno fra loro il computo, e ne cavano di subito la somma e gliela mandano. Questi sono imprestiti che non si rendono mai. I gentiluomini non pagano cosa alcuna; e sebbene io scrissi a Vostra Serenità che il re era per farli pagare ancor loro, ha trovato la materia così dura, per non esser giammai la nobiltà stata assueta a pagar alcuna cosa, che si è contentata sua maestà di starsi quieta

alla consueta loro obbligazione nell' armi ch' io ho detta, che questa già pare loro angheria assai grande.

L'altre entrate consistono in dazi di mercanzie, così forestiere come del paese, e nel dazio del sale, che è grande. E qui per soddisfare alla mia promessa di narrar la causa della rovina del cancelliero, autore d'infinite angherie imposte a quei popoli, dirò che il dazio del sale, che è grande, credo che sia stata una delle principali. Che mentre i sali costavano prima pochissimo, intesi io già in Borgogna, e massime in una principal terra di quella provincia, dai princípali d'essa, querele di questa cosa, che ove si pigliava il sale d'Alemagna lì vicino per minimo prezzo, lo convengono prender di Bretagna, e che se non fosse altro che la molta distanza, gli convien pagarlo infinitamente più che non lo pagavano. Di queste tali e tante angherie, dalle quali il re ha cavato così gran numero di danaro da che ebbe il cancelliero in grazia, gridando senza alcun rispetto tutti i popoli al cielo, per volersi sua maestà in questo bisogno della presente guerra conservare la benevolenza che aveva sì grande dei popoli, avrà forse voluto riconcigliarsi gli animi di quelli con dar loro ad intendere di non li avere così angariati per volontà sua, ma per instigazione del cancelliero; e che quando lei s'è accertata d'averli così molestati, aversene voluto vendicare con rovinarlo e porlo al profondo. È ben vero che si giudica lui di queste tante angherie averne presa la parte sua, del che abbiane a render conto; e che accortosi di questo si sia fatto sacrar da messa questa Pasqua di Risurrezione; lo che ha fatto giudicar a molti che, conscio di sè stesso, lo facesse per meglio assicurarsi dai tormenti e dall'odio infinito anco della nobiltà, che si ha concitato contro per aver voluto, coll'occasione di questa guerra, che tutti i nobili della Francia si venissero a dar in nota per cavarne, come ha fatto, un pozzo d'oro. Brevemente, per infinite sorte di simili modi di trovar denari, e non lasciar passar le grazie che faceva il re, s' era fatto, come dico, così odioso universalmente a tutti, che non sarà stato uomo che non abbia alzato le mani al cielo per questa sua depressione; alla quale non può esser mancato

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