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RELAZIONE

DI FRANCIA

DI

ZACCARIA CONTARINI

ANNO 1492 (1).

(1) Da copia contemporanea esistente nel Museo Correr di Venezia.

AVVERTIMENTO

Nell'anno 1492 memorabile all'Italia per due fatti principalmente, la morte di Lorenzo il Magnifico mancato nel dì 8 di aprile, e la prima spedizione di Cristoforo Colombo alla scoperta di un nuovo mondo, mandava il Senato ambasciatori a Carlo VIII Zaccaria Contarini e Francesco Capello onde congratularsi con lui delle nozze conchiuse con Anna di Bretagna erede di quel ducato, e confermare con quella corona la buona amicizia, allora tanto più necessaria alla Repubblica quanto più si veniva vociferando che il giovine re si disponesse a tentar l'impresa di Napoli, che fu l'origine di tanti e così lunghi mali all' Italia.

La legazione non durò più di quattro mesi, compreso il tempo dell' andata e del ritorno, cioè dai primi di maggio ai primi di settembre, e la Relazione al Senato fu letta dal primo dei due sunnominati oratori. È questo il più antico di tali documenti che a noi sia pervenuto, esistente in copia contemporanea nel Museo Correr di Venezia.

Sebbene mancante verso il fine, questa Relazione sarà di leggieri riconosciuta per una delle più notevoli di tutta la nostra raccolta, si per l'epoca alla quale si riferisce e si per le particolarità cui accenna, fra le quali ci piace indicare all'attenzione del lettore quanto è detto delle artiglierie francesi di quel tempo, le più formidabili fin d'allora che fossero al mondo.

Da quanto è a nostra cognizione, il sig. Armand Baschet, egregio letterato francese, ed amantissimo di questi studi, nei quali ha dato saggi meritevoli della più alta considerazione, sta ora traducendo questa Relazione ed illustrandola con dotte osservazioni.

L'officio

officio mio, serenissimo e inclito Principe, illustrissima ed eccellentissima Signoria, gravissimo e sapientissimo Consiglio, al presente è di riferir alla Vostra Sublimità tutti i progressi e andamenti di questa nostra legazione. E perchè da una parte io intendo toccar tutte quelle cose che conoscerò esser degne e convenienti della notizia di quella, e dall'altra io desidero, per non esser nè lungo nè tedioso, usar quella più breve e stretta forma di parole che a questo mi sarà possibile, hinc est che senza alcuno esordio e divisioni di parlare comincerò a narrar come meglio conoscerò poter soddisfare alla Vostra Sublimità.

Tolto già licenza da quella addì 7 di maggio passato, ce ne andassimo a Padova, nel qual luogo trovassimo i cavalli che ne erano stati preparati di sorte, che se li avessimo menati liberamente, la metà di loro ne sariano rimasti per la strada con gran danno della Vostra Sublimità e molto maggior carico nostro. Con grandissima difficoltà e parole assai fecimo mutar quelli che non erano sufficienti, sì che con lo aiuto di Dio li abbiamo menati in Francia e ritornati indietro più belli e più gagliardi che quando ci furono consegnati. Nell' andar nostro, come ho predetto, siamo stati a Padova, poi a Vicenza, a Verona, a Peschiera, a Brescia, a Bergamo, e

nel ritorno a...., nei quali luoghi siamo stati visti ed acceltati da quei magnifici rettori con tanta grazia e onore della Vostra Sublimità, quanto a cadauno di loro è stato possibile dimostrarci; i quali si raccomandano infinite volte alla Vostra Sublimità.

Addì 21 del mese giungessimo a Milano. Circa due miglia lontano dalla terra, scontrassimo il magnifico messer Giovan Francesco Pasqualigo, il quale similiter si raccomanda alla Vostra Eccellenza, accompagnato da messer Gioan Francesco Malatesta e messer Paolo Dalona consiglieri di quello Stato, con circa 40 cavalli; con i quali ce ne andassimo fino alla porta, dove trovassimo quelli del Consiglio Secreto e del Consiglio di Giustizia, che ne erano venuti incontro; e tutti insieme ce ne andassimo fino all'osteria dei Tre Re, preparata per lo alloggiamento nostro, per mia fè onoratamente, delle tappezzerie del duca. Dismontati da cavallo, il vescovo da Como e il vescovo da Novara, che tengono i primi luoghi in quel Consiglio, insieme con messer Bartolomeo da Calco (1), ne vollero accompagnar fino nella camera; nel qual luogo il vescovo da Como si escusò se non ne avevano onorato come era la intenzione dei Signori, allegando che l'assenza loro ne era stata la principal causa, e poi ne offerse tutto quello che per loro si poteva fare ad onore e comodo della Vostra Sublimità e delle persone nostre. Gli rispondessimo affermando che l'onor che ne avean fatto era grandissimo; li ringraziassimo assai, e li ringraziassimo etiam dell' offerte fattene, facendo a loro consimili offerte giusta ai mandati della Vostra Sublimità. Finite queste parole, messer Bartolomeo da Calco ne disse come i Signori si trovavano a Pavia, dai quali era avvisato che erano occupati, sì che contra la loro intenzione non potevano venire a ritrovarsi presenzialmente con noi, cosa che desideravano molto. Gli rispondessimo che a questo non accadeva escusazione alcuna, rispetto che per eseguir i mandati datine per Vostra Sublimità avevamo deliberato di andar noi a Pavia, e presenzialmente, per nome

(1) Segretario di Stato, e uomo colto, al quale il ducato di Milano dovette l'istituzione delle scuole pubbliche.

di quella, visitar le Loro Eccellenze. Il qual messer Bartolomeo ne disse immediate volerlo significar al signor Lodovico, e ne pregò che volessimo differire l'andata addì 24 del mese acciò con più comodità e loro e nostra potessero far quella dimostrazione che a questo si conveniva.

Il giorno a noi statuito ce ne andassimo a Pavia accompagnati da messer Celso Crivelli, il quale è uno dei primi siniscalchi della corte, e da mess. Gioan Domenico Mezzabarba e messer Battista da Castiglione, consiglieri anche loro di quello Stato, con circa otto o dieci cavalli. Trovassimo il duca (1), il signor Lodovico, l'ambasciatore de' Fiorentini (2), di Ferrara e di Monferrato, insieme con tutta la corte, per due tratti di balestra fuori della città, che ne venivano incontra; i quali fatte le prime recolenzie, le Loro Signorie vollero, non ostante molte recusazioni e renitenze fatte da noi, che io fossi il primo che avesse a entrare nella città con il signor duca dalla banda destra, e l'ambasciatore de' Fiorentini dall' altra banda, poi il magnifico messer Francesco nostro con il signor Lodovico dalla banda destra e l'ambasciator di Ferrara dalla stanca; e con questo ordine ci accompagnarono fino al nostro alloggiamento. La mattina seguente, mandatine a levar di casa da molti del Consiglio, ce ne andassimo in Castello; e in una camera nella quale non c'era altri che il duca, il signor Lo

(1) Gioan Galeazzo Maria, della cui tenera età si era valso il suo zio Lodovico detto il Moro per esercitare in di lui nome il potere sovrano con tanta jattura sua non che di tutta Italia. Dice di Lodovico il Commines: « C'estoit >> un homme très-sage, mais fort craintif et bien souple quand il avoit peur, » et homme sans foy, s'il voyoit son profit à tromper. » (Lib. VII, cap. 2). Ciò non insegna nulla a noi Italiani, ma mostra come anche i Francesi lo giudicassero bene.

(2) Agnolo Niccolini, della cui legazione si hanno alcuni importanti dispacci nel volume testè pubblicato in Parigi col titolo: Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane, documents recuillis par Giuseppe Canestrini et publiés par Abel Desjardins. Ai quali due valenti eruditi, che hanno compilato questo prezioso volume, primo di una nuova Serie intitolata: Collection de Documents inedits sur l'histoire de France publiés par les soins du Ministre de l'Instruction Publique, ci piace render pubblica testimonianza di gratitudine per questo nuovo sussidio arrecato agli studj storici, e per la nuova testimonianza data all'Europa dell'importanza degli Archivi Toscani, dai quali sono estratti i preziosi documenti, che i due valorosi sunnominati hanno posto in così splendida luce.

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