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col suo JENNER gettava il guanto di sfida ai pregiudizi delle cattedre e delle accademie. Fu sua la vittoria?

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Io lo dissi, non oso farla da giudice, ma per quanto è in me saluto colla gioia più viva e col più sincero entusiasmo questo bravo e giovine artista, e lui accompagnando col cuore ne'suoi voli più arditi, io di lontano col viandante di Longfellow non leverò che un grido << EXCELSIOR. »

ALESSANDRO CORVISIERI

III.

DELL'ANTICA NUMERAZIONE ITALICA

E DEI RELATIVI NUMERI SIMBOLICI

STUDI ARCHEOLOGICO-CRITICI

DI ROCCO BOMBELLI

Continuazione (1)

CAPITOLO V.

Della numerazione Etrusca.

Comecchè molti uomini di grande dottrina, e di molto buona volontà, siensi applicati con passione allo studio dell'Italia antica; pur nondimeno poco si è potuto ricavare circa le cose dell'antica Etruria. Giacchè i monumenti scoperti non bastano; e di questi, non tutti sono chiari come sarebbe a desiderare. Non potremo noi perciò fare un lungo capitolo circa la numerazione etrusca; ma, per quanto sappiamo, potremo però darne una idea agli studiosi.

Da principio in Etruria, come pure nelle altre provincie italiane, vivendosi ignoranti di lettere e di studì, si fece uso per contare, di mezzi assolutamente istrumentali.

Delle tacche fatte in un pezzo di legno, o dei piccoli stecchi infilati in un'asticella, furono sovente segni di computo: ciò apparisce chiaramente da un vaso antico, riportato dal Demptsero. In questo si vede la figura di Ercole, ed innanzi ad esso quella di Minerva avente in mano un'asta,

(1) Vedi Quaderno di Ottobre 1873, pag. 334.

a piè della quale sono undici lineette, le quali, se il tempo cancellò dalla figura originale una dodicesima linea, dovevano senza dubbio significare le dodici imprese richieste ad Ercole per acquistare l'immortalità (1).

Alle volte si computò con pietruzze di vario colore; siccome si vede in un vaso in cui è rappresentato un genio il quale su di un libro aperto mostra i giorni di due mesi segnati con piccole pietre (2).

Dei chiodi poi fitti nelle pareti di un tempio, denotavano al popolo il numero degli anni.

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<< Trovasi una legge vecchia (dice Tito Livio nelle sue istorie), scritta di lettere e parole antiche: disponente, che colui, che sarà il pretore massimo a mezzo settembre ficchi >> il chiodo. Fu pertanto confitto nel destro lato del tempio di Giove Ottimo massimo: da quella parte della quale è il tempio di Minerva. Dicono ch' essendo in quel tempo poche lettere che quel chiodo era una nota del numero >>> degli anni, et perciò nel tempio di Minerva era consagrata quella legge perchè il numero fu trovato da Minerva. >> Cinzio anchora diligente autore di cotali antiche memorie, » afferma che nella città di Volsinio nel tempio di Nortia » Dea Hetrusca, si veggono fitti i chiodi, i quali signifificano il numero degli anni. Et Marco Horatio consolo per legge consagrò il tempio di Giove ottimo massimo, l'anno dopo la cacciata dei re. Fu poi translata la solennità di >> ficcare il chiodo dai consoli al dittatore come a maggior podestà. Intralasciandosi di poi cotale usanza parve che » la fusse anchora, per se stessa cosa degna per la quale >> si creasse il dittatore (3).

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(1) Veggasi: THOMAE DEMPTSERI; De Etruria regali etc. Florentiae 1723. Vol. 6, pag. 78.

LANZI: Saggio di lingua etrusca e di altre antiche d'Italia. Roma, Pagliarini 1789. Tom. II, pag. 205.

(2) Vedi: PASSERI, Picturae Etruscorum in vasculis. Romae, 1767 ex tipographio Iohan. Zempel. Vol. I, pag. 77, Tab. 70.

VANNUCCI ATTO, Storia dell'Italia antica, 3a edizione. Milano, Tip. edit. Lomb. 1873. Vol. I, pag. 453.

(3) Questo è il passo di Tito Livio, secondo la traduzione di Jacopo Nardi; il testo è il seguente:

<< Lex vetusta est priscis literis, verbisque scripta ut qui praetor ma>ximus sit, idibus septembribus clavum pangat. Fixus fuit dextro lateri aedis >> Jovis optimi maximi, ea ex parte qua Minervae templum est. Eum clavum, » quia rarae per ea tempora literae erant, notam numeri annorum fuisse >> ferunt, eoque Minervae templo dicatam legem, quia numerus a Minerva >> inventus sit. Volsinijs quoque clavos indices numeri annorum fixos in templo

Se poi dei chiodi si servirono le pubbliche autorità per numerare gli anni, era naturale che dei medesimi si servissero pur anche i privati per altri usi. E perciò vediamo che per mezzo di chiodi confitti nelle pareti domestiche, si usò di tenere registro dei membri di famiglia.

Per lo più questi chiodi si configgevano nel sacrario dei Lari (Lararium); e sovente dalle persone cui si riferivano, venivano adornati di fiori, di corone e di zone verginali. II quale uso apparisce ancor chiaramente dalle figure che si scorgono in più vasi antichi, alcuni dei quali furono dottamente dal Passeri illustrati (1).

Dirozzatisi però col tempo i costumi, incominciarono anche i popoli etruschi a far uso di una specie di numerazione scritta, siccome altri popoli a quei tempi di già facevano.

Questa numerazione è quella di cui ci sono rimaste le traccie in qualche iscrizione sepolcrale, ed in qualche altro piccolo monumento di altro genere. Essa è basata assolutamente sul sistema quinario; è formata colle lettere dell'alfabeto etrusco, ha qualche relazione colla numerazione greca, ed è simigliantissima alla romana, da cui differisce, possiam dire, soltanto pel sistema bustrofedo dagli Etruschi conservato nella numerazione siccome nella scrittura. Il che ben dimostra primieramente come la numerazione greca ed etrusca abbiano una comune origine, ed ambedue discendano da un antico metodo di scrittura orientale; ed in secondo luogo, come poi la numerazione latina derivasse dall' etrusca dalla greca.

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Le note numeriche poi, usate nella nostra Etruria, furono le seguenti:

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» Nortiae Hetruscae deae comparére, diligens talium monimentorum auctor >> Cintius affirmat. M. Horatius consul ex lege templum Jovis optimi maximi >> dedicavit anno post reges exactos. A consulibus, postea ad dictatores, quia >> majus imperium erat, solenne clavi figendi translatum est. Intermisso deinde >> more, digna etiam per se visa est res, propter quam dictator crea» retur.» (T. LIVII, Rom. Histor. L. 2, VII, 3).

(1) Vedi PASSERI, loc. cit. pa. 29, tab. 23; pag. 57, tab. 52.

ORIOLI, Sull'origine dei numeri etruschi e romani, e sull'infissione del chiodo anche in Roma e in Etruria. Negli Opuscoli letterarii di Bologna 1818. Vol. I, 217.

VANNUCCI, loc. cit. pag. 452.

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Queste cifre secondo che erano ripetute o accoppiate insieme, acquistavano un valore maggiore o minore. La cifra rappresentante l'unità, si è trovata talora ripetuta più volte; in una antica iscrizione, per esempio, il numero 86 è stato trovato scritto così: XXX↑ (1).

Questo metodo etrusco di numerazione era poi usato non solo in Etruria, ma talora con qualche piccola variazione di forma, e talora senza questa variazione, anche presso gli Osci, gli Umbri ed i Sanniti, ed in tutte quelle altre provincie italiane in cui non usavasi il metodo italo-greco; e perciò anche nel Lazio, finchè i popoli di questa provincia non migliorarono il metodo numerale, assumendo quel sistema di numerazione che fu poi denominato romano.

È da notare però che gli Etruschi non sempre seguirono il metodo primitivo, quello cioè orientale, segnando a sinistra il numero minore, e a destra di questo il numero maggiore; ma nei tempi meno antichi usarono sovente anche il metodo contrario segnando a sinistra il maggiore e poi il minore.

Sovente le cifre si videro poste con un metodo irregolare. Per esempio, in un coperchio di una urna di Volterra, si trova segnato il seguente numero: XIIIXX, e si vuole che debba significare il 33; ossia 20 più 13 (2). Ma queste irregolarità, dovevano, credo io, più che per capriccio, derivare da imperizia degli scrittori o degli artefici.

(1) FABRETTI, Corpus Inscriptionum Italicarum antiquioris aevi, ordine geographico digestum, et Glossarium italicum in quo omnia vocabula continentur ex Umbricis, Sabinis, Oscis, Volscis, Etruscis, aliisque monumentis quae supersunt collecta et cum interpretationibus variorum explicantur. Aug. Taurin. 1867. N 2106, pag. CLXXXV.

(2) MIGLIARINI, Osservazioni sopra i numeri che usarono gli Etruschi. = Memoria letta nella Società Colombaria, nella seduta del dì 9 di Aprile 1860. Vedi Archivio Istorico Italiano, nuova serie, Tom. XII, p. 2.

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Come dissi da principio, e come ognuno ha visto da quanto è stato esposto, le cifre numeriche etrusche non erano che alcune lettere dell'alfabeto; giacchè per l'uno si usava la lettera (i); pel cinque la lettera ▲ (u); pel cinquanta la ↓ (l), il quale numero alle volte scrivendosi anche così↓ ↑, prendeva la forma della lettera etrusca significante ch; pel cento si adoperava la lettera (c); pel mille la M (m), la quale facendosi alle volte anche così, veniva a notare la moltiplicazione del 10 pel 100, non essendo questa cifra che una x fra due >. Solo il numero dieci era rappresentato per un carattere il quale non faceva parte dell' alfabeto etrusco: giacchè la x non è compresa in esso; ma gli Etruschi, sebbene non se ne servissero per lettera, dovettero adottarla per segno del numero 10, probabilmente perchè colla sua forma segnava il doppio del A, V, (cinque).

Ciò che ho detto, riguarda pertanto la forma dei numeri etruschi; diciamo ora qualche parola circa la loro denominazione vocalica.

Questa venne per lungo tempo ignorata: ma il caso ne fece conoscere quella dei primi sei numeri per mezzo di due dadi scoperti nel 1848 negli scavi che Secondiano Campanari faceva eseguire nell'Etruria marittima.

Questi dadi invece di avere i numeri distinti con punti o circelli, avevano scritta colle lettere alfabetiche la voce indicante il numero che avrebbe dovuto essere segnato.

Sulla faccetta dei dadi, dove avea da essere segnato il numero uno, si trovò scritta la voce VAM (mach), là quale ha una qualche relazione colla voce greca pa che gli antichissimi scrivevano invece di ta.

Al posto del due era scritto VO (the) corrispondente al sanscrito dui, al greco duo, ed al latino duo; ed in questo vocabolo the è da osservare che gli Etruschi sostituivano al d l'altra dentale.

In luogo del tre nei dadi si trovò scritto JAX (ssal o zal) che non corrisponde certamente nè al greco pets nè al tres latino.

Al posto del numero quattro, si ebbe la voce Vв (huth), la quale non ha relazione di suono col recapes greco, e solo un elemento del latino quatuor.

Invece del numero cinque, in una faccetta dei dadi si trovò segnato > (Ki) voce che pure non ha relazione fonica col REVTE greco, ma l'ha col quinque latino, che gli antichissimi, prima che fosse introdotto il Q, dovevano scrivere Kinkve.

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