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<< A' Greci ingegno, a' Greci diè la musa
>> Ritondo favellar, di nulla ingordi,

>> Che di laude. A partire un asse in cento
>> Roman fanciul con lunghe cifre impara.

>> Dica ' figliuol d' Albin - Se dal quincunce
» Scemisi un' oncia, che ne resta? Avresti
» Ben potuto rispondere Un triente

>> Bravo! il tuo patrimonio è in buone mani.
» Vaggiungniamo un' altra oncia; a che riviene?
» Ad un semisse. Or quando e ruggin tanta,

» E tanta sete di guadagno, infetti

>> Abbia una volta gli animi, quai versi

>> Speriam prodursi, da lisciar col cedro

» E da chiudersi in lucido cipresso? (1). »

Per quanto grande però fosse presso i Romani la trascuranza verso le scienze matematiche e l'aritmetica, era questa però tuttavia, come sopra accennai, coltivata per quanto poteva bastare agli usi sociali. V'erano perciò in Roma scuole di aritmetica; v'erano i ragionieri, chiamati numerarii (2), da non confondere coi calculatores, i quali erano coloro che si servivano dell'abaco e dei calculi per numerare, ed alle volte erano del tutto illetterate persone (3); e v'era una dea, Nu

(1) Traduzione del GARGALLO;

D

-

i versi originali sono i seguenti:
Graiis ingenium, Graiis dedit ore rotundo
Musa loqui, praeter laudem nullius avaris.
Romani pueri longis rationibus assem
Discunt in partes centum diducere. - Dicat
» Filius Albini: Si de quicunque remota est
Uucia, quid superat? Poterat dixisse

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Triers-Heu.

D » Rem poteris servare tuam. Redit uncia quid fit? »

D

Semis

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At, haec animos aerugo et cura peculi

» Cum semel imbuerit, speramus carmina fingi

» Posse lineanda cedro et levi servanda cupresso?

HORATII FLACCI, De Arte Poetica, Vers. 323-332.

(2) PITISCO, Lexic. Antiq. Roman. etc.; voc. Numerarii. « Numerarii >> sunt appellati qui ratione numerando supputaverunt. >>

AUGUST., De Lib. arbit., II, 11. « Multos novi numerarios, aut nume>>ratores, vel si quo alio nomine vocandi sunt, qui bene et mirabiliter >> computant. »

(3) PITISCO, Lexicon Antiquit. Roman. voc. Calculator. « Calculator erat >> servus. Veteres calculos, idest lapillos minutos in manu tenentes numera» bant, sive numeros componebant. >>

MARTIALIS, Epigr. X, 62.

« Nec calculator, aut notarius velox,
Majore quisquam circulo coronetur.

ULPIAN., leg. 7, ff., de oper. libert. « Nam huius quoque est ministerium >> si forte vel librarius, vel nomenculator, vel calculator sit. >>

I calculi poi erano piccoli sassolini, dei quali gli antichi si servivano non solo per contare, ma anche per le votazioni. « Calculi erant lapilli, quales >> in ripis per lusum saepe legimus . . . quibus antiqui numerabant, et suf>> fragia ferebant. » (Pitisco, voc. calculi). Col tempo, cresciuto il lusso,

...

i calculi si usarono anche di altre materie, di avorio, d'oro, ecc. Vedi Pitisco nel luogo ora citato.

meria cioè, che presiedeva alla scienza numerica (1). Ed anzi qualora si ponga mente ai vasti patrimoni di tante famiglie romane, pei quali era necessaria una esatta amministrazione; ai molti tributi pagati da varie nazioni al governo; alle ingenti spese fatte da questo più volte per spedizioni di armate in luoghi l'un dall'altro diversi; ed alle mille intraprese militari e civili, che resero tanto celebre il nome di Roma; dobbiamo pur credere che i ragionieri romani dovessero avere una pur sufficiente abilità, e possedessero metodi computistici forse da qualche lato assai migliori di quelli che oggi giorno si esercitano per i privati ed i pubblici affari.

Oltre ciò, v'ebbero poi in Roma molti uomini dotti, i quali non solo si applicarono con impegno alla numerica, ma procurarono diffonderne lo studio coi loro scritti.

Terenzio Varrone, l'uomo più dotto di quei tempi, nato nel 114 circa innanzi l'era volgare, fra le immense sue opere che scrisse, trattò anche dell'aritmetica in un libro che non è a noi pervenuto.

Apulejo, il quale nacque nell' Africa nel secondo secolo, mentre imperava Adriano, tradusse o parafrasò in latino l'aritmetica greca del neopitagorico Nicomaco Geraseno (2).

Marciano Mineo Felice Capella, piccolo enciclopedista vissuto verso la fine del V secolo, nel suo bizzarro lavoro intitolato: De nuptiis Philologiae et septem artibus liberalibus, dopo aver passato in rassegna varie altre arti liberali, nel Libro VII, parla eziandio dell' aritmetica. Egli la rappresenta una bella femmina, colla testa incoronata di raggi simbolici, e contando su i suoi diti mobili (3). Quindi entrando in materia, parla

(1) Vedi Introduzione, pag. 6, nota 1.

(2) Vedi G. I. Vossius, de universae matheseos natura et costitutione: pag. 39-40. Amsterd. 1660.

Les signes numéraux et l'Arithmétique chez les peuples de l'antiquité et du moyen-âge. · Examen de l'ouvrage allemand intitulé: Mathematische Beiträge zum culturteben der Völker von D. MORITZ CANTOR (Halle 1863, in 8) par TH. HENRI MARTIN, Doyen de la faculté des lettres de Rennes, correspondant de l'Institut de France et de l'académie des sciences de Berlin. Rome, Imprimerie de Propaganda Fide 1864. Cap. XII, pag. 42.

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(2) CAPELLA, De Nupt. Philolog. et sept. Art. Liberal. Lib. VII. « Quae >> dum geruntur, Paediaque; egressa dudum cum alia foemina miri decoris >> ingreditur: cui quaedam majestas nobilissimae vetustatis, et ipsius. Tonantis >> natalibus, ortuque; praecelsior vultus ipsius lumine renidebat, quae etiam >> miraculis quibusdam capitis reverenda videbatur. Nam primo a fronte uno, >> sed vix intellegibili radio candicabat. Ex quo item alter erumpens, quadam >> ex primo linea defluebat. Dehinc tertius et quartus, tumque, etiam nonus. » Decuriatusque; primus honorum reverendumque; verticem duplis triplisque; >> varietatibus circulabant, sed innumerabili radios multitudine prorumpentes

dei numeri, dalla monade a tutta la decade; definisce il numero, e fa tutte quelle classificazioni numeriche che a' tempi suoi insegnavansi nelle pubbliche scuole.

Alla fine dello stesso secolo V, dopo Capella, venne fuori Severino Boezio, noto ai letterati più forse per le sue filosofiche consolazioni, e per la sua tragica morte, che per le sue opere matematiche (1). Egli fece conoscere ai Latini i lavori di Nicomaco, di Tolomeo e di Euclide; e servendosi delle opere di costoro, compose, circa la numerica e la geometria, degli scritti che contengono tutto ciò che a' suoi tempi potevasi conoscere su tali materie (2). I suoi libri aritmetici non formarono perciò un'opera originale (3); ma a' suoi tempi furono però certamente molto utili per gli studiosi delle provincie occidentali, i quali di aritmetica non aveano allora un'opera più perfetta e compiuta.

Nella seconda metà del secolo VI, verso il 570, nacque poi a Cartagena Isidoro, che fu vescovo, e morì a Siviglia nel 636. Egli col nome di Originum compose un lavoro che è una vera Enciclopedia del medio evo; giacchè in esso trattò di grammatica, di rettorica, di medicina, di sacra scrittura, di matematica e di altre materie. Tenendo discorso dell' aritmetica parla della sua origine e dell'utilità dei numeri, divide questi in pari ed impari, ed espone quelle teoriche aritmetiche principali che a suoi tempi vigevano (4).

>> in unum denuo tenuatos, miris quibusdam defectibus contrahebat. Huius >> autem multiplicem, pluriformemque vestem quoddam velamen quo totius >> naturae opera tegebantur, abdiderat. Digiti vero virginis recursantes, et >> quadam incomprehensae mobilitatis scaturigine vermiculati. Quae mox >> ingressa septingentos decem et septem numeros complicatis in eos digitis >> Jovem salutabunda surrexit. >>

(1) Boezio, come è noto agli eruditi, scrisse un libro intitolato De consolatione Philosophiae, ove parlando della falsa felicità mondana, spira tutto rassegnazione e speranza. Egli era senatore romano, pregiato assai dal re Teodorico; ma venuto in sospetto ad esso, fu tratto in prigione a Pavia, e poi strangolato. L'Alighieri nel suo Convito chiama Boezio suo consolatore e dottore; e nel Paradiso al Canto X, verso 125, lo dice, anima santa.

Or se tu l'occhio della mente trani

> Di luce in luce, dietro alle mie lode,

Già dell'ottava con sete rimani.

Per vedere ogni ben dentro vi gode

D L'anima santa, che 'l mondo fallace
Fa manifesto a chi di lei ben ode.

(2) Vedi LIBRI, Histoire des sciences mathematiques en Italie. Tom. I,

p. 80.

(3) Vedi MARTIN, loc. cit. Chap. XIII, pag. 44.

(4) ISIDORI, Hispalensis episcopi, Originum. Libri viginti ex antiquitate eruti. Basileae, per Petrum Pernam, 1577. Lib. III.

Più tardi, nel principio del secolo VII cioè, il venerabile Beda, monaco inglese, oltre varie opere storiche ed ecclesiastiche, disse qualche cosa circa l'antica numerazione, esponendo il modo con cui gli antichi Greci e Romani esprimevano i numeri per mezzo dei diti. Del che parleremo in seguito, volgarizzando il trattato del medesimo Beda.

Dopo esso, nella seconda metà del secolo VIII, visse Alcuino, nato in York d'Inghilterra, ben noto agli eruditi per essere stato il maestro di Carlomagno. Egli compose molti scritti teologici e letterarî, e fra questi intromise qualche cosa di matematica, e parlò spesso dei numeri, considerandoli dal lato simbolico; lo che pure vedremo nella seconda parte di questo lavoro.

In sul principio del secolo X, Oddone abate di Cluny, scrisse qualche cosa circa i numeri e l'aritmetica antica. Egli, oltre alcuni scritti sulla musica, avrebbe composto due libri, uno intitolato Regole di Aritmomachia, la quale consisterebbe in un piccolo giuoco aritmetico; e l'altro intitolato Regole dell' Abaco. Certamente può cadere in controversia che egli sia il vero autore di tali scritti; ma seppure questi non si vogliano da alcuni riconoscere per suoi, non per ciò si dovrà escludere che egli si applicasse a simili studi, e facesse qualche scritto del genere ora accennato, in guisa da poter essere stato poi ritenuto per l'autore dei due soprammentovati lavori (1).

Dopo tutti costoro, alla fine del secolo X, ci si presenta innanzi il francese Gerberto, il quale mediante la potenza di Ottone III, che era stato suo discepolo, divenne papa col nome di Silvestro II. Egli fu persona dotta assai nelle scienze matematiche, e valendosi delle opere di coloro che lo precedettero, ed in specie di quelle di Boezio, compose scritti di geometria, di musica e di aritmetica, i quali a'suoi tempi potevano avere un qualche valore. Con tutto ciò il secolo superstizioso in cui visse, ed i tristissimi tempi che lo seguirono, non gli seppero di ciò buon grado: chè, invece di fargli onore, siccome a benemerito scenziato doveasi, sebbene rivestito del gran manto, gli dierono titolo di negromante e di mago, e dissero circa la sua vita e la sua morte le cose le più strane del mondo, che raccolte e pubblicate poi dal Platina, il quale ben volentieri

(1) Veggasi: Scriptores Ecclesiastici de Musica, ed. Martinus Gerbertus (St. Blasien, 1784), t. I, p. 296–302; Regulae domini Oddonis super abacum. M. HAUREAU, nella Nouvelle Biographie Universelle, tom. 38, p. 487-490, Paris 1862.

MARTIN, loc. cit. Chap. XX, pag. 78-81.

1

accettava tutto ciò che potesse far onta ai pontefici, fecero di Gerberto pressochè un mito (1).

Con esso pertanto possiamo conchiudere le notizie di quegli antichi che trattarono della numerazione ed aritmetica romana. Coloro che dopo lui scrissero circa i numeri, o vanno annoverati in un'altra classe di scrittori, fra quelli cioè che vennero denominati Abachisti, ed Algoritmisti; o appartengono alla schiera di quelli che propagarono nelle nostre contrade il metodo aritmetico indiano.

Siccome poi nell'epoca del risorgimento degli studî, in Italia e fuori, vi ebbero dotti uomini i quali s'interessarono in

(1) Ecco la biografia di Gerberto, fatta dal Platina secondo le favole di Martin di Cistello e le addizioni di Gualfredo alla cronaca di Sigiberto. (Ediz. di Venezia, Giunti 1522, pag. 120 v.)

<«< Silvestro II, chiamato prima Gilberto, fu di nazione Francese, e come >> vogliono, con sinistre arti conseguì la dignità del Pontificato. Perciocchè nella >> sua gioventù fu monaco del convento Hariacense nella diocesi di Orliens. >> Lasciato poi l'abito, e 'l monasterio, e datosi tutto in potere del diavolo, se >> ne passò in Siviglia città di Spagna, per studiare, perciocchè era assai avido >> di sapere. E vi fece in breve tempo tanto frutto, che di discepolo, diventò >> eccellente maestro. E i suoi discepoli, come scrive Martino, furono questi, >> l'imperatore Otone, Roberto re di Francia, Lotario persona molto nobile, >> che fu poi Arcivescovo Senonense. Spinto dunque Silvestro dall'ambizione, >> e gran cupidità di commandare, consegui con subornazioni prima l'Arci>> vescovado di Rhemi, e poi quel di Ravenna, e finalmente, benchè con >> maggior fatica, il Pontificato. In che il diavolo l'ajutò, e favorì con questa >> condizione, ehe egli dopo la morte fosse suo. Perciocchè avendolo Silvestro, >> avidissimo di regnare, domandato quanto tempo sarebbe vivuto Pontefice, >> gli aveva risposto il nemico della generazione umana ambiguamente, come >> in tutte le cose far suole, che tanto vivuto sarebbe, quanto n' avesse in >> Gierusalem posto il piede. Avendo egli dunque tenuto quattro anni, un >> mese e dieci di il Pontificato, mentre che egli diceva messa in Santa Croce >> in Gierusalem, gli sovvenne, che all'ora morire doveva per quello, che 'l >> demonio gli aveva già detto. Il perchè pentito tosto dell'error suo, publi>>camente lo confessò, e lasciata ogni ambizione via, animò tutti al ben vi» vere, poi li pregò, che dovessero dopo la sua morte porre il suo corpo » sopra un carro, e là seppellirlo, dove i cavalli da per se stessi portato » l'avrebbero. Vogliono che per divina providenza, acciocchè sappino gli empi, » che sempre è presto a perdonare il Signore, pure che vivendo si penta, >> da se stessi i cavalli ne andassero a fermarsi nella Chiesa di Laterano, e >> che ivi, sepolto fusse. Scrive Martino, che alle volte dovendo morire qualche » Papa, si sentono nella tomba di questo Pontefice battersi le ossa insieme, >>o pure che questo istesso sepolcro suda, o umettato di fuori si vegga. >> I che dall'epitafio, che è nella medesima sepoltura, si cava. Ma se così è, >> o no, vegganlo i Pontefici istessi, a' quali più questa cosa appartiene. >>

Belle notizie circa la vita e gli studi di Gerberto si potranno poi avere nel lavoro sopra già più volte citato del Martin, Cap. XXI, e XXII; nell'altro lavoro del medesimo intitolato: Histoire de l'arithmétique, nella Revue Archéologique 1857; ed in HOEFER, Nouvelle Biographie Générale etc. Paris, Firmin Didot, Tom. XLIII, art. Silvestre II.

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