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qualche modo dei numeri greci (1); così nella stessa epoca non mancarono di quelli che rivolsero i loro studi agli antichi numeri latini; ma i piccoli trattati di costoro che già in parte vennero da noi citati, ed in parte saranno in seguito accennati, fatti tutti in senso archeologico, furono parimenti del tutto incompleti ed inesatti, e non altro che piccoli ed informi materiali per posteriori lavori.

Ciò esposto, vediamo ora quali fossero i vari metodi usati dai Romani per rappresentare i numeri.

CAPITOLO VII.

Antichi metodi della numerazione romana.

Passando i Romani dalla numerazione istrumentale alla numerazione scritta, a guisa dei Greci e degli Etruschi, si servirono pur essi delle lettere del proprio alfabeto, per rappresentare i numeri.

Da principio ne usarono soltanto cinque, cioè I, V, X, L, C, il cui respettivo valore era 1, 5, 10, 50, 100; e si fecero a significare qualunque numero volevano, combinando diversamente fra loro queste cinque lettere con una regola di addizione e di sottrazione, giusta la quale un numero minore od uguale posto a destra di un maggiore od uguale, si addizionava con esso, oppure posto a sinistra di un maggiore, si sottraeva da questo; e perciò:

II, III, XX,

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significavano 2, VI,

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significavano 6,

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e IV, significavano 4,

90, ecc. (2).

Inoltre ponendo il C in senso inverso a destra dell'I, indicavano il 500; e ponendogline uno a destra in detta guisa, ed un altro a sinistra, segnato secondo il consueto, formavano il migliaio: e ripetendo i detti C, formavano le diecine e le centinaia di migliaia. E perciò le cifre:

13,

CID, 199, ССІЗ), 1ეეე, CCC, ecc. significavano 500, 1000, 5000, 10000,

50000,

100000, ecc.

(1) Veggasi ciò che fu detto alla fine del Cap. III, del presente_lavoro. (2) Si noti però che i Romani antichi difficilmente scrivevano i numeri in sottrazione; massime quando le unità o le diecine non si avevano da ri petere più di quattro volte, per lo più non facevano la sottrazione, e scrivevano più volentieri IIII, XXXX, ecc. invece di IV, XL, ecc.

Coll'andar del tempo a queste cinque lettere, ne vennero aggiunte altre due, il D cioè, e la M; il primo per esprimere il numero 500, e la M per significare il 1000; ed in tal guisa le cifre numerali romane giunsero al numero di sette. Per lo che furono poi scritti i versi seguenti:

<< In ciphris latiis I tantum continet unum,

» Possidet V quinque, X-que decem, quingenta tenet D;
» L quinquaginta, C centum, M mille recenset. (1). »

L'aggiunta del D e della M, dovette probabilmente avvenire dall'avere gl'inesperti, o poco diligenti scrittori unito le lettere I indicanti il numero 500, e le lettere CI significanti il migliaio. Uomini di una qualche erudizione, ma certamente poco versati negli studi classici antichi, sognarono recentemente che l'unione ora accennata del D e della M coll'I, avvenisse nel secolo XVI per inesattezza dei tipografi. E questa opinione con dispiacere l'ho veduta riprodotta nell'Enciclopedia Popolare Italiana che il Pomba pubblicò a Torino (2): mentre quanto ella sia erronea questa opinione, risulta chiaramente dagli scritti degli antichi grammatici latini, i quali parlando delle lettere D ed M, assegnano ad esse il detto valor numerale (3). Ed anzi è tanto antico l'uso del D nella numerica latina, che trovasi perfino nell'iscrizione della co

=

(1) Vedi : Cabalomania: hoc est artis cabalisticae oppugnatio, diatriba exegetica, didascalica, catacritica, duobus distincta capitibus, in quorum agitur de Cabala Hebraica, de Pythagorica in altera, auctore C. Bernardo Scinfleni, S. T. P. Venetiis 1718, ex Typ. Bragadena, pag. 41. Questa opera è del padre Berlendi, a cui piacque mutare il suo cognome con quello di Scinfleni.

(2) Vedi Enciclopedia Popolare, (quinta edizione) Lett. D.

(3) (DIOMEDES, Lib. II, de interrog. liter.) « D.... nota praenominis Decium >>> significat; item numeri, cum quingentos scribimus. >>

Valerius Probus, de notis numerorum, apud Auctores Latinae linguae in unum corpus redactos, cum notis Gothofredi apud Guillielmum Leimarium MDLXXXV, pag. 1478. « D quingenta quia non ullis placuit post C, D >> subsequatur, vel ut aliis quia inter hanc et M quod mille signiflcat, quique >> literae quae dimidium millenarii numeri innuant, vel quod magis placent, >> quia sit capitalis litera huius nominis, dimidium, quod dimidium millenari >> significat; vel potius quia antiqui hunc numerum per sinistram partem M >> notarent sic A quae nota pene D similis est. M mille, quia principalis » est huius nominis litera. >>

(PRISCIANUS, De Fig. et nom. numer.) « Centum (notant Latini) per prin>>cipalem nominis literam C. Qningenta per sequentem literam consonantem, >> nam post C, D sequitur. >>

Si può vedere su questo proposito anche l'altro mio lavoro intitolato : Studi filologico-critici sulla genesi, forma e valore delle lettere dell'alfabeto italiano (Roma, Tip. Poliglotta di Propaganda Fide 1866), pag. 76, e pag. 110.

lonna rostrata di Duillio, nella quale il numero 3600 è segnato così: ODC (1).

I Latini poi, tanto il numero delle migliaia quanto quello dei milioni, lo espressero in più modi.

Il mille fu rappresentato non solo colla M, ma anche col chi greco chiuso fra due parentesi (X), affinchè non si prendesse per un ix latino significante dieci (2). E da questa cifra nacque poi la seguente. Inoltre il numero di cui parliamo fu scritto poi anche in queste altre maniere : X, (I), III.

Circoscrivendo poi dei circoli alla cifra, dai nostri antichi si moltiplicarono le migliaia; e perciò significava 10,000, e100,000: e tagliando a metà queste cifre, furono rappresentate le metà dei detti numeri; di modo che significava 5000, e 50,000. Lo che apparisce da varie antiche iscrizioni.

Essendo gli antichissimi Romani da principio, come sopra dicemmo, molto indietro nella scienza numerica, non sapevano rappresentare un numero maggiore di 100,000 (3): e perciò all'occorrenza ripetevano questo numero quante volte faceva d'uopo: lo che apparisce chiaramente anche dalla sopramenzionata iscrizione della colonna di Duillio, ove il numero Сcclɔɔ è ripetuto continuatamente più volte (4). Quando però incominciarono a contare oltre il numero 100,000, ed andarono innanzi colle. loro cifre numerali, rappresentarono il milione in varî modi; di cui i principali sono questi:

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Il mezzo milione poi fu rappresentato anticamente colle note seguenti: D, IƆ, c.

(1) Il frammento dell'iscrizione della colonna di Duillio ritrovasi ora al Campidoglio, a piè del palazzo dei Conservatori. Si suppone giustamente che esso non sia una parte dell'antichissima iscrizione originale, ma bensì una copia della medesima fatta in tempi posteriori. Il Ciacconio fece su questo frammento una dissertazione, riportata dal Grevio nel tomo IV della sua raccolta di scritti circa le antichità romane.

La copia dell'epigrafe in discorso, è poi riportata anche nel mio lavoro ora citato, nella Tavola I.a

(2) PRISCIANUS, De figuris numerorum; inter Grammaticos, PUTSCHII, pag. 1345. «Mille secundum Atticos per X graecum, sed ut sit differentia » ad decem, circumscriptis lateribus (X). »

(3) PLINIUS, Natur. Hist,. Lib. XXXIII, § 47. « Non erat apud antiquos >> numerus ultra centum millia; itaque et hodie multiplicantur haec, ut decies >> centena millia, aut saepius dicantur. »>

(4) Vedi il mio lavoro sopracitato, Studi filologico-critici ecc. Tav. I.a
(5) Si noti che quest'ultima cifra (M), alle volte fu usata anche per 10000.

Nelle antiche iscrizioni trovasi anche una cifra fatta in questo modo; la quale credesi che sia formata da due delta greci insieme riuniti; e siccome il ▲ nella numerazione greca significa 4, si suppone che colla cifra suddetta si volesse significare il numero otto (1).

Le note romane poi non erano sempre di uguale altezza; allorchè i nostri antichi volevano significare per la seconda, per la terza, per la quarta volta, ecc., prolungavano l'ultima nota del numero, scrivendo I, I, I, ecc.; alle volte prolungavano anche la prima nota; e perciò troviamo espressi i seviri, magistrato di sei persone, con la nota seguente II (2). Talora l'unità fu ripetuta per fino cinque, sei ed otto volte, e perciò si trova scritto XIIIII, invece di XV; e IIIIII VIR, IIIIIIII VIR, invece di VI VIR, VIII VIR. Alle volte si è visto ripetuta in modo straordinario anche la nota del dieci, essendo stato scritto XXXXXX per LX, e XXXXXXV invece di LXV (3).

È poi da notare che se alle figure numerali romane si soprapponeva una linea retta, la figura acquistava il valore di tante migliaia, per quante unità ella segnata semplicemente, rappresentava. E perciò I, significava mille unità; V, 5000; X, 10,000; L, 50,000; C, 100,000; D, 500,000; M, 1,000,000. Ciò risulta dagli scritti dei classici antichi, ci venne accennato da Valerio Probo, e poi da tutti gli scrittori che trattarono dell'antica numerazione latina (4). Vi sono però da notare su questo

(1) Veggasi PRISCIA NO, loc. cit. - Valerio Probo, loc. cit. - Le note antiche pubblicate dal PUTSCHIO nella raccolta dei Grammatici antichi a pag. 1683; e nell'edizione sopracitata del 1635 (apud Guillielmum Leimarium) pag. 1479.— ed il Kircher, Aritmologia; cap. I, pag. 1.

LXXII, 9.

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CIX, 4.

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(2) Vedi GRUTERI, Inscriptiones antiquae totius orbis Romani etc., ex officina Commeliniana, pag, XXIIII, 2. XXXVI, 14. XXXVIII, 3. LXIIII, 1, 2. XL, 6. XXXVI, 16; et alibi. (3) Vedi MARINI, Gli atti e monumenti dei fratelli Arvali. Roma MDCCXCV. Tom. I, pag. 31. Tom. II, pag. 674-75.

(4) VALERIUS PROBUS, loc. cit. « Et sciendum, quod quaelibet figura si >> ei jacens recta linea supraducatur tot significabit millenarios quot per se >> significat unitates, ut:

I mille unitates, id et mille significat

V quinque millia

X decem millia, et aliquando mille.

L quinquaginta millia

C centum millia

D quingenta millia

M mille millia, et aliquando millia.

Vedi pure MABILLON, De Re diplomatica. Lib. II, cap. 28, XI.

MATTHEI HOSTI, de numeratione emendata, veteribus latinis et graecis

usitata. Antuerpiae, ex offic. Plantini 1582.

proposito due cose: primieramente che la linea retta sopra la lettera numerale, alle volte non denota alcuna moltiplicazione, ma solo significa che la lettera non è elemento di parola, ma segno di numero, il quale dal senso della scrittura significa le semplici unità; in secondo luogo poi è d'avvertire che la linea sopra la lettera parimenti numerale sovente indica una moltiplicazione, ma non per mille. La causa di questa irregolarità, fu spesso l'imperizia degli scrittori; ma il più delle volte essa avvenne per una ragione, che, valendosi specialmente degli scritti di Plinio, ci ha bene espresso il dotto Martin da me precedentemente citato. Ecco che cosa egli dice su questo proposito:

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«Se di due gruppi contigui di lettere numerali romane, il gruppo a destra ha delle centinaja, l'unità del gruppo » sinistro vale mille volte l'unità del gruppo destro; ma » se il gruppo destro ha solamente delle diecine o delle » unità semplici, l'unità del gruppo a sinistra non vale mai » che cento volte l'unità del gruppo a destra.

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Questo principio è applicabile tanto quando vi sono » solamente due gruppi, quanto allorchè vi sono tre gruppi divisi da punti: per conseguenza se vi sono tre gruppi e » che il gruppo destro abbia solamente delle centinaja, l'unità di mezzo » del gruppo di mezzo è il centinajo, e se il gruppo » ha delle centinaja di centinaja, l'unità del gruppo di sinistra » è il centinajo di mille. Perchè quell'unità fosse il milione, bisognerebbe che il gruppo di mezzo di mezzo e quello di destra avessero tutti due delle centinaja, ma questo caso è senza esempio in Plinio (1).

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CAMERARII JOACHIM. De Graecis latinisque numerorum notis.

HENISCHI GEORGI. De numerat. multipl. vet. et recenti. Augustae Vindelic. 1605.

TH. HENRI MARTIN, op. cit. chap. XI, pag. 38.

Uno degli scrittori del secolo XVI i quali s'interessarono principalmente della numerazione latina, fu il Bronchorst, noto fra gli eruditi col nome di Noviomagus. Egli fece su questo argomento un apposito trattatello che viene citato dall' Hosto e da altri. Non credo che da lui avrei potuto raccogliere maggiori notizie, avendo consultato gli altri scrittori che hanno studiato su esso: ma mi dispiace di non aver potuto vedere il suo libretto. Non mi è stato possibile rinvenirlo in alcuna delle pubbliche e private biblioteche di Roma. Nella Vallicelliana è segnato nel catalogo della biblioteca, ma il libro non esiste più nella medesima.

(1) MARTIN HENRI, loc. cit., pag. 39. « Si de deux tranches contigues » de lettres numérales romaines, la tranche à droite a deş centaines, l'unité » de la tranche a gauche vaut mille fois l'unité de la tranche a droite; mais » si la tranche à droite n'a que des dizaines ou des unités simples, l'unité

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