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primo luogo per il giudizio immediato dell'occhio e poi per non essere praticamente lo scranno del tutto omogeneo. Bunsen propose altro fotometro, il quale consiste in un foglio di carta tesa in un telajo e che ha nel mezzo un piccolo disco di carta finissima, o una goccia di stearina, che viene illuminato per di dietro con una luce costante. Ponendo sul davanti una delle luci da paragonarsi la luce riflessa si unisce alla trasmessa ed accostando ed allontanando questa luce si arriverà ad avere la luce trasmessa eguale alla riflessa, per cui la macchia luminosa sparita; ripetendo questa operazione per l'altra luce si avrà il rapporto delle due intensità colla solita relazione delle distanze, ma ognuno vede quanto sia incerto questo metodo. Il fotometro tangenziale di Bothe altro non è che una modificazione di quello di Bunsen, poichè invece di porre le due luci a distanza differente sino a che la macchia sparisca, si pongono le due luci alla medesima distanza ed invece i raggi di cadere perpendicolarmente allo scranno questo s'inclina più o meno rapporto alla direzione dei medesimi. Se le due luci sono eguali lo scranno farà coi due raggi un angolo di 45° se sono disuguali uno dei due raggi farà un angolo a e l'altro raggio un angolo 90° e per la legge dei coseni si avrà

J tang α = J'

Tutti questi fotometri che abbiamo veduto oltre avere il difetto del giudizio immediato, che deve farsi dall'occhio, hanno inoltre che se le luci sono di colore alquanto diverso danno risultati erronci, perchè una luce turchiniccia può comparire all'occhio di minore intensità di una giallognola, mentre non lo è in realtà. Foucault dice che con il suo fotometro se la luce differisce poco per il colore si può avere risultato alquanto esatto ammiccando le palpebre. A questo difetto principalmente rimediò il signor Govi col suo fotometro analizzatore, che consiste nel fare il paragone dei raggi della stessa rifrangibilità, cioè facendoli decomporre da un prisma prima che cadano sullo scranno traslucido, ma le due luci possederanno tutti gli stessi raggi semplici e della medesima intensità? Credo che molto scemo di tale difetto sia il fotometro che pubblicai nell'anno 1866, inquantochè il giudizio delle due intensità fatto dall'occhio è mediato e che la differenza di colore non è d'inciampo al buon esito dell'istrumento. Esso è fondato sul principio che per vedere il rilievo di un corpo bisogna che vi sia gradazione di luce oltre la visione binocu

lare; e se questo è tutto illuminato egualmente si vedrà una superficie invece di un corpo solido. (Figura 1").

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L'essenziale di questo fotometro è un prisma triangolare di legno bianco ed omogeneo, o di gesso e potrebbe essere ancora di porcellana non verniciata, con due faccie inclinate a 70 gradi; se queste faccie vengano egualmente illuminate noi dobbiamo vedere un solo piano invece di due piani inclinati sotto l'angolo suddetto. Per rendere più marcata questa illusione ecco la forma data all'istrumento: su di un regolo di legno sostenuto da un piede si trova ad una estremità il prisma ed all'altra un diaframma di legno nel cui centro mediante un foro è annesso un cilindro vuoto fatto a modo di oculare, l'asse di detto cilindro deve essere perpendicolare allo spigolo, ed il tutto tinto nero per togliere qualunque riflessione. L'ufficio del diaframma è di togliere la vista del prisma e così privare l'immaginazione dell'idea del rilievo vedendone il contorno, e quello del cilindro di concentrare la luce. Riguardo poi all'uso solo devo avvertire che i due lumi dovranno sempre trovarsi sulla medesima linea in modo che i raggi di ciascuno facciano il medesimo angolo col piano.

Il più grazioso ed il più elegante dei fotometri è quello di Wheatstone che consiste come tutti sanno in una perla d'acciajo brunito, dotata di due movimenti rotatori, cioè girante intorno ad un centro, mentre questo centro gira intorno

ad altro centro. Se facciamo riflettere dalla perla le due luci da esplorarsi uno da un lato l'altra dall'altro, mentre si muove velocemente si avranno due epicicloidi luminose che quando sono della medesima intensità e grandezza ci danno i rapporti delle due luci mediante la solita proporzione del quadrato delle distanze. Questo istrumento ha un piccolo inconveniente ed è che il punto di partenza per la misura delle distanze non è fisso e per quanto la differenza sia piccola dovendo quadrare qneste distanze porta un bel divario. Io a questo di Wheatstone ne proporrei un altro che pubblicai nel 186s.. (Figura 2').

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Esso consiste in un cilindro d'acciajo brunito C dell'altezza di circa 8 centimetri e del diametro di un millimetro circa il quale produce due nastri luminosi verticali invece di due epicicloidi, e ciò per la proprietà degli specchi cilindrici; e per rendere questi due nastri più netti li guardo attraverso un forellino finissimo di meno di un millimetro di diametro. Ecco come per renderlo portatile si stabilisce l'istrumento. Su di un regolo di legno AB della lunghezza di 20 centimetri e di 3 di larghezza e mezzo di spessore sorretto da un manico, all'estremità B si trova una lamina di metallo avente nel mezzo il forellino per cui si guarda, ed all'estremità A una tavoletta di legno più alta del cilindro d'acciajo; questo poi si trova nella linea mediana longitudinale del regolo AB, ed a pochissima distanza dal punto A cioè nel punto C. Ed il tutto è tinto a nero.

Per esperienze alquanto esatte è senza dubbio da adottarsi un fotometro proposto dall'insigne Arago; fondato sul principio che negli anelli colorati, dei fenomeni delle lamine sottili i colori di quelli della luce trasmessa sono complementari di quelli dati dalla luce riflesa. Questo fotometro finalmente con

siste in un apparecchio ad anelli colorati disposto perpendicolarmente sopra un foglio di carta bianca che divide in due parti eguali. L'occhio situato quasi nel piano degli anelli prodotti dalla luce riflessa vedrà sulle due parti della carta dei sistemi di anelli riflessi o trasmessi secondo che si illuminerà più l'una che l'altra delle due parti del corpo riflettente; quando non si vedrà più colorazione allora è segno che le due intensità sono eguali e stanno tra loro colla solita proporzione enunciata di sopra.

Passiamo ora a considerare la secondз parte; cioè la misura del potere illuminante dell'unità di superficie; di questa credo che nessuno finora se ne sia occupato benchè vi siano dei fotometri che possono in qualche modo darla, ma essi non sono stati proposti per ciò. Primieramente vediamo come coi mezzi che abbiamo di sopra enunciati si possa con approssimazione determinare. Si riprenda l'equazione

i A = i A'

d2 d'2

se sia i l'intensità luminosa presa per unità di misura e si voglia quella di ' avremo

i' = Ad12
d2A'

Dunque il problema si risolve mediante la determinazione delle superfici A e A'. Per la misura di dette superfici luminose io proporrei projettarne l'immagini sopra di un foglio di carta bianca mediante una lente o sopra altra superficie bianca incombustibile se si abbia timore che la carta possa abbruciarsi e quivi disegnarle e misurarle.

In quanto poi agli istrumenti buoni a quest'uso due sono fondati sull'assorbimento della luce nei mezzi trasparenti; poichè più il potere illuminante dell'unità superficiale è forte tanto più il fascetto dei raggi luminosi che da questa emanano può attraversare un mezzo trasparente più spesso prima di essere del tutto assorbito.

Il primo a darci uno di tali istrumenti fu certo padre Francesco Maria cappuccino nel 1700; esso non consisteva che in un sistema di lamine di vetro che poneva innanzi alla luce ora in maggior numero ora in minore sino ad ottenerne il totale assorbimento. Poi Lampadius propose invece delle lastre di vetro delle lamine di corno, o di talco od anche di mica.

Ognuno vede quanto sia incerto questo metodo poichè non tutte le luci sono assorbite egualmente e poi non conosciamo bene le leggi di questo assorbimento, quantunque secondo Bouguer essa rappresenti una logaritmica.

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Becquerel per misurare l'intensità luminosa dei corpi fosforescenti ha adoperato un fotometro che può a mio credere servire benissimo alla misura del potere illuminante esso è fondato sulla legge di Malus che nella luce polarizzata l'intensità luminosa del raggio ordinario di un cristallo birifrangente è I cosa. Questo istrumento finalmente consiste in due piccoli cannocchiali aventi l'oculare comune cioè, ad uno dei due cannocchiali è innestato nel mezzo ad angolo retto l'altro cannocchiale e nel punto d'incontro dei due assi esiste un prisma di cristallo per cui i raggi che entrano nel cannocchiale normale a quello, che porta l'oculare, subendo la riflessione totale sono mandati all' oculare stesso. I cannocchiale retto ha due prismi di Nicol uno vicino all'obiettivo che fa da polarizzatore, e l'altro presso l'oculare, che è il polariscopio. Mettendo le due luci da paragonare avanti agli obiettivi ed alla medesima distanza coll'avvertenza di mettere la luce più intensa avanti all'obiettivo che porta il poralizzatore, se i due prismi di Nicol hanno le loro sezioni principali parallele, questa luce non è sensibilmente indebolita ma se si fa girare il prisma polariscopio di un angolo a misurato da un circolo graduato annesso all'oculare, l'intensità di questa luce s'indebolisce proporzionalmente a cosa, di maniera che si possono rendere le due luci d'intensità eguale. Ora dirò che questo istrumento può servire al nostro scopo mettendo avanti alle fiamme e molto vicino ad esse due diaframmi eguali in modo che gli obiettivi ricevano i raggi da due superfici eguali ed allora paragonandole potremo avere il potere luminoso unitario.

α

Chiuderò col far notare che la determinazione del potere luminoso unitario specialmente col fotometro di Becquerel può servire benissimo agli ispettori dell'illuminazione publica essendone più speditivo l'esperimento di quello proposto da Dumas e Regnault, e perciò in una sera se ne possono eseguir molti e così vedere se il gas si mantiene sempre della stessa bontà; ma di questo soggetto per ora basti poichè vi ritornerò sopra con altro mio lavoro.

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