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Ognun sa quali siano le idee dello Scartazzini intorno allo svolgimento della vita e dell'ingegno di Dante. E non è qui il luogo di ricordare le obbiezioni numerose e forti mosse al suo sistema; diciamo solo che, quando anche queste si potessero respingere, non uno svolgimento da noi anteriormente immaginato potrebbe farci ritenere per vera una data piuttosto che un'altra: è invece una data già certa che può farci determinare quello. Sarà così uno svolgimento meno regolare, ma per avventura piú corrispondente all'insieme delle circostanze reali. Quanto poi al difetto di tempo e di agio notato dallo Scartazzini, e non da lui solo, domanderò col D'Ancona: "chi ci dice.... che alla creazione di gran parte di esso [del poema], dell' Inferno almeno e di parte del Purgatorio, non piuttosto giovasse la vita agitata, il ramingar di luogo in luogo, il tumulto delle speranze e delle delusioni, l'acuto del dolore, uno stato d'animo, insomma, tutt'altro che calmo e quieto?..., Del resto, quanto poco valore abbia, per sua natura, quest'ultimo argomento dell'agio, lo prova ancora ciò, che i critici che se ne servono non sono punto d'accordo: pel Bartoli3 Dante trovò il tempo e l'agio dopo il 1306, per lo Scartazzini dopo il 1313, pel Trenta e pel Leynardi sol dopo il 1316. E poiché siamo in quest'ordine d'idee, fa specie che l'ultimo critico ora nominato che ha pur detto tante cose sensate per combattere l'ipotesi del Bartoli che l'Inferno fosse scritto dal 1306 al 1315, si domandi 5 "se per comporre un'opera di quella fatta [la Commedia], anzi una terza parte di essa, non sieno troppi nove anni,; fa specie finalmente che, a confermare che il poema fosse scritto nel volgere di pochi anni, così il Trenta 6 come il Leynardi' adducano l'euritmía che esso ha nelle sue parti, quasiché fosse provato che non potesse averla anche un poema composto, p. es., in vent'anni. Per amor di Dante! usiamo di altri argomenti, e con prudenza.

Palermo, marzo 1896.

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GIOVANNI MELODIA.

1 Cfr. il bello studio di M. BARB, Della pretesa incredulità di Dante in Giorn. st. d. lett. it. XIII, 37-69; alcune osservazioni di V. Rossi ibi, XVI, 392-393; BARTOLI, St. d. lett. it., VI, I, 29 e segg. COLAGROSSO, Una storia della viia interiore di Dante in Studi critici. Napoli 1884, e in Studi di lett. ital., Verona, 1892.

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* Rassegna cit., II, 236.

3 St. d. lett. ital., VI, 2a pag. 251.

A L'esilio di Dante nella divina Commedia, Pisa, 1892, pag. 163 e seg.

Op. cit., pag. 63.

6 Op. cit., pag. 167.

7 Op. cit., pag. 100.

DANTE IN SHAKESPEARE

Che Guglielmo Shakespeare avesse una cognizione, quanto si voglia imperfetta e superficiale, della lingua e della letteratura italiana, non credo possa mettersi in dubbio. Non tenendo conto de' suoi drammi di soggetto puramente classico, per i ventinove altri il luogo favorito della scena, dopo l'Inghilterra, è l'Italia. Difatti, in mezzo ai drammi di quest'ultima specie, di dodici l'azione si svolge in Inghilterra, e di sette, non tra i meno famosi, in Italia: mentre di un altro si svolge in una Illiria che può esser bene la Dalmazia, e fra personaggi italiani; di un altro ancora si svolge parte in Sicilia e parte in Boemia; e di un ultimo, parte in Francia e parte a Firenze. Anche quando la scena non è in Italia, come per esempio in Measure for measure, i personaggi principali portano nomi italiani, e non so perché: e cosí Orlando è il nome italiano imposto senza evidente ragione a un personaggio importante in As you like it; Dromio e Angelo sono i nomi di forma italiana introdotti senza apparente necessità in Comedy of Errors; e infine Cordelia e Ofelia, che con Desdemona e Giulietta sono le stelle più splendide nella pleiade delle donne shakespeariane, portano, senza ragione palese, un nome più o meno italiano l'una in Inghilterra, l'altra in Danimarca.

Un dolcissimo incanto doveva produrre agli orecchi dell'anima, s'è lecito cosí esprimermi, del grande poeta la soavità e la limpida energia della nostra lingua; incanto che lo spingeva, anche quando non ce n'era plausibile ragione, a introdurre parole e anche frasi italiane nel dialogo. Qui è un Via! che gli scappa detto, rinunciando all'energico e drammatico away; qua esclama: "a fico for the frase, ; mentre un personaggio inglese, goffo e indotto, in terra inglese, si proclama armigero. E non solo trovi nuncio e madonna crudamente in italiano, ma in italiano eziandio le salutazioni fra amici che fannosi visita:

PETRUCHIO: Signior Hortensio

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e si noti che dice prima signior, secondo l'uso inglese di scrivere questa parola, mentre nella frase italiana scrive correttamente signor. Il diminutivo Petruccio reso, secondo l'ortografia inglese, con Petruchio, mostra che lo Shakespeare conosceva la pronunzia della lingua nostra; e cosí il nome Borachio che viene evidentemente da borraccia: anzi egli doveva avere una idea, per quanto inesatta, dei dialetti nostri, per potere giudicar cosí di quello che parlasi a Napoli: a Napoli: "Why, masters, have your instruments been at Naples, that they speak i' the nose, thus?, Persino detti nostrani ispirati dall'orgoglio municipale sono riportati dallo Shakespeare senza apparente opportunità: onde in bocca a un personaggio stravagante di Navarra, mette questa strana lode di Virgilio :

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Ma se lo Shakespeare s'interessava tanto delle cose nostre, vuol dire che il pubblico inglese anch'esso se ne interessava; e se compiacevasi in mostrare una qualche conoscenza della lingua nostra, si capisce che questa non doveva suonare tanto male ad orecchi inglesi. Guglielmo Shakespeare non fu solo sommo poeta; fu anche eccellente uomo d'affari, e maestro in materia di speculazione teatrale: conosceva il suo pubblico, né mai avrebbe introdotto sulle scene cosa assolutamente repugnante ai gusti di esso. L'Italia dei tempi di lui conservava ancora, benché scesa molto in basso, il prestigio di un passato ancor prossimo: era tuttavia irradiata della luce vivissima che, partendo da essa, sulle altre nazioni era stata diffusa dalla rinascenza. Era il tempo quando Enrico Stefano lamentava il gergo mezzo italiano e mezzo francese che si parlava, e scrivevasi anche, in Francia, massime alla corte; e quando poteva dirsi ancora, almeno in parte, quello che lo Shakespeare afferma dell'Italia e dell'Inghilterra dei tempi di Riccardo II:

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Per tutto questo non è maraviglia se lo Shakespeare conosceva almeno i principali e più famosi fra i nostri scrittori. E conoscendoli, è naturale che cercasse arricchire di gemme italiche il suo tesoro di già doviziosissimo. Né questa è una semplice supposizione, esistendo prove irrefragabili ad assicurarcene. Non di rado, è vero, si va oltre il segno nel cercare riscontri fra autori, e nel supporre imitazioni e plagi da per tutto: ed è vera anche la sentenza del buon Passeroni

1 Othello, A. III. sc. i.

Che s'incontrano spesso i belli ingegni.

2 Love's labour's lost, A. IV. sc. ii.

3 King Richard II, A. II. sc. i,

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E cosí, per non uscire dal terreno shakespeariano, per fortuito incontro d'ingegni bisogna credere che Napoleone, discutendosi del divorzio in Consiglio di Stato, definí l'adulterio une affaire de canapé, dopo che lo Shakespeare aveva ravvisato in un trovatello some stair-work, some trunk-work, some behind-door-work,. Ma è pur vero che in certi casi è tanta la evidenza della imitazione nel tutto e nelle parti, che volerla negare è altrettanto arrischiato, quanto è arrischiato il volerla affermare in certi altri.

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Uno di questi luoghi dove con tutta evidenza scorgesi come il poeta inglese ha tolto di peso all'Ariosto una scena fondata sopra un gioco di parole possibile nelle due lingue, è in Taming of the shrew, che qui riproduco in buona parte:

PETRUCHIO: Verona, for a while I take my leave,

to see my friends in Padua; but, of all,
my best beloved and approved friend,
Hortensio; and, I trow, this is his house :
Here, sirrah Grumio, knock, I say.

GRUMIO: Knock, sir! whom should I knock? is there
any man has rebused your worship?

PETRUCHIO: Villain, I say, knock me here soundly.

GRUMIO: Knock you here, sir? why, sir, what am I, sir,
that I should knock you here, sir?

PETRUCHIO: Villain, I say, knock me at this gate,

and rap me well, or I'll knock your knave's pate:

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e prosegue cosí ancora per un pezzo. Sentite ora l'Ariosto nella Lena:

BARTOLO. .. Magagnin, va, fa il tuo ufficio,

batti quell'uscio.

MAGAGN. Perché debbo batterlo,

se non m'ha offeso?

L'imitazione non può essere piú palese; né dinanzi a una prova come questa è piú lecito impugnare che Shakespeare conoscesse gli autori nostri nella loro lingua, e che da abile artista li saccheggiasse.

Un'altra prova lampante sta in quella sentenza: "A victory is twice itself, when the achiever brings home full number,, ch'è in Ariosto:

Fu il vincer sempre mai laudabil cosa,
vincasi o per fortuna o per ingegno:
gli è ver che la vittoria sanguinosa
spesso far suole il capitan men degno;

e quella eternamente è gloriosa,

e dei divini onori arriva al segno,

quando servando i suoi senza alcun danno,

si fa che gl' inimici in rotta vanno.

1 Winter's tale, A. III, sc. iii.

Taming of the shrew, A. I. sc. ii.

3 Lena, A. IV. sc. ii.

Much ado about nothing, A. I. sc. i.

Se il Petrarca, imitando Cino da Pistoia, non avesse detto:

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parmi trovare l'ispirazione di due massime shakespeariane, l'una in Macbeth: 2

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Then, gentle cheater, urge not my amiss

lest guilty of my faults thy sweet self prove? 5

Se è dunque fuor di dubbio che Guglielmo Shakespeare conobbe e imitò

i nostri più grandi poeti, parrebbe che nessuno avesse dovuto richiamare la

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