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Verso la fine del prossimo mese di luglio, o nei primi giorni di agosto, si publicherà la seconda dispensa del Codice diplomatico dantesco, con la riproduzione fototipica e la illustrazione del documento di San Godenzo. Di questo fascicolo, che non sarà men bello ed importante del primo, venuto in luce l'anno scorso, il nostro Giornale publicherà, a suo tempo, una recensione di Giosuè Carducci.

Il dottore M. Durand-Fardel, uno dei pochi studiosi e caldi, ammiratori, in Francia, del nostro Poeta, e al quale dobbiamo una traduzione francese della Commedia, ci fa sapere che ora sta traducendo il Convito e la Vita nuova. Augurando all'egregio uomo di poter presto dare alle stampe questi lavori, e di cogliere meritata fama dalle sue nobili fatiche, gli esprimiamo le nostre grazie pel molto studio e per l'amore che egli pone nel volgarizzare, tra i suoi compatrioti, "une gloire dont ils ne connaissent guère que les reflets".

L'egregio prof. Luigi Natoli, direttore del Corriere dell'isola di Palermo, ha publicato recentemente un primo fascicolo di Studi su la letteratura siciliana del sec. XVI (Palermo, Vena) in cui discorre de La formazione della prosa letteraria innanzi al sec. XVI, e una lunga recensione Di alcune recenti pubblicazioni su la scuola poetica siciliana del sec. XIII (Arch. stor. sic., An. XX, fasc. 3-4) in cui ragiona di recenti lavori del Cesareo, di Albino Zenatti, del Di Giovanni, del Torraca, del Biadene, del De Lollis e del Restivo.

Gli autori e gli editori sono vivamente pregati di mandare alla Direzione del GIORNALE, possibilmente in doppio esemplare, le loro pubblicazioni di argomento dantesco, che saranno sempre annunziate nel Bollettino Bibliografico.

Proprietà letteraria.

Città di Castello, Stab. tip. lit. S. Lapi, giugno 1896.

G. L. PASSERINI, direttore.

LEO S. OlschкI, editore-proprietario, responsabile.

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Se la storia letteraria dovesse solo soffermarsi alle opere grandi e trascurare l'immensa mole delle altre, che non son tali, delle Lettere di Virgilio agli Arcadi di Roma di Saverio Bettinelli non si occuperebbe altrimenti che per dimostrare anche una volta, come a maledire alle maestà sovrane, non manca mai un Tersite petulante; ma perché essa ha grandi braccia e le Virgiliane sono un segno della condizione delle letteré nel secolo XVIII e, per noi, della fortuna di Dante, non vanno buttate in un canto e condannate senz'altro. Esse infatti non sono, checché siasi detto o si creda altrimenti, l'eco d'un pensiero isolato, mostrano bensí che è povero il discernimento, che si confondono o si ignorano i vari fattori dell'opera d'arte, che è grande la frivolezza e la improntitudine, ma non cessano di rappresentare uno dei tentativi di divincolarsi dalla tradizione, e non tra i meno audaci, l'affermazione, non tra le meno coraggiose, di libertà, in forza del principio che la critica delle imperfezioni non è infeconda.

Vediamo dunque che cosa voglia il gesuita Bettinelli, contro che altro insorga, senza l'usata acrimonia di quanti han giudicato di lui e senza tampoco l'idea di tentare una difesa di una causa inesorabilmente perduta; cosí se ne avvantaggierà, o io m'inganno, la storia della fortuna di Dante.

Le lettere di Virgilio all' Arcadia di Roma escono alla luce insieme con i versi sciolti dei tre eccellenti autori in sullo scorcio del 1757, precedute

'Da uno studio su La fortuna di Dante nel secolo passato che sarà stampato nella Collezione di Opuscoli danteschi inediti o rari. In questo saggio o frammento che si dica, si è tralasciata l'analisi sommaria delle lettere bettinelliane e della Difesa del Gozzi, che dovrebbe precedere, anche perché il contenuto delle due scritture è abbastanza noto. Dove non è richiamo speciale mi riferisco alla Difesa del Gozzi (Opere, Padova, 1819-20, vol. V, e alle Virgiliane del Bettinelli (Opere ed. e ined., Venezia, 1800, vol. XXII).

2 Sulla data della 1a ed. delle Virgiliane V. DE LEVA Schedule bibliografiche in Annotatore, Roma, 1884.

Giornale dantesco, IV [N. s., vol. I].

Quad. IV.

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da un monito solenne: "Se questo libretto poetico non risveglia dal sonno la gioventú d'Italia e non la ritragge dall'insulsa maniera di poetare imitando, già non si vede qual altro miglior soccorso a lei si possa offerire,. Che cosa intendeva di dire l'editore munifico dello splendido libro? È chiaro: opporre agli esemplari vecchi altre novissime forme, interrompere la imitazione d'una poesia che aveva del rude ed era oscura, per aprire la strada a piú leggiadra filosofia adagiata signorilmente nel verso sciolto. Stando dunque le cose a questo punto, che a mezzo il secolo scorso ci sono ribelli animosi, capaci di audacie cosí inaudite, vien naturale domandarci: La tradizione dantesca fu allora tanto viva, cosí tenace da provocare ribellioni e ardimenti? Ahimè! poche sono le tracce, nel secolo d'Arcadia, di quella sorta di culto che investe e conquide gli animi, quando questi sono in cospetto d' un'opera grande, ed è ancor lontana l'età, che associerà il nome e l'opera di Dante alle sue più alte aspirazioni. L'imitazione, che si vuol ripudiata, è quella consueta alle lettere nostre: il vezzo cruschevole delle frasi e delle forme rare e antiquate, non altro. Nella condanna della poesia dantesca si rinnova la battaglia contro l'eterna nemica che impone leggi rigidissime alla lingua; e cosi avviene che, in omaggio al francesismo e a quella che pareva forza ed era rilassatezza, il "Nume custode Nume custode, dell'Accademia della Crusca segue la sorte di quanti sono presso di lei in onore.

Ma anche cosí circoscritta la battaglia, contro cioè il mal genio della imitazione, più ancora che contro i modelli imitati, doveva parere troppo violenta, e illegittima a piú d'uno. Giuseppe Torelli apprendendo dal Sibilliato la novità delle Virgiliane, si domanda chi ne potrà essere commosso, perché purtroppo non vede tracce d'imitazione dei grandi poeti, di Dante in ispecie, nella stracca poesia del suo tempo. Onde si può dire col chiaro scrittor veronese che quel qualunque culto che poteva essere professato per la di vina Commedia, pigliava nella immaginazione del Gesuita una proporzione troppo più grande.

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Tuttavia il Bettinelli sa chi vuol ferire e pochi o molti che siano gli avversarî, non monta: basta il fatto che ve ne siano. Già nel poema Le Raccolte, che presuccede di qualche anno le Virgiliane, è dominante lo stesso pensiero, la condanna della imitazione; perché a adombrare l'" estranio e fosco regno di Cacoete dove tra i mille e mille poetastri siedono

"

1 Fu il gentiluomo Andrea Cornaro, che curò la stampa degli Sciolti e delle Lettere,e scrisse la famosa prefazione. Pare che il Bettinelli di questa non avesse colpa: in una sua lettera scritta anni dopo al conte Bianconi, per domandargli consiglio sulle Lettere inglesi, dice che la prefazione del Cornaro fece comparire le Virgiliane "piú odiose, che non sarebbero parute.„, La lettera ha la data 25 febbraio 1763, Verona, ed è inedita; fa parte degli Autografi dell'ab. Saverio Bettinelli al conte Bianconi, conservati nella Biblioteca comunale di Mantova. Mi è grato qui ringraziare il chiar.mo prof. Putelli, bibliotecario, che mi fu largo di ogni aiuto per le mie ricerche.

'Su gli Sciolti dei tre eccellenti autori vedi le acute osservazioni dell'ALEMANNI, Un filosofo delle lettere (Melchior Cesarotti) Parte I, Torino, Loescher, 1894, pag. 155 e seg.

3 Cosí lo saluta A. M. SALVINI nei Discorsi accademici, Firenze 1716.

Lettere scelte dell'epistolario inedito di G. TORELLI in Opere Varie, vol. II, Pisa, 1836.

5 La prima edizione è del 1751, Venezia,

E LA

.... gli avoli pur di quei che or vanno
Dante seguendo e il suo cammin non sanno,

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è invocato l'aiuto dei "moderni lirici Danteschi,. La brigata Granellesca, usa a compilar raccolte, presso cui era vanto l'epiteto di "dantesco inteso dov'erano dirizzati i colpi, i vuol rintuzzare e risponde per le rime 1 e il Gesuita tra fastidito e stizzito rincalza; ed ecco comparire le Virgiliane, scritte con piú leggerezza che malizia, contro il vezzo di dare alla parola "dantesco, un senso fatuo e arbitrario e la zuffa di prima diventare la sacrosanta battaglia contro il pregiudizio.

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Pregiudizio la idolatria letteraria, il credere che rappresentino l'ultima perfezione codesti modelli antichi: potranno essi sostenere una critica ardita e illuminata? Sarà questa la prova suprema; e il Bettinelli, che vuole rivendicati all'uomo di buon gusto i diritti di critica, che gli spettano, vi si accinge con calore; ma, appena si è accostato a quello scrittore, attorno a cui tanti e tanti si sono affaticati, si tira indietro inorridito. È facile dirne il perché il povero gesuita, il quale sa pur dire che Dante fu gran poeta, molte cose ignora e troppe altre non intende, salta d'una pagina nell'altra, sgomento e mortificato, si smarrisce per entro que' cento canti e quei quattordici mila versi, que' cerchi, quelle bolge sino a che la lettura si fa intollerabile.

C'è da esserne sazî sino alla nausea, dice egli, c'è da ridere, da sbadigliare, e il miglior partito sarebbe vagliare da quella poesia troppo irta di combinazioni astratte, di vocaboli oscuri quanto vi è di meglio e il resto buttar via, in omaggio alla tersa purità greca e latina.

Povera e miserabile idea dell'opera letteraria questa del Gesuita, che mentre concedeva salute e diritto di vita anche a un'opera priva di sostanza, purché fosse buona rispetto a quello che con frase ambigua, diceva "lo stile delle parole, non dubitava di ridurre la Commedia non fu il solo, né il primo, né l'ultimo sacrilegio. a pochi canti, come se il poema meravigliosamente uno e trino potesse soggiacere a tanto strazio, senza esserne non che guasto distrutto. Ne avrebbe anzi fatto assai volentieri un'antologia, ad uso minuto dei giovani, perché, affrettiamoci a dirlo, l'intento delle Virgiliane è didascalico e sono i “giovani „, piú che gli Arcadi di Roma, che stanno in cima de' suoi pensieri.

Non arriverà anzi a dire, nella sua impeccabile sapienza, quando accoglierà per entro le sue opere quelle Virgiliane, dapprima ripudiate per tema

1 Con il libretto che porta il titolo Parere o sia lettera scritta da un amico del Friuli ad un amico di Venezia sopra il poemetto "Le Raccolte con la risposta dell'amico di Venezia all'amico del Friuli, Venezia, 1758.

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Il Gozzi chiamava l'amico Adamante Martinelli "Poeta Dantesco,, nel Capitolo in cui dà conto al Vitturi del suo villeggiare alla Mira. Più tardi, molti anni dopo, il fratello Carlo, in un suo Capitolo chiamerà G. B. Conti, autore d'un poema alla dantesca "L'Incoronazione della imagine di M. Vergine,, niente meno che Novello Alighier Gli esempî si potrebbero moltiplicare.

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3 V. le argute osservazioni, fatte da C. Gozzi sul pregiudizio di voler guarire dei pregiudizî, al cap. XXXIII del vol. 1° delle sue Memorie inutili, Venezia, Palese, 1797. Vi si nomina come caposcuola il Bettinelli stesso.

di maggior scandalo, che esse "ponno essere utili in ogni tempo,? E credeva di dire del suo miglior senno!

Il suo piú gran cruccio, a dir vero, fu sempre questo: che i contemporanei si fossero impuntati su Dante e non avessero voluto sentir altro, né intendere che sotto il velame delle strane lettere, del Vangelo e del Codice di leggi, che ne son la conclusione, non altro si domandava che maggior freschezza e maggior novità di pensiero, e piú ragionato il rispetto per l'antico. E difatto, rendiamo questa tarda giustizia a Diodoro Delfico e alle sue disgraziatissime lettere: fatto il conto di quel po' di buono che esse contengono, quel tanto di tristo e di odioso che esse hanno innegabilmente, resta attenuato di molto.

La prima voce che si levi a invocare la Chiusura d'Arcadia è quella del Bettinelli, sebbene, ossequente alla moda, il Gesuita si compiaccia de' suoi titoli pastorali di Adaride Filonero e di Diodoro Delfico: oramai, passata la prima foga della riforma, e degenerata l'Accademia in una istituzione vuota e cadente, si sentono nell'aria i primi segni della ribellione e non sarà che qualche anno di poi, che il bizzarro letterato del Piemonte frusterà a sangue pastorelle e pastori. Il Bettinelli si augura che essa stia chiusa ad ognuno per cinquant'anni e non mandi colonie e diplomi per altri cinquanta: non era come un mandarla graziosamente al diavolo? Il "carnefice sanguinario, (di questo grazioso epiteto lo regalò più tardi il Monti) manda anche a morte la Crusca, o, per dir piú esatto, le consiglia un riposo necessario per ripigliare fama e vigore e in odio ad essa travolge nella rovina tutte le accademie, il ricetto dei mediocri.

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Non saremo noi che daremo un gran peso a questi ardimenti, perché troppo stridono con quella che fu poi tutta la vita letteraria del Gesuita, amico, se mai ne fu altri, delle ciancie accademiche e facitore di sbroscie poetiche impenitente; ma non è male tenerne conto: insieme con i danteschi non trovan grazia presso di lui, che pure più tardi scoprirà di essere col Sibilliato fratello in Petrarca 1 non trovan grazia, dico, Petrarchisti né uomini né donne, né vecchi né nuovi, e peggior sorte trovano gli Orlandi, gli Aminta, i Pastorfidi, cresciuti all'ombra dell'Ariosto del Tasso e del Guarini. Unostrano genio, governa l'Italia, quello della imitazione; che più? Si traducono in latino le ottave del Furioso e della Gerusalemme e non si intende che le ciancie in latino son vane e che "debb'essere condannato a comporre dentro un mausoleo chi scrive in tal lingua, perché scrive ai morti Un'idea questa, non sua, ma imparata sui libri di Francia, che, messa lí con le altre a crescere il sapore caustico del libello, avrà dovuto persuadere il gesuita pedagogo a negare anche piú ostinatamente d'esserne l'autore: e punto gesuitici erano il desiderio d'una maggior libertà poetica e il consiglio di buttar via regole e rimarî.

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1 Lettere di S. Bettinelli a Clemente Sibilliato, Venezia, 1840: buona parte della corrispondenza è consacrata al Petrarca. Come ammenda delle Virgiliane scrisse poi Delle lodi del Petrarca, Bassano, 1786.

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