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Infine, dopo la battaglia di Cortenuova, de' Bresciani piuttosto che de' Milanesi si sarebbe potuto dire che tenevano conques l'imperatore.

Il De Lollis crede la sua conclusione "in qualche modo avvalorata dal fatto che per ragion del suo contenuto non sembra essere anteriore al 1240 la parodia che del compianto fece, dopo di Bertran de La Manon, anche Peire Bremon Ricas Novas. Il contenuto è quello della sola ultima strofe :

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La testa del cors san trametray veramen
lay en Jherusalem, on Dieus pres naysemen,
lay a. Saudan de.l Cayre, s'el pren batejamen,
e presenti. la testa, may estiers la.y defen.
E Guy de Guibelhet, car a fin pretz valen,
garde be la vertut per la payana gen.

E si reys d'Acre y ven, lays cobeitat d'argen
e sia larcx e pros e gart ben lo prezen.

L'interpretazione proposta dal De Lollis, a considerarla con un po' d'attenzione, si mostra in piú parti erronea. Comincia egli dal ritenere che il Bremon rinfacci a Gui de Giblet la fama di avaro. Ma dove? Se, invece, lo loda di fin pregio valente! Egli fa di Gui il soggetto principale, non solo della penultima coppia di versi, ma anche dell'ultima, attribuendo all'autore questa singolarissima opinione: che Gui avrebbe dovuto cessar d'essere cupido di danaro, diventar liberale e prode, nel solo caso che il re di Acri, o da Acri il re, fosse andato a Gerusalemme. Ma come mai Gui apparirebbe già fornito di fin pregio nella penultima coppia, e nell'ultima poi dovrebbe acquistar pregio soltanto a condizione dell'andata del re? Nella penultima Gui, senza restrizione di sorta, anzi con lode, che attesta fiducia, riceve l'esortazione a custodir bene la reliquia contro i Pagani; nell'ultima dovrebbe custodir bene il dono nel caso che il re andasse a lui! Il vero è che le due coppie stanno ognuna da sè; che in questa strofe il Bremon procede per enumerazione, come nelle precedenti; che l'esortazione al re di Acri, o che viene da Acri, non ha niente a che fare con l'esortazione a Gui.

In questo re il De Lollis, proseguendo, vorrebbe vedere "Tebaldo di Navarra che, a capo del suo esercito, nel quale si contavano anche molti signori della Francia meridionale, giungeva in Acri il 1° settembre 1239, in Acri si ripiegò dopo l'esito infelice delle sue parecchie sortite, e da Acri, re infecta, ripartí verso la metà del settembre 1240,. A quanto pare, ci troveveremmo innanzi a un'inversione: se il re d' Acri vi viene, avrebbe detto il Bremon, volendo dire invece: se il re vi viene da Acri. Il re! E quando, o come, quel Tebaldo, que valia mais coms que reys secondo Sordello, si acquistò il diritto e il vanto di esser detto il re per antonomasia? Ed è permesso supporre che d'Acre non sia specificazione di .l reys, né per regola

petentes, in assumptione Virginis gloriose aquilarum imperii signis explicitis in pratis Auguste temptoria nostra defiximus, ibidem collecto totius Germanie magnifico potentatu continuatis dietis Latii terminos revisuri WINKELMANN, Acta Imperii ined., I, 340.

generale, né per il fatto particolare che nella stessa poesia altri sovrani son indicati in modo analogo, o allo stesso modo il reys cui es Paris, il Saudan del Cayre, il reys de Navarra? Appunto nella terza strofe Tebaldo di Champagne re di Navarra aveva già avuto il fatto suo:

e se.l reys de Navarra y ven, sapcha de plan,

si non es larcx e pros, jes del cors non veiran.

Perché ricomparirebbe, all' ultimo, un' altra volta? Perché il Bremon non avrebbe seguito l'esempio di Sordello e di Bertrando da La Manon, i quali ne' loro pianti nominarono una volta sola l'uno i sovrani, l'altro le dame, a cui vollero distribuito il cuore di Blacas? Lo Springer opina che per il re d'Acri si debba intendere l'imperatore Federico II, non già il figlio di lui Corrado, nato soltanto nel 1228. Ma, prima di tutto, benché nato nel 1228, Corrado, non più tardi del 1238, scendeva dalla Germania in Italia "cum principibus et exercitu copioso In secondo luogo, il Bremon aveva parlato di Federico nella prima strofe, e non s'intenderebbe perché l'imperatore, il quale in quella è invitato a costruire una cappella in Roma per un pezzo del corpo di Blacas, dovesse nell'ultima ricomparire come semplice re di Acri sollecitato a custodir bene in Terra Santa un altro pezzo. In terzo luogo, a Corrado, perché figliuolo di Iolanda, spettava il regno di Gerusalemme; il papa non revocava in dubbio ipsius Regni proprietatem ad dictum Corradum pertinere; Federico non tralasciava occasione di ricordarlo e di affermarlo, p. es. nel 1236: "incrementum negotii Terre Sancte, que velut Cunradi karissimi filii nostri materna successio etc. Quando nel 1239 i crociati, e il re Tebaldo di Navarra con essi, si accingevano a partire, Federico, con frequenti lettere e per mezzo d'inviati li esortò ad aspettare, perché a tempo piú adatto egli stesso, ovvero Corrado suo figlio ed erede del regno di Gerusalemme, li avrebbe guidati e accompagnati.

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"Ad ogni modo aggiunge il De Lollis, "nella stanza sopra citata Geruselemme appar nelle mani degli Infedeli: e fu difatti occupata da Malik anNasir, principe di Kerak, nell'autunno del 1239 subito dopo i primi insuccessi della crociata di Tebaldo, e la proposta burlesca al Sultano del Cairo (nominato qui, per sineddoche, come il principale rappresentante dell'oriente saraceno) di prendere il battesimo non può non essere un' eco di quella che si disse fatta sul serio precisamente in quel torno di tempo da Malik al-Muzaffar di Hamah, e da Malik as-Salich Ismail, sultano di Damasco, di divenir appunto cristiani .. Nella stanza del Bremon Gerusalemme non appare caduta nelle mani degl'infedeli: se ciò fosse già avvenuto, in qual modo Gui di Guibelhet avrebbe potuto difendere, contro i Saraceni, la testa di Blacas mandata a Gerusalemme? Anche nelle altre strofe altri pezzi del corpo sono af

Das Altprovenzalische Klagelied; Berlin, Vogts, 1895, p. 100 segg. LO SPRINGER traduce cosí il v. 7 della st. 5: "Und wenn der König von Acre dahin kommt, so lasse er die Geldgier e separa l'esortazione a Gui da quella rivolta al re.

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fidati alla custodia di determinate persone all' imperatore, al re di Francia, al re di Castiglia e il trovatore esorta popoli e principi, in un cert'ordine tra geografico e politico, a recarsi a venerarli. Ragionando a modo del De Lollis, dovremmo conchiudere che Roma, nel 1240, fosse già caduta nelle mani di Federico II. Infine, ic non so dei due Malik, né il De Lollis indica fonti de' suoi si disse; ma fu veramente creduto, e, secondo Matteo Paris, Federico II ne aveva concepito buone speranze, Malek Kamel sultano del Cairo e di Babilonia, ben noto per lungo e glorioso regno e per la sua amicizia con l'imperatore, baptismi sacramentum suscepturum et christianitatem per eum magnum aliquando suscipere feliciter incrementum,. Malek-Kamel mori nel 1238; prima della morte di lui fu composta la "parodía, del Bremon e, a maggior ragione non occorrerebbe dirlo il pianto di Sordello.

V.

-

Ci resta la cobla, che a Sordello il quale si doleva di giacere ammalato essendo povero e trattato male dal suo signore, dall'amore e dall'amica 2 mandò in risposta il signore appunto, di cui tace il nome il manoscritto: Sordello dice male di me, e far non lo dovrebbe, che io l'ho sempre avuto caro, ed onorato: gli donai gualchiera e molino ed altra possessione, e gli detti moglie tale quale la desiderava „. La traduzione è del De Lollis, ed è sua l'osservazione seguente: "Palena, villaggio che al dí d'oggi conta quattromila abitanti, e serba ancora qualche avanzo dell'antico castello, andò famoso, fino a pochi anni fa, per l'industria della fabbricazione di panni: e i signori feudali che l'ebber sotto di sé esercitarono dei diritti sulle rendite delle tintorie e delle gualchiere „. Il riscontro dell'allusione a una gualchiera, ne' versi del signore, col fatto ben certo che Sordello ebbe da Carlo d'Angiò, con altri castelli, Palena, dove erano gualchiere, è veramente singolare; ma non può servire a dimostrare che, dunque, il signore poeta fu Carlo d'Angiò, e nemmeno che queste due strofe furono composte in Italia, quando il conte di Provenza era già divenuto re di Sicilia. Ammesso, infatti, per un momento, che la gualchiera ricordata dal signore fosse una di quelle di Palena, bisognerebbe collocare la composizione della cobla dopo la

1 Cfr. DEL GIUDICE, Riccardo Filangieri, ecc. nell'Arch. Stor. per le Prov. Napol., XVI, 475, 703, ecc. Posso ingannarmi, ma ritengo si sia dato troppo peso alla domanda :

com far lo porria

hom q'es paubre d'aver et es malatz tot dia,

et es mal de seignor e d'amor e d'amia?

Ritengo non si debbano intendere scrupolosamente alla lettera versi, ne' quali non è difficile sentire reminiscenze e distinguer frasi fatte.

Mas vos ai vist cent vetz per Lombardia

anar a pe, a lei de croi ioglar.

paubre d'aver e malastruc d'amia,

aveva detto, tanti anni prima, Alberto Malaspina a Rambaldo.

donazione di Palena, dopo il 30 giugno 1269. Ma già il 5 marzo dell'anno stesso Carlo aveva donato al trovatore i castelli di Monte Odorisio, Monte San Silvestro, Paglieta, Pila e Casale Castiglione, che “valevan complessivamente centocinquantasette lire,; il 21 maggio gli aveva anche donato il castello di Civitaquana "con tutte le sue dipendenze di vassalli e diritti feudali,, e, non sappiamo quanto, il feudo di Ginestra; il 30 giugno permise che, in cambio di Monte Silvestro, Pila e Paglieta, il trovatore avesse Palena e potesse trasmetterla a' suoi discendenti. Dopo il 30 giugno Sordello possedeva cinque castelli, i quali " rappresentavano, presi tutti insieme, il valore di once dugento". Or, appunto dopo il 30 giugno, si sarebbe egli lamentato di essere paubre d'aver? Chi vorrà crederlo? E si badi: il signore, invece di rinfacciare al troppo ingordo vassallo la donazione di ben cinque castelli - con uomini, case, vigne, terre colte e incolte, pianure, montagne, prati, boschi, pascoli, mulini, acque e corsi d'acqua, diritti, giurisdizioni e pertinenze, come è detto nei documenti si restringe a ricordare soltanto:

donei li fol, molin, e autra manentia.

O, dunque, il signore non è Carlo, o la cobla è anteriore al 30 giugno, e per conseguenza non allude a Palena. E che il signore non possa esser Carlo, si vede meglio se si riflette che non ci restano poesie in provenzale, le quali a lui sieno sicuramente attribuite — una cobla, della quale lo credé autore lo Chabaneau, fu composta da Raimondo Berlinghieri nel 1238, sotto Brescia 1 — e se si ricorda che lo scapato conte di Angiò, divenuto già da molti anni ipocrita e bacchettone, era nel 1269 il severo e taciturno re di Sicilia. In altre parole, se, da giovine, Carlo era stato uno sfrenato giocatore, un focoso corteggiatore di donne, e, dicono, a tempo e a luogo aveva anche sacrificato alla musa; dopo Benevento, dopo Tagliacozzo, alla vigilia di Tunisi, dovette aver ben altre cure da quella di rimbeccare per le rime un'accusa abbastanza indeterminata, del resto, fattagli in versi. D'altra parte, una delle antiche biografie del trovatore trasse da queste strofe la prova della buona accoglienza, degli onori e de' doni, che egli in Provenza ebbe dal conte Raimondo Berlinghieri e dalla contessa, non da Carlo d'Angiò. E il biografo era "bene informato „. "Gli detti moglie tale quale egli la desiderava, dice il signore, e il De Lollis avverte doversi intendere qui" un matrimonio di affare „, che Sordello, poté contrarre "a sessant'anni e anche dopo „ Sia pure; ma Sordello, dal canto suo, allude a pene di amore, le quali, in verità, sembrano sconvenienti ad uomo giunto al limitare della vecchiezza; tanto più che, povero e malato, non poteva egli giovarsi degli argomenti usati da Americo di Pegulhan nel

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È in risposta a una di B. da Lamanon e dice che esso conte a capo de' suoi muoverà in armi contro uno steccato" quando vedrà entrati i Cremonesi, se il portinaio non dice di no Qui si allude alla resistenza de' Bresciani. Lo Chabaneau non si domandato se mai Carlo d'Angiò, mentre fu conte di Provenza, si trovasse a combattere insieme con Cremonesi. Questi erano numerosi, lo notai altrove, nell' esercito di Federico II, che assediò Brescia, in cui si trovavano anche R. Berlinghieri e non pochi provenzali.

fablel. Però nel giugno del 1269 il trovatore avrebbe dovuto contare piú di sessanta inverni, se fosse vero che "verso il 1220, era stato a Firenze e vi aveva composto la cobla contro il Figueira; altrimenti dovremmo credere l'impossibile, ossia che a soli dieci o undici anni egli fosse andato in Toscana, che a soli dieci o undici anni avesse saputo già cosí bene la lingua e la versificazione provenzale, da potere tener fronte in un duello poetico a un maestro nell'una e nell' altra valentissimo! Il De Lollis, frastornato dal rumore delle gualchiere abruzzesi, s'è lasciato sfuggire dalla memoria una delle sue stesse affermazioni, e non delle meno studiate.

Il Fauriel prima, poi altri, da ultimo il Merkel riferirono lo scambio di coble tra Sordello e Carlo d'Angiò all' anno 1266, quando il primo si trovò davvero infermo e forse prigioniero in Novara; il De Lollis non mostra di distinguer nettamente, ed è necessario, il fatto documentato di quella infermità o prigionía, dal fatto egualmente documentato, ma avvenuto non meno di tre anni dopo, della donazione di Palena. Poniamo che, non nel 1269, ma nel 1266 il trovatore avesse avuto l'età di circa sessant'anni; resta sempre difficile ad ammettere che egli, nato verso il 1206, di soli tredici o quattordici anni, avesse potuto, in Firenze, esser compagno di trovatori assai piú attempati, frequentare con essi le osterie, con essi litigare, dare colpi e riceverne, a uno di essi scagliare un fiero epigramma in lingua provenzale. แ E si ricordi che non verso il 1220, bensi verso il 1216 A. di Pegulhan paragonò Federico II a un buon medico di Salerno! Ma nell'autunno del 1266 Sordello poteva muovere a Carlo rimprovero assai piú preciso e piú fiero di quello contenuto nella frase "hom q'es mal de seignor„; nell' autunno del 1266 Carlo non poteva rispondere d'aver fatto per lui quanto bastava, né dir di lui

un'ingiuria

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mais fols es e ennojos e es plens de follia,
qil dones un contat, grat no li'n sentiría;

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nell'autunno del 1266 Carlo non doveva rispondere a' lamenti del solo trovatore, ma anche agli ammonimenti severi del papa. Langue in Novara il tuo cavaliere Sordello, che, anche se non avesse di te meritato, sarebbe da acquistare, e tanto piú è da redimere pei meriti che ha verso di te, scriveva Clemente IV, al novello re, il 22 settembre. Una scrollatina di spalle, un accenno sdegnoso "gli ho dato gualchiera, mulino, terre e moglie 'egli è folle, noioso, pieno di mattia; a chi gli desse una contea, non sarebbe grato, tutto questo non risponde alla condizione vera di Sordello rispetto a Carlo nell'autunno del 1266. Quel folle noioso pieno di mattia, era, a giudizio del papa, emendus immeritus nedum pro meritis redimendus; quell'importuno scontento, che aveva ricevuto in dono terre, gualchiera e mulino, languiva a Novara, per aver servito, o nonostante che avesse servito il vincitor di Manfredi, languiva forse in prigione, o, peggio, in un ospedale. Rispetto a' meriti recentissimi e alle gravi strettezze presenti di Sordello, qual valore materiale e morale rappresentavano i doni d'una gual

Giornale dantesco, IV [N. s., vol. I].

Quad. I-II.

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