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Cronache dello storico insigne, legati un coll'altro da un sommario continuo. I passi, scelti dal traduttore, sono quelli che meglio contribuiscono ad illustrare il sacro Poema.

Dalla buona accoglienza di cui il pubblico gli è stato largo fin dalla nsa prima costituzione, il Comitato milanese della Società dantesca italiana trae incoraggiamento a proseguire nell'opera sua: e mantenendo la promessa fatta riprenderà nel corso di quest'anno la serie delle conferenze già iniziata nello scorso aprile dal socio prof. Franc. Novati. Le conferenze saranno le seguenti: M. Scherillo. Ciacco; G. A. Venturi. Firenze e i fiorentini nella divina Commedia; A. Graf. La modernità di Dante; L. Rocca. La divul gazione della divina Commedia; i primi studi e i primi commenti; G. Zuccante. Il concetto e il sentimento della natura in Dante; C. De Lollis. Dante ed i poeti provenzali. Insieme colla serie delle conferenze ne sarà tenuta un'altra di letture con commenti estetici di qualche brano del Poema, che saranno fatte dai soci G. Giacosa ed E. Marchi. Delle conferenze il Gior nale dantesco darà diligentemente conto, volta a volta, ai suoi lettori.

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Il prof. G. Franciosi ci annunzia che anche quest'anno terrà un corso di conferenze dantesche nella sala della Palombella in Roma, svolgendo questo programma: 1° Il volto di Dante nell'arte sua; 2° Se Dante sia Minerva oscura,; 30 La rampogna nel Poema di Dante; 4° Come Dante seppe ammirare; 5o Le ricordanze della terra nella mente dei perduti; 6o Rapimenti, sogni e visioni su per la montagna rinnovatrice; 7o I fantasmi nella rappresentazione dell' infallibile; 8° Il sole nel poema sacro; 9° Del sublime nell'arte umana e specialmente nell'arte dantesca; 10°-11° Scienza ed arte nella Vita nuova e nelle canzoni del Convito e della Commedia; 12° Ragione e fede in Dante e nel suo poema; 13°-14° L'arte dantesca al paragone della realità; 150 Dante e l'Italia nel rinnovamento dei tempi.

Con l'animo addolorato annunziamo la morte del canonico prof. FERDINANDO SAVINI, rettore del Seminario di Ravenna, avvenuta il 4 di ottobre alla Coccolia, dove il dabben uomo erasi recato, ospite del conte Alfonso Della TorreArrigoni, a cercar rimedio a' suoi mali. Fra le incessanti cure del ministerio sacerdotale e quelle dell'insegnamento, il canonico Savini trovò sempre tempo da dedicare allo studio di Dante; e gli scritti suoi, quantunque tutti concepiti con intendimento quasi esclusivamente cattolico, possono essere letti con qualche profitto anche da chi non si trovi in tutto d'accordo con le idee religiose e politiche dell'autore. Anima semplice e schietta, pio sacerdote, galantuomo e dotto, lascia di sé cara ed onorata memoria.

Proprietà letteraria.

Città di Castello, Stab. S. Lapi, ottobre-novembre 1896.

G. L. PASSERINI, direttore.

LEO S. OLSCHKI, editore-proprietario, responsabile.

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Il Cesareo ha fatto anche dei confronti tra il Canzoniere del Petrarca e le Rime di Dante non comprese nella Vita Nuova. Concediamo che alcuni di essi, pochi però, possan provare che il Petrarca qualche volta si ricordasse di Dante, o a questo inconsciamente s' ispirasse; ma crediamo che gli altri, e sono i più, o non provano ciò, perché comunissimi i pensieri ravvicinati, o non hanno ragion d'essere, perché dissimili i detti pensieri. Ci limitiamo a dar degli esempi, ché la via lunga ne sospinge.

Tutti conoscono il bel madrigale del Petrarca:

Or vedi, Amor, che giovenetta donna

tuo regno sprezza, e del mio mal non cura;

e tra duo ta' nemici é sí secura.

Tu se' armato, ed ella in trecce e in gonna

si siede e scalza in mezzo i fiori e l'erba,
ver me spietata e 'ncontr'a te superba.
I' son pregion; ma, se pietà ancor serba
l'arco tuo saldo e qualcuna saetta,

fa di te e di me, signor, vendetta.

Or bene, il Cesareo opina che i primi versi siano parafrasi di questi di Dante:

Amor, tu vedi ben, che questa donna

la tua virtú non cura in alcun tempo;

e gli ultimi di questi altri (canz. Cosi nel mio parlar, fine):

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Certo, v'ha somiglianza tra la mossa del Petrarca e quella di Dante, ma può essere casuale. Questi sapeva forse di ripetere sé stesso quando nel congedo della canz. Morte, poich' io scrisse:

Canzon, tu vedi ben com'è sottile...?

Osserviamo poi, che l'idea fondamentale del madrigale, trovarsi l'amata sicura fra due nemici, in Dante manca, e tutte le altre si svolgono in relazione a quella: Laura sprezza Amore e l'amante; è superba contro l'uno, spietata verso l'altro; Amore farà vendetta di sé e dell'amante. Cosicché la corrispondenza tra i due poeti si limiterebbe ai seguenti pensieri staccati, che la donna sprezza Amore, e che di lei bisogna vendicarsi: pensieri, come ognuno sa, comunissimi nell'antica poesia, oltre che il secondo di essi viene espresso diversamente dai due poeti: per Dante farà vendetta la canzone, Amore stesso pel Petrarca.

Si direbbe anzi che questi s'ispiras se piuttosto ad alcuni versi di Guittone o ad altri provenzali citati dal Nannucci. Quel buon frate cantò,1 rivolgendosi pure al potente Dio:

Amor, certo torto hai,

e par poco savere
voler tu ritenere

tal che ti spregia assai,

e chi ver te s'orgoglia;

e me, che di gran voglia

tuo servidor mi fone,

pur sdegni, onde morrone.

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E un trovatore: 2 "perché me che trovate vinto, umile e di buona fede, cader fate innanzi a sé; e lei che gira lo scudo verso voi né vi blandisce, non volete stringer tanto che l'orgoglio abbassi, e verso voi si umili L'idea della vendetta poi è espressa, per es., nel 54° dei 61 sonetti che G. Salvadori attribuisce al Cavalcanti; e nel Reggimento, pag. 153, là dove il Re, alludendo alla Reina, dice:

Non fu tradita, ma, per far vendetta,
trassi inver lei quella nova saetta;

e mentre ch'ella nommi rende il furto,

i' penserò di fedirla più forte;

e nei Documenti, proemio, pag. 3, dove, parlando delle ancelle ch'Amore ha nella sua ròcca, il Barberino dice:

NANNUCCI, I, pag. 176.
Ibi, in nota.

L'altre che piú giú pono,

tuttor apparecchiate

son, se fosser chiamate

a dar consiglio, soccorso, o vendetta.

Talvolta è l'amante che vuol far vendetta di Amore. Bernardo di Ventadorn esclama: "Oh, s'io potessi averlo alle mani, per Cristo, ben ne farei vendetta crudele e M. Onesto: 2

n

Ché, senza millentar, me do bon vanto

vendicerei chi é stato amadore.

Del resto, il Petrarca esprime assai spesso e variamente quell'idea: son. Per far..., canz. Verdi panni, 19; Tr. d. Am. II, 131-2; 7r. d. Pud. 125.

Dante nella quarta strofe della canzone E' m'incresce, volendo dire che il desire gli fa minor dolore per l'affievolimento de' suoi sensi, e perciò per la previsione della prossima fine dei suoi guai,, canta:

Avvegna che men duole,

perocché 'l mio sentire è meno assai,

ed è più presso al terminar de' guai.

Il Petrarca nella canz. I'vo pensando, v. 115 segg. vuol dire che, giunto vicino a morte, per la vergogna e per il dolore del passato ha pensato di mettersi nella retta via, ma ne è distratto da una forte passione:

3

variarsi il pelo

veggio, e dentro cangiarsi ogni desire.

E da l'un lato punge

vergogna e duol, che 'ndietro mi rivolve;
da l'altro non m'assolve

un piacer per usanza in me sí forte

ch'a patteggiar n'ardisce co' la morte.

Si può dire sul serio che questi versi derivino dai danteschi innanzi citati, se con essi non hanno comune un pensiero, tranne quello della morte vicina, sorto, peraltro, nella mente del Petrarca alla vista dei capelli bianchi, in quella di Dante per l'affievolimento dei sensi?

Chi si faccia a leggere il commento al Canzoniere, per esempio, dello Scartazzini, non può non restare maravigliato della frequenza con cui vi è ricordata la Commedia di Dante quando le opere degli altri poeti del tempo, salvo rari casi, non sono menzionate mai. Né può dirsi che là si trovi citato Dante sol perché egli è il capo di tutti quelli e può tutti rappresentarli; no, giacché da parecchie note appare che lo Scartazzini, seguendo in ciò i suoi predecessori, vuole indicar proprio il modello del Petrarca.

Il verso con cui comincia il sonetto IX di questo:

Quando 'l pianeta che distingue l'ore

1 CARDUCCI, Un poeta d'amore, ecc. loe. cit., pag. 427.

2 Rime dei poeti bologn., ed. cit., pag. 92.

3 CESAREO, op. cit., pag, 496.

388

parrebbe aperta imitazione del dantesco (Par., X. 30):

E col suo lume il tempo ne misura.

Ebbene, sentite i primi versi di una canzone attribuita al Guinicelli:'

La bella stella, che il tempo misura,
sembra la donna che m'ha innamorato.

Nel son. Quando fra l'altre, il Petrarca dice all'anima :

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Me degno a ciò né io né altri il crede.

Non sosterremo che la locuzione degno ad una cosa sia frequente, ma non è necessario che il Petrarca la apprendesse dall'Alighieri, se, per es., nel Reggimento la trovava almeno tre volte:

ed. cit. pag. 221

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dengnio io sono attanto.

ed ongni amico non è dengnio al nome.
loco dengnio allei.

Il Petrarca nel son. XLVII dice:

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'I loco ov'io fui giunto

da duo begli occhi, che legato m'anno.

E nell'Inferno, XXII, 126, Alichino, inseguendo Ciampolo, gli grida: Tu se' giunto. Senonché, Brunetto aveva cantato (Tesoretto, XIX, 208): *

Chosí fui giunto, lasso,

e messo in mala parte;

3

e un altro poeta, forse Lapo Gianni, 3 nella canz. Amore, i prego, v. 17:

cosí mi giungi e prendi.

Se mai, il Petrarca sarebbe più simile a Brunetto e a Lapo che non all'Alighieri.

1 Rime dei poeti bologn., ed. cit., pag. 52.

2

Seguo l'edizione del Wiese, in Zeitschrift f. rom. Phil., VII, 236 segg.

3 Ed. cit., pag. 74.

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