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gueira l'aveva assalito. Or, si capirebbe un serventese, come quelli di Pietro Bremon, contro un trovatore già rinomato, favorito nelle corti, idolo delle dame, ricco; non si capisce potesse offrir argomento e materia a un serventese Sordello " verso il 1220,, quando era ancora giovanissimo, ignoto ai piú, quasi direi povero principiante. E piú giovine, men noto, meno esperto ce lo dobbiam figurare, se consideriamo che l'allusione alla poesia di A. di Pegulhan, nella prima cobla del Figueira, risale a parecchi anni avanti il 1220, e non soltanto al 1218, come fu opinione del Diez, accettata dal De Lollis. Fu un errore del grande filologo giudicare che, solo dopo la morte di Ottone IV, Amerigo si fosse accinto a cantar le lodi di Federico. La potenza di Ottone, già prostrata alla battaglia di Bouvines nel 1214, un anno dopo era spenta : vivo ancora lui, ma ritirato nel ducato di Brunswick, il giovine suo avversario, che non volle dargli molestia, aveva cinto la corona di Germania il 24 luglio 1215: quattro mesi dopo, il concilio lateranense aveva confermato la deposizione di Ottone, approvato l'elezione di Federico a re de' Romani. Da quel tempo Ottone IV non fu se non un nome e una memoria: né Arrigo, né altri ebbero ad aspettare il 19 maggio 1218 per congratularsi con il "conquistatore dell'impero alemanno „. Il De Lollis approva lo Chabaneau, che lascia oscillare tra gli anni 1215 e 1216 i serventesi di Tomiers e Palaisi; ma appunto in uno di que' serventesi (De chantar) non si legge forse: E se Frederics, q'es reis d'Alamaigna, soffre que Lois,

son emperi fraingna, ecc.?

Contro il mio ragionamento starebbe un'asserzione del Cornicelius, ' se avesse ombra di verità. Egli asserisce che don Diego Lopez di Haro, figliuolo del conte don Lope Herrn von Viscaya, dopo la morte di Alfonso VIII re di Castiglia (1214) non solo stette dalla parte della reggente Berenguela sorella dell'erede del trono Enrico I, ma anche, quando quest'ultimo inaspettatamente, per un accidente, ebbe perduto la vita nel 1217, parteggiò per Ferdinando III figliuolo di Berenguela, fu der Vorkämpfer der Legitimität. Or, se don Diego fosse stato ancora di questo mondo nel 1217, la data del serventese, nel quale Amerigo lo pianse morto, dovrebbe esser necessariamente abbassata verso il 1218. Ma è poi vero? Io ho consultato il Lafuente a' luoghi indicati dal Cornicelius, e non ho trovato niente di simile. Quegli, che, con altri nobili signori, supplicò donna Berenguela di andare in Castiglia ad assumere la tutela del re fanciullo don Enrico I, fu don Lope Diaz de Haro señor de Viscaya, non già don Diego Lopez: morto il fratello, donna Berenguela mandò al marito don Alfonso re di Léon, perché le inviasse il loro figliuoletto don Ferdinando, in favore del quale ella si apprestava nobilmente a rinunziare a' propri diritti, — mandò, dico, sus mayo

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So fo e 'l temps com era iays, nov. v. R. Vidal; Berlin, 1888, pag. 94.
Historia General de España; Barcelona, Montaner y Simon, 1888, vol. III, cap. XII,

pagg. 379-380; vol. IV, pag. 32.

res confidientes, don Gonzalo Ruiz Giron e don Lope de Haro. Questo stesso don Lope Diaz de Haro, difese nel 1217 Burgos contro l'esercito del re di Léon. Il Cornicelius, leggendo con troppo poca attenzione il Lafuente, ha confuso il figlio col padre, ha attribuito a don Diego Lopez i fatti di don Lope Diaz e, ciò facendo, ha creduto recar forza di nuove prove all'ipotesi sbagliata del Diez. Or va e fidati degli eruditi, anche tedeschi!

Ciò posto in sodo, giacché il De Lollis riconosce che, nella cobla del Figueira, l'allusione alla poesia del Pegulhan, "pel tono con cui è fatta, non lascia dubbio che questa fosse di data recente, e fresca perciò nella memoria di tutti,; deve anche ammettere che la data della cobla non può esser di molto posteriore alla incoronazione di Federico in Aquisgrana. Ma nel 1215 o nel 1216, non che pensare a viaggi in Toscana, Sordello tirava sassi ai passerotti di Goito. Non lo dico io, lo dicono quei dottissimi, che nel 1266, o nel 1269, gli assegnano soltanto una sessantina d'anni; quei dottissimi, che, certamente, negli anni della loro fanciullezza impararono a fare la sottrazione nelle scuole elementari.

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Lo Schultz suppose un viaggio di Sordello a Firenze perché pensava che il Pavese, lodando il colpo qe fez capitanis, avesse in sostanza lodato il gentils catanis di Goito, Sordello. Il De Lollis ha tradotto capitanis in Cattaneo nome proprio, un tal Cattaneo, che poté essere lombardo e trovatore non s'è accorto che la sua traduzione mandava all'aria l'ipotesi dello Schultz e tutto il lavoro fatto per obbligare non so quanti trovatori e giullari a trovarsi con Sordello, e a bisticciarsi con lui e tra loro, in una taverna di Firenze verso il 1220 Ricordo per ogni buon fine un Cattaneo di Portarossa fiorentino, presente il 12 febbraio 1216 alla scelta del procuratore del Comune di Firenze nella convenzione stabilita fra esso e quello di Bologna : altri Cattanei toscani viventi nella prima metà del secolo XIII potrei nominare, se ne mettesse conto.

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Un'altra volta A. di Pegulhan narrò d'un colpo di anguistara calato, non sappiamo perché, sul capo di Sordello; e questi rispose per le rime, dando a lui del vecchio buffone, " magro, secco, brutto, zoppo, storpio,. Un colpo d'anguistara? Un "fiasco, sul capo di Sordello? Ma qual luogo per esso piú adatto di una taverna, di una taverna di Firenze, di quella taverna, dove solevan darsi convegno i Giacomini, i Guglielmi, i Cattanei, gli Uggeri? Quale occasione migliore di quella rissa famosa, quando volaron per aria pani e giuncate, e qualche spada fu bagnata di sangue? Cosí ha ragionato il De Lollis, ma se mi permette non ha ricordato che verso il 1220 io direi verso il 1216 Americo non era vecchio; non ha pensato che, proseguendo nel suo lavoro, avrebbe pur dovuto far menzione del pianto composto da Americo, venticinque o trent'anni dopo, per la morte di Raimondo Berlinghieri, avvenuta nel 1245.

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Ed ora, dopo cosí lunga aggirata, torniamo là, onde ci siamo mossi. La cobla mandata da Guglielmo Figueira a Bertrando d'Aurel nel codice è preceduta da due altre. Gui di Cavaillon parla al conte di Tolosa:

Seigner coms, saber volria
cal tenriatz per meglor,
se l'apostoli us rendia
vostra terra per amor,
o se per cavalaria
la conquerez ab honor
suffertan freit e calor,

qu'eu sai ben la cal volria,
s'era homs de tan gran valor
q'el maltraichz torn en legor.

Il conte risponde nobilmente, con le stesse rime: Per Dio, Gui, meglio mi piacerebbe conquistar pregio e valore che alcun'altra ricchezza onde mi venisse disonore: non dico questo contro la Chiesa, né me ne disdico per paura, ché io non voglio né castello, né torre, se non me la conquisto da me, e i miei guerrieri onorati sappiano che il guadagno sarà tutto loro. Ma non sono queste le rime stesse della cobla del Figueira e delle tre seguenti? Non è la stessa misura e la stessa disposizione di versi? Non muove un'interrogazione il Figueira come la muove Gui? Non dice il Figueira: suffertan freit e langor, ossia, non ripete quasi interamente (anzi interamente, se il Levy ha ragione di credere la lezione giusta sia freit e calor), non ripete un verso di Gui: suffertan freit e calor? Oh, dunque, queste prime due non servirono di modello alle altre quattro? Certamente servirono. Forse al Figueira piacque volgere in parodia la cobla di Gui, come piú tardi a B. da Lamanon parodiare il pianto di Sordello: forse egli volle giovarsi della popolarità, che ragioni politiche procurarono alla domanda di Gui e alla risposta del conte, e, adattando nella forma di esse il suo epigramma contro Americo, diffonderlo più facilmente, per la diversità della contenenza e del tono farlo meglio gustare. Narra l'antica Chronique des Albigeois che Raimondo VII ancor giovinetto, venuto a Roma nel 1215, ebbe a dire al papa Innocenzo III: "Senher, se pody ma terra recobrar sus lo conte de Montfort e aquelz que la me tenen, preguy te, senhor, que no te sapia mal, ny contra my no sias corrosat Sono i concetti e quasi le parole delle due coble; a queste, per conseguenza, si può assegnare la data del 1216. Il titolo di conte dato al giovinetto Raimondo non obbliga a cercare più tardi l'occasione dell' apostrofe di Guido e checché se ne sia detto a crederla diretta al padre di lui: non solo fin dal 1216 la Chronique des Albigeois in prosa e il poema lo chiamano el comt, le comte jove; ma egli stesso, in un diploma di quell'anno, s'intitola comes juvenis Tholosac: circostanza non insignificante, il diploma è rilasciato presente Guido de Cavellione, 1 Ecco un altro argomento da opporre a chi giudica composte le coble di Sordello al tempo, in cui il Figueira assali il Pegulhan, e quest'ultimo propalò la notizia della ferita toccata all'avversario per mano di Auzers.

tanto meno

པར ༤

Il Mantovano descrisse Americo vecchio, con trista cera, magro, pieno di

Hist. gén. de Lang., VIII, 114, 695.

SORDELLO

acciacchi. Proprio a lui, una volta, quando non ancora aveva lasciato la Marca, Americo mandò, con espressioni di rispetto e di simpatia, un suo fablel, un componimento in versi senza musica:

Messagier, porta mon fablel

en la Marca tost a 'N Sordel,

qe.m fassa iuiament noel,
leial aisi com es usaz,

q'eu sia desencolpats.

Si noti: la fama del trovatore di Goito s'era sparsa fuori della Marca come quella di uomo, nella lealtà del quale si poteva porre intera fiducia; al valore poetico di lui tributava spontaneamente omaggio di stima uno de' principali poeti provenzali del tempo. Una donna aveva pregato e ammonito Americo di lasciare amori e canti da che era divenuto troppo vecchio; nel fablel egli confutava lungamente il giudizio di lei, millantando le doti del suo ingegno, l'agilità e la forza delle sue membra. Ma si sarebbe egli diretto a Sordello, come a giudice autorevole ed imparziale, se questi qualche anno prima lo avesse appunto raffigurato vecchio, infiacchito, storpio e, perciò, impotente a far ciò, di cui piú menava vanto armarsi, e armato montar a cavallo, maneggiar lancia e mazza, vincere in battaglie o in giostra? Sembra, invece, piú verisimile che la loro inimicizia nascesse più tardi, quando avevan già avuto occasione d'incontrarsi fuori della Marca. Forse essa principiò dopo che il Pegulhan ebbe la cattiva idea di alludere a Sordello nel serventese, in cui censurò la troppa facilità delle corti del Piemonte ad accogliere vili giullaretti novellini, sí che, diceva, "i morditori sono già due per ognun di noi, (si ricordi Ciacco " non del tutto uom di corte, ma morditore, nella novella di Boccaccio). E proseguiva: "Mi rincresce che trovino accoglienza senza ostacolo: non dico questo contro il signor Sordello, ché egli non è di cotal risma, e non va attorno per buscarsi da vivere a guisa di podestà, ma quando mancano gli usurai, egli non può fare al gioco né cinquina, né terno Certamente l'allusione non poteva riescir gradita

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1 Qui è un verso di significato oscuro:

ni nois vai ges percassan

si co. il cavallier doctor,

che anche il WITTHOEFT (Sirventes joglaresc; Marburg, 1891, pag. 31) non è riuscito a capir bene. Io mi sono ricordato di un passo del Sacchetti, nov. CLIII: "Come risiede bene che uno iudice per poter andare rettore si faccia cavaliere! E non dico che la scienza non istea bene al cavaliere, ma scienza reale senza guadagno, senza stare a leggio a dare consigli, senza andare avvocatore a' palagi de' rettori. Ecco bello esercizio cavalleresco! Ma e' ci ha peggio, che li notai si fanno cavalieri, e piú su; e 'l pennaiuolo si converte in aurea coltellesca Folchetto di Romans (Quan cug) usò una volta, per termine di similitudine, il frequente mutarsi de' podestà ne' Comuni italiani:

e mudes om los rics malvatz
cum fan Lombart las poestatz.

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Seguo nell'attribuzione del serventese il ZENKER (Die Gedichte des F. v. Romans; Halle, Niemeyer, pag. 59); il LEVY lo pubblicò tra quelli del Figueira (G. F. ein provenz. Troubadour ; Berlin, Liebrecht, pag. 71).

* Non pot far cinc ni sieis terna. B. de Born dice: "Poi che la regina d'Amore mi ha preso per amante, be posc far cinc e il terna„. Non pare, dal confronto de' due passi, che terna si

al Mantovano; ma non è cosi grave, non cosí offensiva com'è parsa al De Lollis. Giacché, se il Pegulhan nomina primo, Sordello, lo fa per non confonderlo con la turba de' volgarissimi parassiti cagione del suo sdegno; né lo gabella per insigne giocatore e piantatore di chiodi. Il tono de' versi è molto meno enfatico: a ogni modo, sappiamo da essi che a Sordello piaceva il gioco; ma sappiamo pure che, per soddisfare la sua passione, contraeva debiti, quando ne aveva bisogno, non implorava la carità altrui, e manteneva il decoro di cavaliere, Questa sua passione pel gioco è attestata anche da una strofe d'ignoto autore: "Perdono di buona voglia al signor Sordello tutte quante le offese, che mi ha fatte in quest' anno, perché egli stesso, giocando, farà le mie vendette, e non mi cale ucciderlo di coltello. So bene ch'egli si è giocati ambedue i suoi palafreni e il suo destriero, tutti e tre. Se giunge a fiume, dove non sia né guado, né ponte, è costretto a spogliarsi e „.... lascerò il resto nella penna. Secondo il De Lollis, “la rilevanza della perdita di tre cavalli mostra soltanto che i diritti di giulleria di Sordello erano molto elevati e che, dunque, sin dall'inizio della sua carriera, i meriti trovadorici di lui eran tutt'altro che scarsi Meno male; ma non c'è ragione alcuna di riferire i versi dell' anonimo al tempo che Sordello faceva le prime armi, come abbiam veduto non potersi a quel tempo riferire lo scambio di cobbole ingiuriose, tra lui e il Pegulhan, le quali in un codice stanno vicine a que' versi. Non par credibile, pur essendo cosa comune i doni di cavalli, in Lombardia, che a Sordello i due palafreni e il destriero fossero stati donati. 1 Ma, ancorché li avesse egli ricev uti in dono, a viaggiare con tre cavalli lo induceva, pare, il desiderio di far bella comparsa. Insomma, gli piaceva lo sfarzo, e gli piaceva il gioco un po' troppo; ma aveva il sentimento del decoro, procurava di tener alta la sua dignità.

"

gnifichi "un cattivo punto, in senso assoluto. Il verso di Americo è tradotto dal Witthoeft cosí: dann kann er nicht fünf oder sechs Ternen setzen : ma che vuol dire? Io tradurrei letteralmente: non può fare cinque, né, se esce (si eis, o s'ieis), terno. Infatti, Sordello non poteva vincere al gioco quando gli mancavano danari per puntare.

'Scrive il De Lollis a questo punto: "Raimon d'Avignon nel suo partimen con Raimon de las Salas composto tra il 1216 e il 1218, difendendo la generosità dei Lombardi, ricorda come cosa comune i doni di cavalli,. Vero di cavalli, di drappi e di danari; anche è vero che Raimon de las Salas aveva lodato i Provenzali di donare cavalli e destrieri. Pare il De Lollis voglia intendere: Sordello aveva tre cavalli e che perciò?; peuh! I Lombardi ne regalavano come confetti. Non ha ragione. I palafreni e il destriero di Sordello provano ch'egli non era un giullare, perché ai giullari si regalavano ronzini: vedasi una nota dello stesso De Lollis a p. 27, si consulti la tenzone di Torello con Falconetto e si ricordino le parole di Alberto marchese a Rambaldo: Quegli, che di giullare vi fece cavaliere, vi dette travaglio e noia.... e vi tolse gioia e pregio e allegria: da che montaste di ronzino in destriere, non feriste colpo né di spada, né di lancia Il De Lollis cita anche Palais, "che li dice (i cavalli), parlando anch'egli della Lombardia, distribuiti a garzoni tali che mai non conobbero se non fame, freddo, travagli e disagi,,. Appunto, Palais dice:

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donon raubas e roncins a garços.

Non trovo menzione alcuna del dono di palafreni e di destrieri nei serventesi giullareschi raccolti dal Witthoeft, dove spesso si allude al dono di puledri, di ronzini, di cavalli comuni o di scarto. Bisogna poi far la debita tara agli elogi eccessivi di R. D'Avignone e agli eccessivi dispregi di Palais.

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