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par proprio d'aver innanzi mutilata una formola cento volte ripetuta dai provenzali (lasatz e pres, propriamente: allacciato e preso), la quale potrebbe star di contro a despendre per antitesi, per esempio, cosí :

qu'el pros despendre1 adutz pron ez defeta,

spenda molto, perché

si può credere che al nuovo re Lanfranco dicesse: ciò, ch'è speso largamente, arreca vantaggio e difesa, piú di ciò che si prende e si raduna; bene inteso, non tanto da sprecar tutto. A spiegare l'invio d'una lezioncina di tal sorta, non c'è bisogno di volere già bell'e compiuta la conquista del Regno.

Riassumo. Dal 1268 al 1273 nessuna delle imprese pensate e tentate da Carlo, a parere del Rajna, poté ispirare il serventese di Lanfranco; nessuna ragione seria impedisce supporre che il genovese si rivolgesse a Carlo come a re di Puglia, negli otto mesi, che corsero dal giugno 1265 al febbraio 1266. Se, dunque, Lanfranco in que' mesi mandò la sua poesia a Sordello, è segno che quest'ultimo accompagnò Carlo a Roma e, molto probabilmente, combatté per lui a Benevento.

2

Nel 1268 secondo il Rajna, nel 1269 secondo il De Lollis, Lanfranco

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'La prima strofe del serventese è illeggibile; nella seconda Lanfranco discorre di Riccardo d'Inghilterra, nella terza di Alfonso di Castiglia entrambi aspiranti all' impero nella quarta di Carlo d'Angiò rappresentato insofferente di signore: segue la previsione

quel comtes er lo plus cabalos,

el plus aspres qui anc el segle fos.

Il De Lollis ha opportunamente ricordato atti e scritti, con cui nel 1269 Riccardo e Alfonso ravvivarono le loro pretensioni. Io aggiungerò che il serventese trova luminoso riscontro in alcuni sonetti del Canzoniere Vaticano 3793, i quali ci aiutano a indovinare di chi parlasse Lanfranco nella prima strofe.

Per molta giente par ben che si dica

ca re di Spagna voglia la corona: e 'l buon Riciardo re vi s'afatica né per tema d'alcun no l' abandona. Federico di Stuffo già né mica

par che si cieli secondo che suona....

Di lor venuta fo la gente certa:

fin che Dio salva lo compion Sam Piero
parà a ciascun ben raddoppiar l'offerta.

Le antiche rime volgari; Bologna Zanichelli, IV, 401. Segue un altro sonetto :

Se Federico il terzo e re Riciardo

co lo re di Bueme per atare

intendon ne la corona, già bastardo

nessun di lor de' l'om per ciò chiamare....
Se re di Spagna in la corona intende,

la qual cosa so ben ch'è cierto fatto;
ciascun faragli onor come maggiore

E so ben ca re Carlo non ontende
che si credesse aver co lui baratto;
ma 'n Puglia crede star come minore.

E vien subito dopo un terzo sonetto, nel quale si legge di Carlo:

Di farli incontro ognun ne sia ristío;
ché non si ciela a chi 'l tiene damagio,
ma di presente lo ne fa pentère,

diresse al signor Sordello un altro serventese politico. Cercar l'"origine, dell'omaggio "reso con quel doppio invio dal genovese al mantovano, nelle relazioni personali che i due trovatori potettero stringere in Provenza nel 1241, mi pare, dico schietto, uno sbaglio di metodo; mi ricorda gli Evemeristi, che volevano spiegare tutta la religione greca con gli aneddoti, ricevuti per tradizione o inventati, delle stirpi reali della Grecia. Giove fu un re saggio, e morí nell'isola di Creta, dove, infatti, si può ancora vedere il suo sepolcro; Venere fu regina di Cipro, un po' troppo proclive agli amori; e cosí via. A questo modo non s'intende piú la poesia, né la storia; cacciato da questo materialismo di criteri, che non esito a giudicar esagerazione del metodo storico buono, il più divin s' invola. Ma Dante imaginò l'episodio dell'Antipurgatorio perché, forse, il mantovano, quando capitò a Firenze, nel 1215 o nel 1220, ebbe il piacere di fare la conoscenza personale di Bellincione? Osserva ottimamente il Rajna: "C'è ben motivo di pensare che stavolta Lanfranco sia mosso dall' intendimento di valersi di Sordello per arrivare più facilmente agli orecchi del re. Al re egli sta dunque vicino Ma non avrebbe torto chi aggiungesse che Lanfranco pensò "il doppio invío, perché Sordello era un trovatore già da molti anni celebre. Lo stesso De Lollis, contraddicendosi, riconosce altrove che poeti insigni, tra i quali il Cigala, intesero onorare il trovatore, non l'uomo d'armi.

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1

Il Rajna prosegue: "E non lungi dal re, sia in Napoli, sia nei proprî feudi, egli avrà poi anche finito i suoi giorni. Pensare che possa ancora essere ritornato a chiudere gli occhi nella Provenza, priva attualmente della sua maggior corte, abbandonando già vecchio il posto che aveva alla fine offerto un riparo sicuro alla sua vita randagia, è, secondo me, un discostarsi affatto dal verisimile,. L'illustre critico risponde allo Schultz, il quale, da due versi di Sordello, arguí la fine di lui presso Raimondo VII di Tolosa. Il Merkel dalla supposizione dello Schultz dedusse: "Se ciò è vero, possiamo immaginare, che Sordello, poiché passò alla corte di un avversario di Carlo d' Angiò, trovò ed accolse forse volentieri il modo di biasimare il suo primiero protettore,.2 In verità, c'è da strabiliare! I due versi non contengono se non

Federico di Stuffo, Federico III, nipote dell'imperatore Federico II di Svevia, nel 1269 annunziava che sarebbe venuto in Italia cum magnifico potentatu. V. negli Annal. Placent. Gibel. (Pertz, M. G. H., XVIII, 536, 539) le sue lettere al conte Ubertino di Lando e ai Pavesi, con le date dell'agosto e dell'ottobre. Simili lettere furono inviate "omnibus amicis fidelibus imperii in Lombardia et Tuscia et alibi in Italia Il re di Boemia era suocero di Federico III, il quale annunziava che da lui sarebbe stato aiutato.

1 Cfr. le pp. 67 e 87.

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* L'Opinione dei contemporanei sull'impresa italiana di Carlo I d'Angiò; Roma, Acc. dei Lincei, 1889, 135 n. Questa memoria ribocca d'inesattezze e di veri errori. Potrei darne un elenco non breve,

quar leu troba qui pesca en estanc;

qui mi restringerò a indicarne due altri. Il serventese, Ma voluntatz me mou guerr'e treball, che loda il re Manfredi, vivo sino al 26 febbraio 1266, è attribuito a Pietro Vidal morto al principio del secolo XIII (p. 44). A pag. 36 si legge: "Secondo le disposizioni testamentarie di Raimondo VI di Tolosa, Beatrice (la moglie di Carlo d'Angiò) avrebbe dovuto andare sposa a Raimondo VII figlio di lui, e con ciò si sarebbero ricongiunte in un sol corpo la contea di Tolosa e quella di Provenza, che lo stesso Raimondo VI aveva diviso tra i suoi figli Raimondo

il proponimento di dimorare a Tolosa almeno un mese o due; però nel 1266, nel 1269, sino al 21 agosto 1271, conte di Tolosa fu Alfonso di Poitiers, fratello di san Luigi e di Carlo d'Angiò; Raimondo VII, ultimo della sua stirpe suocer: di Alfonso, era morto a Millau sin dal 27 settembre 1249! Alfonso aiutò efficacemente Carlo all'impresa di Napoli, e si meritò gli elogi di Ruteboeuf.

Gentil cuenz de Poitiers, Diex et sa douce Meire

vous doint saint paradyx et la grant joie cleire!
Bien li aveiz montrei loiaul amour de frère,
ne vos a pas tenu convoitize la neire.
Bien i meteiz le vostre, bien l'i aveiz jà mis;
bien monstreiz au besoing que vos iestes amis.

Un provenzalista di professione, lo Schultz, un professore di storia moderna, il Merkel, non si sono accorti dell' anacronismo.

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A questo punto era mio proponimento discutere l'opinione del De Lollis che la figura e l'azione di Sordello nel Purgatorio furono ispirate a Dante dal compianto per la morte di Blacas, nel quale dové piacergli fin quella vecchia immagine, un po' sanguinolenta per noi, del cuore estirpato e dato in pasto: ché infatti, qualche reminiscenza di essa appar già a turbare la soavità della Vita Nova „.1 Ma perché mi è venuto a mancare il tempo, mi

Berengario IV e Raimondo VII „. Ma Raimondo Berengario conte di Provenza, padre di Beatrice, il Raimondo Berlinghieri di Dante, era nato dal conte Alfonso figliuolo del re Alfonso II d'Aragona! Raimondo VI di Tolosa ebbe di legittimi un solo figlio maschio! Da circa due secoli la contea di Tolosa era separata dalla Provenza propriamente detta! Bisogna risalire al 1176 per trovare un conte di Tolosa, Raimondo V, che pretenda la Provenza per suo figlio, promesso sposo alla figliuola di Raimondo Berlinghieri III!

1 Allude al primo sonetto, nel quale Dante narrò "la maravigliosa visione „:

Allegro mi sembrava Amor, tenendo

mio core in mano, e nelle braccia avea
madonna, involta in un drappo, dormendo.
Poi la svegliava, e d'esto core ardendo
lei paventosa umilmente pascea.

Io non credo che del sonetto e, peggio, della visione, fosse cagione la lettura, piú o meno recente, del pianto in morte di Blacas. Era un luogo comune della poesia provenzale e, per conseguenza, della siciliana, il passaggio del cuore dal petto dell'innamorato alle mani della donna amata; basti qui ricordare che lo stesso Blacas se ne era servito. Fu semplice e logico processo che, dopo essere stato imprigionato, saettato, "tagliato in croce,,, infiammato, arso, il cuore fosse ma soltanto in sogno anche mangiato. Trovo ne' rimatori fiorentini alquanto piú vecchi di Dante, o contemporanei, la perdita del cuore divenuta già, se cosí posso dire, centro di tutta una rappresentazione, alla quale partecipavano Amore e la Donna. Rustico Barbato raccontò di sé stesso che viveva pur non avendo piú il cuore,

e questo è per la forza del Signore
che 'l n'à portato, ch'è tanto possente,
che lo partío dal corpo, ciò fu Amore,
e miselo in balía dell'avvenente.

Lapo Gianni ringraziò Amore che, vedendolo venuto a vile, s'era mosso come messaggio ed era andato a riacquistargli il “cor ch'era 'n perdenza „,. Dino Frescobaldi, in sogno, abbagliato dallo splendore, che gli occhi d'una gaia e bella donzella gettavano, non s'accorse

come per mezzo aperto gli fue il core
per man di quel Signore,

che con tormento ogni riposo uccide.

debbo restringere a riferire, dalia recensioncella già citata, il sommario della trattazione, che mi riserbo di fare quando mi sarà possibile.

• Tenendosi stretto ai panni del Bartoli; il De Lollis crede che solo il compianto in morte di Blacas potette ispirar Dante; ma io penso che, giudicando a questo modo, si assegni assai piccola ragione a troppo grande effetto.

- Nell'episodio dantesco l'enumerazione dei principi, la quale si vuole suggerita dal compianto, occupa, in verità, poco spazio. Ma Sordello, che visse gli anni fiorenti della giovinezza quando vivevano ancora alcuni de' maggiori poeti provenzali, ed ebbe occasione di contendere poeticamente con due de' più riputati tra essi, appare poi, chi ben guardi, per fecondità e per vigore di produzione, superiore a quasi tutti, forse a tutti i contemporanei dell'età sua matura; a Sordello tuttora vivo si rivolgevano con rispetto, negli anni della fanciullezza di Dante, i trovatori italiani; di Sordello un papa scriveva a Carlo d'Angiò: emendus esset immeritus, nedum pro meritis redimendus; i signori francesi e provenzali, con i quali Sordello aveva avuto dimestichezza, furono vicari di Carlo e capitani di milizie per Carlo in Firenze dal 1266 al 1275; un luogo d'un poemetto didattico di Sordello presenta singolari somiglianze, non avvertite da altri, nemmeno dal De Lollis, con un luogo insigne della Divina Commedia 3. Oltre a ciò, Dante ebbe notizie del mantovano, le

Il tema era, dunque, abbastanza frequentemente trattato. Che nel sonetto di Dante la donna si pasca del cuore di lui, è una variante notevole in vero; ma che si spiega senza alcun bisogno di supporla inspirata dal "fero pasto, imbandito ai principi da Sordello.

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L'amico De Lollis mi avvertí che a provare precisamente il contrario sta la nota 3 della pag. 92, dove, dopo aver ricordati alcuni di quelli che avean già espressa l'opinione da lui sostenuta, dice: Il Bartoli invece.... ricordò il compianto insieme e subordinatamente agli altri titoli di merito che per Sordello gli risultavano dalla cronica di Rolandino e dagli antichi commenti di Dante La nota non mi era sfuggita; ma il fatto è che il Bartoli non ricordò semplicemente il compianto, né lo subordinò agli altri titoli di Sordello. Dopo aver notato risultar già chiaro dalle osservazioni premesse come Sordello dovesse essere qualche cosa di piú che un semplice poeta di amore. il Bartoli domandava: “Ma non abbiamo noi forse un documento, un canto, proprio di lui, della sdegnosa anima Lombarda, che ci dice come egli volgesse l'animo ad alte cose? E dopo essersi intrattenuto per circa due pagine a discorrere del compianto, conchiudeva: E del resto non è forse chiaro che solamente al poeta che aveva cosí fieramente cantato la morte di Blacas, potea l'Alighieri mettere in bocca i fieri versi che chiudono il C. VII del Purgatorio? In codesti versi si ripete precisamente quel che già Sordello aveva osato scrivere dei principi del suo tempo. Codesti versi sono la spiegazione chiara ed evidente della identità tra il Sordello storico ed il Sordello poetico. Noi non sapremmo dubitarne .... e ci apparisce chiara la ragione per cui l'Alighieri riserbò a lui una tra le più belle pagine della sua seconda Cantica ecc.

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Nel 1268 Carlo lasciò in Toscana "due Guglielmi, l'uno detto da Berselve e l'altro Stendardo,, (AMMIRATO, Dell'Ist. Fior., III): testimoni di un atto del luglio 1262 erano stati, con altri, Guglielmo Stendardo, Giovanni di Braiselva e Sordello.

3 Ensegnamen d'onor, vv. 901 e seguenti:

Avols vida, a cel, qui la fai,

tol son pretz, e son cors deschai,
el tramet l'arma ses govern

a la coral dolor d'infern

Li ric

de terras e d'aver manen,
paubre de cor, e vueg de sen,
que non amon pretz ni lauzor,
ni temon nulla desonor,

ni an en lur faitz nul esgart
de be far, ni engien, ni art,

quali a noi non sono pervenute. Dante seppe, e noi ignoriamo come, che, non solo poetando, ma anche nella familiare conversazione quell' uomo eloquentissimo non adoperò il dialetto nativo; Dante seppe, e noi ignoriamo da chi, che Sordello perí di morte violenta. Accenno e non dimostro, per brevità; ma mi par di aver detto quanto basta perché apparisca tuttora possibile e utile la ricerca di altre ragioni dell'" apoteosi, dantesca fuori del compianto, in cui Sordello imaginò di distribuire all'imperatore, ai re, ai conti di Provenza e di Tolosa i pezzi del cuore del prode cavaliere Blacasso, perché, mangiandone, si sentissero incorati ad azioni virili. Anche delle opinioni, anche de' sentimenti, anche della leggenda deve tener conto il metodo storico, se vuol arrivare a intendere oltre che la Storia, la Poesia, l'Arte „. FRANCESCO TORRACA.

DANTE E LA ROMAGNA1

IV.

Il ricordo delle cavalleresche e private virtú di Arrigo Mainardi e di Pietro Traversari, di Guido di Carpegna e di Lizio da Valbona, trae dall'animo addolorato di Guido del Duca un' invettiva sanguinosa; la quale, cosí condensata com'è, e quasi costretta nell'àmbito breve di un sol verso, è poi dichiarata, con efficacia stupenda, dalle terzine che a guisa di commento l'accompagnano, piene anch'esse di ricordi e di nomi:

O romagnoli tornati in bastardi!

Quando in Bologna un Fabro si ralligna?
quando in Faenza un Bernardin di Fosco,
verga gentil di picciola gramigna?

Non ti maravigliar s'io piango, tósco,

quando rimembro con Guido da Prata
Ugolin d'Azzo che vivette nosco....

Chi era Guido da Prata? Iacopo della Lana dice solo che "fu probissi

car Dieus los a desemparatz
tan los sap vilse descoratz.
Aquel son li caitiu dolen,

paubre et ric ensems, que viven

son mort; sabez per que? Quar fan
vida tal, que ja non auran

grat de Deu, ni del segle onor,

ni a lor cor nulla legor.

Aquelz pot om per desastrucs
tener part tots los malastrucs.

Cfr. Inferno, III 34-51. I versi di Sordello su la nobiltà (Ens. 617-648) si possono utilmente paragonare con alcune parti della quarta canzone e del quarto trattato del Convito.

1 Cfr. i quad. 1, 3 e 7 dell'an. I.

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