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che sembra corrispondere alla dantesca "che dier nel sangue e nell'aver di piglio„. Di piú, aggiungono essi, Alessandro, nominato cosí senza alcun epiteto che meglio lo contraddistingua, non può essere evidentemente altri che il celebre conquistatore.

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Ma a cotali argomenti contrappongono i persecutori del tiranno tessalo valide ragioni. In primo luogo, la mancanza di aggettivi determinativi non può escludere in modo assoluto ogni altro Alessandro tranne il Magno, e siccome anzi è questi in altra parte lodato dal poeta come colui che piú s'appressò al palio della monarchia universale, e cui ognuno deve aver a cuore per li suoi reali beneficî, sembra irragionevole il ritenere che sia stato poi da quello stesso precipitato nella valle dolorosa d'abisso. Del Ferèo poi e Plutarco (Pelop., 29) e Diodoro Siculo (libb. XV e XVI) narrano tante e tali immanità che ben meglio del Magno sembra quegli accordarsi col perfido Ezzelino "che fia creduto figlio del demonio,, e con Obizzo d'Este spento dal figliastro.

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Ma non s'acquetano a coteste prove i primi, che anzi negano aver avuto Dante conoscenza di quei due scrittori greci, e adducono poi, perché si accetti la contraddizione in che fanno cadere il poeta, altre contraddizioni sue, p. es. quella che appare nella dannazione del "nobilissimo latino Guido Montefeltrano, . 4.

Si bilanciano cosí eguali i valori delle due interpretazioni, e sembra difficile l'attenersi all'una piuttosto che all'altra, pure se si aggiunga ciò che d'Alessandro Magno ci dice il Tesoro, quel Tesoro nel quale viveva ancora Brunetto Latini immagine paterna, buona e cara all'animo del poeta.

1 De Monarchia, II, 9 edit. Witte.

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2 Convito, IV, c. 11 ediz. Witte. Cfr. poi il BOCCACCIO che nel De geneal. Deor. (ediz. di Basilea) lib. XIII c) LXXI (Cur auctor Alexandrum Macedonem, et Scipionem Africanum inter Iovis filios non apponat) esalta Alessandro Magno, e trova in lui biasimevole solo l'aver voluto derivare da Giove.

3 E ciò s'accorda con l'idea politica di Dante. Egli infatti pone Cesare nel Limbo, perché pagano e perché tentò di comporre ad impero la repubblica romana, prima del tempo stabilito da Dio alla nascita di Cristo (cfr. Conv., IV, 5). Cosí è probabile che pure nel Limbo stia Alessa idro, e per le stesse ragioni. Del resto, il "felix praedo, della Farsaglia, s'accorda ben meglio col verso "Cesare armato cogli occhi grifagni,, che non col già citato: "Che dier nel sangue e nell'aver di piglio „.

Questa dannazione però fu spiegata come inflitta al debole ed incostante convertito (cfr. Propugnatore, VI, parte I, pag. 63.. Ma del resto, questo argomento è in realtà di nessun `valore. Difatti, col volger degli anni, Dante poteva ben cangiare d'opinione riguardo a personaggi suoi contemporanei, ma non già riguardo agli antichi. E di piú, l'esserci talune contraddizioni nelle opere del poeta, non include che ve ne siano di necessità delle altre: anzi, se alcuni passi possono offrire due spiegazioni di cui l'una contradditoria ad opinioni emesse da Dante in altro luogo, si dovrà certo sceglier sempre la seconda. Per es.: Si sostenne che Dante avendo punita Manto fra gl'indovini (Inf., XX, 55) se ne dimenticasse poi per farla abitatrice del Limbo (Purg., XXII, 113), e s'addusse questa prova: dicendo "la figlia di Tiresia e Teti, il poeta non poteva alludere ad altri che alla piú famosa figlia del profeta Tebano. Ma invece, appunto per aver messa Manto fra gl' indovini, poteva l'Alighieri indicar Dafne o Istoriade con quel semplice verso senza aggiungere maggiore determinazione. Cosí quando Dante loda per bocca di Manfredi "L'onor di Sicilia e d'Aragona „ (Purg., III, 116), non vuol già intendere di Iacopo e di Federigo biasimati poi da Sordello (Purg., VII, 119-20), ma sí di Alfonso, come spiegò già il Troya contro la maggior parte dei commentatori. Cosí pure sembrarono contradditori i due accenni ad Enrico VII (cfr. (Purg., VII, 95 e Par., XXX, 168). Ma il "tardi,, di Purgatorio si spiega troppo tardi „ non per l'Italia, bensí per Ridolfo purgante la sua incuria,

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Nella traduzione di Bono Giamboni (ediz. critica del Gaiter Bologna 1882) dicesi bensí che "Alessandro distrusse piú città e castella, (lib. VIII, c. 61), il che sembra una conferma all'ipotesi del Blanc, ma già prima, nel capitolo 49, l'autore ci ha assicurati che Alessandro doveva ben essere savio, però che Aristotile fu suo maestro,. E si noti che E si noti che savio, qui ha il significato di "virtuoso,, alieno quindi da ogni crudeltà. alieno quindi da ogni crudeltà. A schiarire un nodo tanto intricato, è naturale che dobbiamo usare di tutti quei mezzi di che la critica dantesca, tanto progredita ai dí nostri, si correda e si fortifica mirabilmente: uno di questi è quel concetto estetico che, appena notato quasi sorvolando dal De Sanctis, fu poi sviluppato ed applicato su larga scala dal professore Michele Scherillo nelle sue lezioni all'Accademia scientifico-letteraria di Milano: parlo della predilezione che Dante ha per le coppie. Un valore indiscutibile ha questo concetto, oltre che nell'estetica anche nel campo dell' interpretazione critica dantesca. Nel poema noi troviamo le coppie strette dall' amore, Paolo e Francesca; quelle composte dall'odio, Ugolino e Ruggeri 1, i due fratelli da Mangona abborritisi in vita ora avvinti e schiacciati petto a petto nell'abbraccio irresistibile del ghiacciajo; quelle causate da affinità di sangue, Latino e Lavinia, Maometto ed Alí; quelle congiunte per egual patria, Michele Zanche e Frate Gomita, i due gaudenti, Ulisse e Diomede; inoltre l'assennata coppia di Rinieri de' Calboli con Guido del Duca; la tenera di Piccarda Donati coll'imperatrice Costanza, ecc.: tutti cotesti personaggi staccantisi in maraviglioso rilievo sullo sfondo comune del cerchio, ora ci instillano nella mugghiante tempesta dei lussuriosi un senso malinconico di pietà sospirosa, un desío di purezza tranquilla e felice, ora, nell' eterno rezzo di Cocito, riscaldano un fremito passionato ed angoscioso di vita, ora, sul verde smalto del Limbo, ricordano graditamente la quiete degli affetti famigliari, ora ci si rappresentano intesi ad ordire trame malvage contro gl'interessi della loro patria o d'altrui, come quel di Gallura ed il compagno suo ascosi in profonda sede nella pece che bolle, come Catalano e Loderingo incappucciati, come i due greci erranti smarritamente 2.

Ed inoltre, dicemmo, l'accoppiarsi dei personaggi può servire talvolta ad illustrazione loro; per citare un esempio, l'aver Dante nel canto quinto d'Inferno scorto insieme Paris e Tristano, ci mostra come il primo non abbia a che fare col figliuolo di Priamo, il che a torto eb be a credere il Blanc, e

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1 Cfr. la spaventevole coppia di padre e figlio dannati maledicentisi e dilaniantis a vicenda nella descrizione del giudizio universale composta da Fra Bonvesin da Riva - v. 185 et segg. * Mezzo estetico del poeta è pure presentarci isolato fra tutti chi porti esagerato in sé o molto diverso il carattere di colpa, o di pena ch'informa il suo sfondo. Cfr Caco fra i ladri, Bertran dal Bornio fra gli scommettitori, Saladino collocato per grazia divina nel Limbo e perché liberale (Convito, IV, 11) e perché, come narra la novella 21 del Novellino, egli non si fece fedele di Cristo solo perché gli stolti cristiani invitati da lui sputarono sbadatamente su suoi tappeti lavorati a croci; il che, se non è vero (annota il PARENTI) è però certo che il Saladino ebbe una certa propensione o riverenza al Cristianesimo. Solo è pure Guido di Monforte che nel 1270 trucidò nella chiesa di Viterbo, durante l'elevazione dell'ostia, Enrico nipote d'Enrico III d'Inghilterra: e nota ciò che dice Brunetto Latini al libro VIII, capo 50: "che più è a dire, quest'uomo uccise un prete su l'altare nel giorno di Pasqua, che è a dire egli uccise un uomo pri

vatamente

debba essere invece il cavaliere amante di Vienna, come pensò il Tommasèo.

Ora, tornando al nostro argomento, qual ragione poté indurre Dante a ravvicinare nel sangue Alessandro e Dionisio? Essa ci appare nel Tesoro di Brunetto Latini: "Tullio disse che uno (tiranno) che aveva nome Dionisio temea tanto il rasojo delli barbieri; perché li levava i suoi peli. E Ales"sandro tiranno siciliano1 quando volea giacere con sua femina, egli man"dava li suoi sergenti innanzi per cercare che in suo letto ed in suoi drappi แ non avesse coltello riposto, ciò era malvagità, a fidarsi piú in un sergente "che nella femmina sua; né per questa sospezione non fu egli tradito per sua femina, ma da suoi sergenti,,. (Libro VII, capo LXXI traduz. di Bono Giamboni edita dal Gaiter).

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Ser Brunetto intende e traduce qui a suo modo un passo di Cicerone (De Officiis, II, 7): "Etenim, qui se metui volent, a quibus metuentur, eosdem "metuant ipsi necesse est. Quid enim censemus superiorem illum Dionysium, quo cruciatu timoris angi solitum? qui cultros metuens tonsorios candenti " carbone sibi adurebat capillum. Quid? Alexandrum Pheraeum, quo animo " vixisse arbitramur? qui, ut scriptum legimus, quum uxorem Theben admo"dum diligeret, tamen ad eam ex epulis in cubiculum veniens, barbarum, et แ eum quidem, ut scriptum est, compunctum notis Threicis, destricto gladio, “iubebat anteire; praemittebatque de stipatoribus suis, qui scrutarentur ar"culas muliebres, et, ne quod in vestimentis occultaretur telum, exquirerent. "O miserum, qui fideliorem et barbarum et stigmatiam putaret, quam coniu"gem! nec eum fefellit. Ab ea enim est ipse, propter pellicatus suspicionem interfectus.... Testis est Phalaris, cuius est praeter ceteros nobilitata น crudelitas... ..."

Il Latini fraintende la fine del brano; ma in ogni modo l'avere Cicerone e specialmente Brunetto accoppiati Dionisio ed Alessandro, dové certo fare impressione sull'animo del poeta, come già sul traduttore Bono Giamboni, il quale trovando nel brano latino Alessandro Ferèo citato fra il siciliano Dionisio ed il siciliano Falari, lo fa compatriota di questi due, e lo chiama subito subito Alessandro tiranno Siciliano Quindi, se per comunanza di colpa soffrono questi e Dionigi un comune castigo, l'essere stati tramandati unitamente in quelle opere 3, è poi la causa che li unisce al tormento.

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Inoltre poteva Dante aver conoscenza della traduzione del Giamboni, ed in questo caso la glossa del dotto traduttore potrebbe giustificare una più stretta connessione fra i due tiranni che, avendo versato il sangue nella stessa patria, stridono bollenti prossimamente, 4 Ma questa è una semplice ipotesi;

1 Glossa di Bono Giamboni.

2 È dunque il vecchio, non il giovane come credette il Blanc. Come fonte poi al concepimento del Dionisio dantesco, lo SCARTAZZINI indica Valer. Mass., IX, cap. 13 e Stat. Achil., I, 80. Non ho rinvenuta la seconda citazione, e la narrazione di Valerio Massimo è tolta quasi letteralmente da Cicerone.

3 Dante conosce, e cita più volte il De Officiis; cfr. Convito, IV, 8, 15, 24, 25, 27.

Il GAITER nelle Illustrazioni al libro VI capo 40 (tomo II, p. 199) dice che in esso, Bono

ciò che positivamente si può asserire questo: il Dionisio di cui parlano Cicerone, Brunetto e Dante, é il "Vecchio, che tiranneggiò Siracusa dal 406 al 467 av. Cr., ed il suo vicino nel sucido bulicame è ritratto dal truce dominatore di Fere.

Milano, 1896.

AUSONIO DOBELLI.

LETTERE DI DANTISTI

GIOVANNI PRATI all' ab. GIUSEPPE JACOPO FERRAZZI in Bassano Veneto

Trento, 28 gennaio 1865.

Carissimo professore! Io credeva d'avere a Lei spedita già da gran tempo una copia della mia trista figura in fotografia: la di Lei cara lettera dei 25 corr. mi avverte che ciò non fu fatto, ed eccomi a rimediare alla mia sbadataggine.

Il busto di Dante che deve venire collocato in una delle sale del Municipio di Trento viene scolpito dal nostro bravo Malfatti: e sarebbe già collocato se l'egregio artista non avesse dovuto sostenere una prigionia di alcuni mesi, incolpato di mene garibaldine. Solo da alcune settimane venne egli restituito alla trepidante famiglia. Il progetto della erezione d'un busto a Dante, come pure la partecipazione del Municipio di Trento alla erezione del grande monumento a Firenze, furono due proposte da me avanzate nel Consiglio comunale di Trento e da esso adottate per acclamazione nel 1863. Il relativo discorso lo troverà nel num. 280 del Messaggere del 9 novembre 1863.

imitò Dante. Ma ciò è cosa affatto improbabile. Il traduttore infatti precedeva il poeta di una intera generazione, (etr. FRANCESCO TASSI, Della miseria dell'uomo, ecc., attribuiti a B. Giamboni Firenze, 1836).

Le relazioni fra il poema e la versione sono frequentissime, ctr.: Ed ka natura si malvagia eria (Inf, 1, 97): nulla cosa è ria per natura, ma se noi le usiamo malvagiamente, elle diventano rie. (les, 1, 10) Gente vi eran con occhi tardi e gravi (Int. IV, 112); e nel suo movimento & tardo e grave (il magnanimo), Testo est sages en ses movemens, et en ses paroles. Tesoro, VI, 20, b Fu imperatrice di molte favelle (lat,, V, 54): parlare latino (Testo li latin) Tesoro 1, 63, Che mosse me a fare il simigliante (Purg, 11, 78): E battezzato egli, tutti i suoi fecero il simigliante (Testo Lors maintenant devint il crestiens, o touz le siens) Tesoro 11, 25. Ed io : maestro tra questi cotali (Inf., VII, 49): In questi cotali (avari) è il loro desiderio insaziabile Tesoro, VI, 10. Poi pramente al sole gli occhi porse (Purg., XIII, 13): Gregorio dice; Chi fisamente mira (Testo qui roldement esgarde) i raggi del sole.... Tesoro, VI, 31, B quel corno d'Auvania che s'imberga (Purady VIII, 61): Appresso c'è lo regno di Puglia, ov'è la città di Taranto, su nel sinistro corno d'Italia, Tesoro, III, 3.

La prego de' miei saluti cordiali agli amici di costí, massimamente a D. Caffo, Compostella ed al bravo Tib. Roberti e mi creda sempre suo

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aff.mo amico GIOVANNI PRATI.

[NOTA. L'ab. prof. Giovanni A Prato, che per tutta la nobile sua vita fu "tipo esemplare di patriottismo e fermezza di carattere diresse in compagnia col vivente simpatico Vigilio Sottochiesa, il Messaggere del Trentino, giornale soppresso in Trento durante la guerra del 1866. La lettera si commenta da sé; ma bisogna ricordare quello che il Ferrazzi riferisce alla pag. 411, vol. III. del suo Manuale dantesco: nella seduta, cioè, del 1 dic. 1863, il Consiglio comunale di Trento, dietro proposta del cons. bar. A. Prato. decretava di concorrere con una somma all'erezione del monumento a Dante in Firenze e di allogare allo scultore Malfatti il busto del poeta che fu inaugurato in Trento il 14 maggio 1865. Ricordiamo ancora che il Ferrazzi raccolse i ritratti di tutti i cultori degli studi danteschi in un albo, conservato tuttora nel museo civico di Bassano Veneto, direttore onorario del quale è attualmente il co. Tiberio Roberti. — A. F.].

CARLO WITTE all' ab. G. J. FERRAZZI in Bassano Veneto

Sig. Collega pregiatissimo

Leggo in un foglio recente, vendutomi ad una delle stazioni della ferrovia che Fil. Zamboni si trova attualmente in Germania. Dopo un cenno alla progettata nostra adunanza di Dresda il giornalista aggiunge.... " alla quale non dubito che sia stato invitato cogli altri concittadini dell'Allighieri che si trovano in Germania, Trovandomi momentaneamente all'estero, e non sapendo dove il sig. Z. possa soggiornare, non posso far nulla perché gli pervenga questo invito. Se Ella però ne sa piú la prego di dirgli che la sua presenza non possa essere che grata a quanti vi prenderanno parte, e particolarmente ai sottoscritti del programma.

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Spero ch' Ella ci recherà di certo il codice Eugeniano da Lei spogliato 1, e forse qualchedun altro, attualmente in sua mano. In quanto a me, metterò sotto agli occhi dei Dantofili quanto fra le cose pubblicate in occasione del Centenario che ho potuto acquistare mi sembra piú degno di esser osservato. Volente Iddio sarò di ritorno ad Halle il giorno 1 di questo mese. Se Ella dunque avesse di accennarmi cose da effettuarsi prima della mia partenza per Dresda, La prego di farmi trovar a casa mia quei suoi comandi. Lieto di dover conoscerla fra breve personalmente La riverisco con somma stima Milano, 1865, sett. 4.

CARLO WITTE.

CARLO WITTE all'ab. G. J. FERRAZZI in Bassano Veneto

Illustre Signore,

Vienna 8 giugno 1866.

Spero che dopo che V. S. avrà letto questo mio scritto, vorrà benignamente scusare il mio contegno, vedendo che non fu mia colpa se non risposi

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