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SONETTO XXVIII.

Dice (ma secondo la sensuale apparenza)
che non sia Amore con la Gentil Donna Pietosa.
Il Sonetto fu scritto nel 1298.

Parole mie che per lo mondo siete;
Voi che nasceste, poich' io cominciai
A dir per quella donna, in cui errai;
Voi che, intendendo, il terzo ciel movete;
Andatevene a lei, che la sapete,
Piangendo sì, ch'ella oda i nostri guai;
Ditele Noi sem vostre; dunque omai
Più che noi semo, non ci vederete.

Con lei non state, chè non v'è Amore;
Ma gite attorno in abito dolente
A guisa delle vostre antiche suore.
Quando trovate donna di valore,

Gittatevele a' piedi umilemente,
Dicendo: A voi dovem noi fare onore.

SONETTO XXIX.

Dice che il precedente Sonetto non parli secondo il vero.
Il Sonetto fu scritto nel medesimo anno.

O dolci rime che parlando andate.
Della donna Gentil che l'altre onora,
A voi verrà, se non è giunto ancora,
Un, che direte: Questi è nostro frate.

Io vi scongiuro, che non l'ascoltiate,
Per quel Signor che le donne innamora;
Chè nella sua sentenza non dimora

Cosa che amica sia di veritate.

E, se voi foste per le sue parole
Mosse a venire inver la donna vostra,
Non vi arrestate, ma venite a lei.

Dite: Madonna, la venuta nostra
È per raccomandare un che si duole,
Dicendo: Ov'è il desio degli occhi miei?

SONETTO XXX.

Scrive a Cino da Pistoia, dolendosi che nessuno più ami.

1

2

Poich'io non trovo chi meco' ragioni
Del Signor cui serviamo e voi ed io,
Convienmi soddisfare il gran desio,3
Ch'i' ho di dire i pensamenti buoni.

Null' altra cosa appo voi m' accagioni
Dello lungo e noioso tacer mio,

4

Se non il loco ov' io son," ch'è sì rio,
Chè 'l ben non trova chi albergo gli doni.

Donna non c'è, che Amor gli venga al volto,
Nè uomo ancora che per lui sospiri,

7

E chi'l facesse saria detto stolto.

Ahi, messer Cino, com'è il tempo vôlto
A danno nostro e delli

Da poi che 'l ben c'è sì

nostri diri,

poco ricolto.

7 trovo chi meco. Altri: truo' chi con meco. Altri al Poich'io sostituiscono Perch'io.

2 cui serviamo e voi. Altri: a cui siamo voi.

3 il gran desio. Altri: al gran desio. "Dello lungo e noioso. Altri: Di lungo e di noioso.

Se non il loco ov'io son. Altri legge a sproposito: Sono in loco,

ov' io sono.

Chè 'l ben. Altri male: Che ben.

8

per lui. Altri: per lei. Questa lezione riferisce lei a donna, ma non è questo ciò che vuol dire Dante. Egli biasima l'appetito di fera, e vorrebbe che l'uomo e la donna sospirassero per amore che si ha in cuori gentili.

8 Cino, com'è il tempo vôlto. Altri: Cin, com'è 'l tempo rivolto.

9

e delli. Altri: ed alli. Male, perchè sottintende a danno (cioè e a danno delli nostri diri).

SONETTO XXXI.

Per l'amore alla Filosofia resiste a quello naturale di una donna.

Il Sonetto fu scritto alla fine del 1306 in corte di Moroello Malaspina, marchese di Villafranca.

Per quella via, che la bellezza corre,
Quando a destare Amor va nella mente,
Passa una donna baldanzosamente,

Come colei che mi si crede tôrre.

Quand' ella è giunta al piè di quella torre
Che s'apre,' quando l'animo acconsente,
Ode una voce dir subitamente:

Lèvati, bella donna, e non ti porre:

Chè quella donna che di sopra siede,
Quando di signoria chiese la verga,
Come ella volse, amor tosto le diede.

E, quando quella accomiatar si vede
Di quella parte, dove amore alberga,
Tutta dipinta di vergogna riede.

Che s'apre. Così porta il Cod. dell'Ambrosiana segnato 0 63 su

pra, e ben seguíto dal De Witte. La comune lezione era: Che tace.

SONETTO XXXII.

Amore decide che Dante possa amare d'amore perfetto Gentucca degli Antelminelli e la Filosofia morale, l' una per bellezza e l'altra per alt' oprare.

Il Sonetto fu scritto alla fine del 1306 presso Guido Selvatico in Valdarno.

Due donne in cima della mente mia

Venute sono a ragionar d' amore,

L'una ha in sè cortesia e valore,
Prudenza ed onestate in compagnia :

L'altra ha bellezza e vaga leggiadria,

E adorna gentilezza le fa onore :
Ed io, mercè del dolce mio Signore,
Stommene a' piè della lor signoria.

Parlan Bellezza e Virtù all' intelletto,
E fan quistion, come un cuor puote stare
Infra due donne con amor perfetto.

Risponde il fonte del gentil parlare,
Che amar si può Bellezza per diletto,
E amar puossi Virtù per alt' oprare.

SONETTO XXXIII.

Si lamenta con Amore che in terra non sia più pace.

1

Se vedi gli occhi miei di pianger vaghi
Per novella pietà che il cor mi strugge,
Per lei ti prego, che da te non fugge,
Signor, che tu di tal piacer gli svaghi;'
Con la tua dritta man cioè che paghi
Chi la giustizia uccide, e poi rifugge
Al gran tiranno, del cui tosco sugge,
Ch'egli ha già sparto, e vuol che'l mondo allaghi.
E messo ha di paura tanto gelo

Nel cuor de' tuoi fedei, che ciascun tace.
Ma tu, fuoco d'amor, lume del cielo,

Questa virtù che nuda e fredda giace
Levala su vestita del tuo velo;

Chè senza lei non è qui"'n terra pace.

gli svaghi. Altri: i svaghi. È chiaro da sè che i fu mal sostituito a gli ovvero li.

2

qui. Altri tolgono via questa parola.

SONETTO XXXIV.

Scrive a Cino da Pistoia nel 1307 o poco dopo, rispondendo anche con una Epistola ad un sonetto del Pistoiese poeta.

Io sono stato con Amore insieme
Dalla circolazion del sol mia nona,
E so, com'egli affrena e come sprona,
E come sotto lui si ride e geme.

Chi ragione o virtù contro gli spreme,
Fa come quei che 'n la tempesta suona,
Credendo far colà, dove si tuona,
Esser le guerre de' vapori sceme.

Però nel cerchio della sua palestra
Libero arbitrio giammai non fu franco,
Sì che consiglio invan vi si balestra.

1

Ben può con nuovi spron punger lo fianco, E qual che sia 'l piacer ch'ora ne addestra, Seguitar si convien, se l'altro è stanco.

1 palestra. Il De Batines credeva che si dovesse leggere balestra. Il

Giuliani lesse balestra col Cod. Magliabechiano.

CANZONE XI.

Si consola dell'esilio, vedendo esulare Drittura,
Larghezza e Temperanza.

Scrive nel 1308.

Tre donne intorno al cor mi son venute,

E seggionsi di fore,

Chè dentro siede Amore

Lo quale è in signoria della mia vita.

Tanto son belle e di tanta virtute,

Che'l possente Signore,

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